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Salad Days Magazine | March 19, 2024

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‘Fotogramma/40′ / Alan Maglio interview

February 12, 2024 |

Capiamo la portata dell’operazione ‘Fotogramma/40’, raccolta di 40 anni di foto dell’omonima agenzia a cura di Milieu, al suo lancio: il libro viene presentato nella SALA STAMPA NAZIONALE, pieno centro di Milano.

Ma non finisce qui. La Sala Stampa Nazionale è PIENA. Gente fuori, gente che compra l’oggetto prima, gente che assalta il banchetto a prescindere. Non ci facciamo sfuggire Alan Maglio, uno dei due ideatori dell’opera (l’altro è Luca Matarazzo). E se qualcuno, a questo punto, si sta chiedendo quale possa essere il legame tra un fotografo o forse meglio dire un artista e il nostro mondo, vi consiglio di andare a chiederlo a Giulio The Bastard. Rifraso. Alan Maglio è il pusher di CERTE immagini utilizzate dai Cripple Bastards in alcuni recenti lavori. E se c’è qualcuno che è riuscito a “solleticare” Giulio The Bastard, IO LO DEVO INTERVISTARE!

SD: Come nasce il progetto ‘Fotogramma/40’? Quanto tempo c’è voluto per fare il lavoro MASTODONTICO che avete fatto (ed anche ovviamente chi ha fatto cosa)? Dall’idea alla stampa… immagino qualche anno. Momenti di difficoltà? 
AM: ‘Fotogramma/40’ nasce dalla passione per gli archivi fotografici che condivido con l’amico e collega Luca Matarazzo, insieme abbiamo già realizzato ‘Ultima Edizione – Storie Nere Dagli Archivi De La Notte’. Questo nuovo libro celebra ed esplora i quarant’anni di attività di Agenzia Fotogramma, che ha raccontato per immagini la città di Milano a partire dal 1983. Se il libro su La Notte ci ha richiesto oltre tre anni per essere completato, in quanto trattava materiali che partivano dagli anni ’50 e non erano mai stati digitalizzati, in questo caso abbiamo potuto portare a termine la ricerca molto più rapidamente. Agenzia Fotogramma ci ha fornito l’opportunità di visionare materiali già in formato digitale in alta risoluzione, parliamo di oltre due milioni di fotografie presenti in archivio. Pur avendo in mente il libro da diverso tempo, in meno di sei mesi di lavoro pratico siamo riusciti a selezionare le immagini, creare una sequenza e metterla in pagina, scrivere i testi e costruire l’aspetto grafico del volume, in tempo per uscire in libreria poco prima della fine del 2023. Forse la cosa più “difficile” è stata, per assurdo, scegliere la copertina. Ci voleva un’immagine sintetica dello spirito di questo lavoro, e l’abbiamo pescata in fase di stampa già avviata!

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SD: Da appassionato di musica, mi piace molto come le immagini sono state assemblate. Mi spiego. Sembra molto una selezione vinili… quindi selezione NON cronologica… selezione NON per temi… ma un flow che parte e finisce… con immagini che apparentemente “saltano” di palo in frasca… ma in realtà il tutto è (per me) perfetto, ha un senso. Mi spieghi come avete (o hai) fatto?? NON è facile tenere la tensione per tutte quelle pagine… ed invece…
AM: Hai centrato perfettamente una delle questioni importanti di questo progetto. L’idea era quella di proporre una visione della città che attraversasse quarant’anni di storia, creando congiunzioni tra diverse generazioni. Ho in mente quelle cresciute negli anni ’80, ma anche chi quei due decenni pre-2000 li solo ha sfiorati per ragioni anagrafiche. Abbiamo pensato subito ad una progressione non cronologica, ma che si presentasse come una sorta di esperienza cognitiva unitaria, che nello scorrere del flusso facesse riemergere tematiche legate al cambiamento urbano, all’aspetto della città, alle cosiddette “mode giovanili”, alla musica, ai personaggi dello spettacolo televisivo e alla comunicazione, fino alla storia politica delle contestazioni sociali. Abbiamo sottolineato l’esistenza sul territorio di spazi che oggi sono quasi del tutto scomparsi, come i centri sociali, ed altre forme di aggregazione spontanea che avevano la loro importanza nell’epoca pre-internet, prima dell’esistenza di quelle tecnologie che oggi accompagnano e indirizzano le nostre vite. Per creare una struttura solida per oltre 400 pagine, abbiamo pensato di stampare piccoli provini cartacei delle immagini candidate, mettendole fisicamente in fila per trovare il ritmo giusto. Alla fine sono soddisfatto di questo lavoro, è stato impegnativo ma anche molto avvincente.

SD: Ci sono delle foto dove posso dire “io c’ero”… vedi Nirvana al Palatrussardi o primi Afterhours al Tunnel… piuttosto che sgombero del Leoncavallo. C’è qualche scelta che è stata influenzata da “io c’ero”? E c’è qualcosa che avete scartato… magari pensando che non fosse di interesse?
AM: Certe scelte sono state dettate delle inclinazioni personali che ci hanno accompagnato negli anni. Non abbiamo mancato di pubblicare, ad esempio, determinate immagini di contesti come quello della musica “alternativa” e di quei luoghi di incontro che negli anni ’90 hanno rappresentato una realtà importante per molti i giovani. La selezione è stata fatta pensando a chi c’era ma anche a chi per limiti di età avrebbe voluto esserci! Sicuramente non abbiamo potuto includere altre immagini ricche di interesse, perché in fondo questo volume è un lavoro corale, che affronta tanti aspetti della città che potrebbero essere ulteriormente approfonditi, magari in future pubblicazioni!

STUDENTI MANIFESTANO

SD: Viceversa: ci sono delle foto dove “io non c’ero”… e direi anche voi che siete più giovani non c’eravate. La domanda. C’è qualche immagine “io non c’ero” che hai/avete nel cuore… e perché? Oppure… c’è qualche foto “io non c’ero” dove avreste voluto esserci?
AM: Alcune fotografie evocano quella sensazione che potremmo descrivere con “io non c’ero ancora”, perché quello che poi abbiamo vissuto si è innestato o è stato generato da esperienze precedenti. Sin da ragazzino sono stato affascinato dalla ricerca e dall’incontro con i protagonisti di un’epoca differente ma in qualche modo collegata alla mia. Per citarti un esempio “assurdo”, ricordo che non avevo più di 16/17 anni quando con un paio di amici andai a trovare Gianmario dei Wretched a casa sua, citofonandogli bellamente in un pomeriggio qualunque. Eravamo lì per farci raccontare qualche storia sul Virus e sul punk milanese di 10/15 anni prima, spinti da semplice curiosità. Lui, pur stranito dalla visita inattesa, ci accolse calorosamente e andò a ripescare qualche vecchio flyer in cantina. Il tutto in un’epoca in cui non esistevano telefoni cellulari né e-mail per mettersi in contatto, ci si scriveva per lettera oppure si cercava un numero di telefono sull’elenco generale, sperando fosse fortunosamente quello giusto. Pensando alle immagini dell’archivio De Bellis (oggi parte di Agenzia Fotogramma, nel libro ce n’è un assaggio) mi vengono in mente gli scatti che mostrano il proliferare delle tensioni politiche e la violenza che queste hanno portato negli anni ‘70. Poterle approfondire costruisce una certa consapevolezza storica della città. Ma se devo sceglierne una che mi cattura più di tutte, dico quella datata aprile 1970 in cui è rappresentata la trasmissione in pubblico, su una televisione dell’epoca, dello sbarco sulla Luna dell’Apollo 13, davanti ad una gremita folla di curiosi alla Fiera Campionaria. è uno scatto che coniuga voyeurismo ed esplorazione dello spazio, mi piacerebbe per un attimo poter tornare indietro nel tempo e partecipare a quella scena, ascoltando i commenti dei presenti.

SD: E’ un libro “nostalgico”? Di quelli “guarda Milano che figata che era”? O è un libro che pensate possa dare un qualche messaggio di “speranza” per il futuro…
AM: “Nostalgico” non è un aggettivo che normalmente usiamo per descrivere la natura dei progetti sugli archivi. Il nostro cerca di essere uno sguardo su materiali che esistono nel presente, che possono essere incontrati, interpretati, riutilizzati. Questo libro sicuramente nutre la speranza di poter costituire un insieme di materiali attraverso i quali trovare spunti per interpretare il nostro tempo, e magari anche modificarlo. Dove il presente ci può apparire monolitico e non facilmente modellabile, la storia ci insegna che anche le situazioni più inattese possono prendere forma in modo bizzarro. Mi viene in mente quell’immagine della bandiera sovietica esposta all’esterno di Palazzo Marino nel dicembre 1989, in occasione della prima visita a Milano di Michail Gorbaciov. Sovrastava persino quella italiana e quella comunale! E che dire di Tangentopoli? L’abbiamo approfondita con diverse immagini nel nostro libro, ripercorrendo lo sgretolamento del gruppi democristiani e socialisti… che poi tutto cambi per non cambiare mai… quello è ancora un altro discorso!

CODE DA BURGHY

SD: BTW… il fatto che il focus sia Milano… (come molte delle bellissime cose che fa Milieu)… lo vedete come un limite? O non ci avete pensato? O…?
AM: Il fatto che il focus fosse Milano ci ha permesso di lavorare su un certo tipo di immaginario, che la città in cui viviamo porta con sé, rendendola molto specifica rispetto al resto d’Italia. Restare all’interno di questo contesto ci ha spinti a mettere a fuoco quelle che sono le sue caratteristiche, legate al tema del lavoro, della moda, del divertimento e dell’edonismo a volte un po’ snob e sofisticato. La grande città industriale ha incarnato le speranze di vita di numerose generazioni, per alcuni è ancora così. E’ un concentrato esperienze contrastanti, di speranze e disillusioni, di ricchezza e miserie, di cinismo e umanità. Questo emerge in modo evidente nella nostra indagine dell’archivio di Agenzia Fotogramma. Guardare Milano dall’hinterland, senza viverci in mezzo, per me ha sempre rappresentato una condizione abituale e un punto di vista particolare e interessante.

SD: ‘Ultima Edizione – Storie Nere Dagli Archivi De La Notte’ (libro CULT)… ‘Fotogramma/40’ (lo diventerà)… il prossimo?
AM: I prossimi progetti potrebbero concentrarsi su ricerche più specifiche, ma al contempo svilupparsi su un campo di indagine più esteso, su molteplici archivi. Amerei molto dedicare un po’ di attenzione all’aggregazione giovanile nel circuito delle galassie musicali “alternative”, approfondendo le dinamiche dello stare insieme e del ritrovarsi con e negli altri. Certamente esistono lavori di riferimento sul tema, è più un desiderio che un’idea concreta… ma mi piacerebbe dare un contributo personale a questo tipo di narrazioni, prima o poi. Sempre con una certa centralità per gli apparati fotografici, che hanno la forza dell’immediatezza e della riconoscibilità!

FOTO DI ARCHIVIO

(domande Francesco “Franz” Mazza x Salad Days Mag – All Rights Reserved / fotografie Agenzia Fotogramma)

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Esce grazie a Spectrum ‘Punxerox’ di Francesco Goats, se fossi Blow Up dovrei dire qualcosa tipo: “agitatore culturale” del nuovo millennio milanese.

Io, che sono un ingegnere, mi limito a riportare alcuni fatti, alcuni nomi: Sentiero Futuro Autoproduzioni / Kobra (non quelli degli anni ‘80) / Zona Luce / Spirito Di Lupo… ottima occasione per scambiare due parole sul libro… e non solo.

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SD: quando nasce il progetto… e quanto dura?
FG: Il progetto nasce nel 2022 quando Edoardo di Spectrum mi contatta inizialmente per una collaborazione per il loro sito, poi conoscendoci la cosa si è evoluta e mi è stato proposto di fare un libro. Io sono pieno di file di testo sul computer con liste varie, ad esempio “libri che voglio leggere”, “nomi per band”,  “nomi per gatti”, “trame per film” ecc. Così ho aperto il file con “idee per libro” e ‘Punxerox’ mi è sembrata la migliore per questa occasione.

SD: avevi le idee chiare da subito? O è stato un processo… che mano a mano si è arricchito?
FG: Fin da subito volevo molto limitare il campo, non volevo un libro con un’idea che avrebbe necessitato 20 volumi per essere esaustiva. Quindi l’idea era precisa fin dall’inizio: artisti della scena punk attuale che fanno grafiche utilizzando le fotocopie, che è quello che faccio anche io. Durante il processo ho scoperto un po’ di artisti che non conoscevo che si sono aggiunti alla line up iniziale.

SD: Trovo SUPER importanti le premesse di Spazio e di Vallicelli. Tua idea? O sono saliti loro “sul carro”?
FG: E’ stata una mia idea. Conoscevo Giulia perché ho collaborato con lei soprattutto nella fase iniziale del suo archivio Compulsive (ho anche passato una summer in solitary archive, di cui parla nel suo testo, a scannerizzare fanzine) e ho pensato che un suo intervento potesse essere perfetto. Non conoscevo personalmente Giacomo ma avevo il suo libro ‘Virus’ (una raccolta di tutti i materiali grafici, volantini, flyer ecc. del centro sociale punk di Milano Virus) e ho pensato di provare a coinvolgerlo. Entrambi si sono presi bene e i loro interventi sono bellissimi.

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SD: Invece, a proposito di “colore” (nel senso di diversità), mi piace molto il fatto che escano dalle pagine del libro ispirazioni “freak” (tu sei un maestro in questo) piuttosto che super metal (molti, penso a Cuero per esempio)… cose che per quelli della mia erano abbastanza tabù. Anche qui… commenti?
FG: Ho sempre trovato un po’ limitante un certo manierismo nella musica punk. Nel senso, va bene che ti piace un certo tipo di punk però se fai un disco dove i suoni, i testi, la copertina sono uguali a un disco degli anni ‘80 forse faccio prima ad ascoltarmi un disco degli anni ‘80. Ho sempre trovato più interessanti quei gruppi che pur magari muovendosi all’interno di riferimenti musicali/estetici circoscritti poi ci mettevano dentro qualcosa di personale. Io credo di vivere la creatività in maniera molto individualista, faccio quello che faccio perché mi piace farlo e ci metto dentro quello che mi interessa. Non sto troppo a pensare a cosa è punk o cose del genere. Se adesso sono in fissa con certo tipo di freakkettonate il disco parlerà di questo e non riesco a immaginare perché dovrebbe interessarmi se a qualcuno (chi poi?) questa cosa possa non piacere. È come quando fai un lavoro su commissione per qualcuno, devi fare qualcosa che piaccia a chi ti sta pagando, quando invece fai qualcosa per te è come se tu fossi il committente quindi sei tu che devi essere contento. Parlando di freakkettonate mi vengono in mente gli shivaiti che dicono una cosa simile: per diventare shivaiti ci sono due modi… il primo, facile, che comporta seguire tutti i lunghi rituali, le meditazioni, le pratiche spirituali ecc… e poi quello difficile ma veloce che richiede la distruzione dell’orgoglio, ovvero devi riuscire a fregartene di quello che gli altri pensano di te. Penso che entrare in contatto con la parte profonda di te (“sii te stesso fino in fondo” dicevano i Wretched, no?) e dare ascolto solo a quella, invece che seguire dogmi e tabù di un gruppo di riferimento come stati, religioni, gruppi politici, scene ecc. mi sembra una cosa molto più punk. Che poi è la cosa bella di quando il processo creativo è slegato dal lavoro. Non devo creare un prodotto vendibile per dare da mangiare a mio figlio ma posso fare quello che voglio. In generale invece credo che i confini che delimitavano le sottoculture col tempo si siano sempre più assottigliati, è molto più normale ad esempio ora ascoltare musica estrema e allo stesso tempo cose più commerciali e pop. Mentre quando ero ragazzino era quasi impensabile. Le controculture ti davano un’identità e ti permettevano di scoprire mondi incredibili però a volte finivano per diventare delle gabbie, appunto come dici tu si creavano dei tabù invalicabili. Io penso che le sottoculture e quel modo di crearsi un’identità (io sono un punk, io sono un bboy, io sono un metallaro ecc.) stiano per morire definitivamente perché il mondo con internet è cambiato radicalmente e le identità sono più fluide.

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SD: La Xerox (nonostante il costo, ma è anche vero che io fotocopiavo clandestinamente in facoltà prima… al lavoro dopo), è molto “hardcore”. Molto DRI. Uno pensa che con canzoni di 30 secondi non ci possa essere varietà. Uno pensa che una fotocopia sia una fotocopia… ed invece qui escono tutte le sfumature/le idee etc etc… volevo sapere se hai fatto una selezione: ci sono degli “scarti”? Oppure ci sarà un volume 2?
FG: Non ci sono scarti, ci sono artisti che per un motivo o per l’altro non hanno potuto partecipato e artisti che ho scoperto troppo tardi. Usiamo la fotocopia perché siamo cresciuti in fissa con un certo tipo di punk dove l’estetica era fatta di immagini fotocopiate e sgranate. Mentre prima dell’arrivo del digitale la fotocopia era una necessità, ora è una precisa scelta stilistica e come dici tu è interessante vedere come ognuno la utilizza a suo modo. Nel libro la varietà di stili e di sperimentazioni è molto ampia. Realizzando il libro mi sono innamorato del formato libro e mi sono venute parecchie idee che non ho potuto concretizzare quindi spero in un volume 2, 3, 4… mi piacerebbe anche realizzare monografie su singoli artisti o su scene locali, insomma le idee non mancano.

SD: A qualcuno NON piace il discorso “lo fi” del tutto… (pensa anche alla musica). Che dici?? Io penso che sia “bello” lasciare spazio all’ascoltatore o al lettore… in altre parole dargli una cosa perfetta lascia poco spazio al “dialogo” che secondo me dovrebbe esserci tra artista e fruitore…
FG: Nella fotocopia, come in certi suoni lofi o nell’estetica vhs c’è una sorta di atmosfera “tragica” che il digitale, per ora, non è ancora riuscito a replicare. Molti dischi hardcore degli anni ‘80 erano registrati a caso ed erano super lofi e questo li rende magici. Tra i mille esempi penso ai Blue Vomit, un gruppo che ha scritte alcune delle mie canzoni preferite di sempre. Avevano delle registrazioni sgangheratissime ma che davano un’atmosfera perfetta. Quelle stesse canzoni riregistrate “bene” negli anni ‘00 sono terribili. In alcuni casi il lofi è proprio un elemento fondamentale di un’espressione artistica, sarebbe come togliere la chitarra elettrica a un gruppo rock e sostituirla con una acustica, la canzone rimane la stessa però cambia tutto. Io non so bene perché ma sono sempre stato un grande fan del lofi, vorrei che tutta la musica suonasse come un demo black metal, soprattutto quella pop.

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SD: A qualcuno non piace il discorso logo (Vans in questo caso)… e quel qualcuno ci ha scritto pure un libro, che per molti della mia generazione è stato IL VANGELO… sono cambiati i tempi? È la società che è cambiata? Che dici?
FG: ‘No Logo’ dici? Lo dovrei rileggere. Vans nello specifico ci ha solo dato le maglie che poi sono state serigrafate da Serimal. Comunque da questo punto di vista già far uscire un libro del genere per Spectrum, che è un negozio che fondamentalmente vende le Nike, direi che è problematico. Non ho la risposta, a me si è palesata questa possibilità e l’ho colta senza pensarci troppo. Io poi non ho un vero lavoro e sfortunatamente non sono (ancora) ricco quindi tutto fa brodo. Sicuramente c’è un interesse da parte della “moda” per le sottoculture, che a volte tende a trasformare una realtà underground in un prodotto da vendere o nell’ennesimo contenuto usa e getta. D’altra parte chi va ai concerti punk non va nei posti della moda e viceversa. Forse l’incursione nella moda può essere vista come un modo per monetizzare e poi ritorni nella comfort zone con gente che capisce quello che fai, tanto i due mondi non si guardano proprio. O meglio, la moda guarda le sottoculture come qualcosa di cui appropriarsi e la gente alla moda va al concerto punk quando è nel contesto moda ma la cosa finisce lì, nessuna persona moda va al concerto punk nel posto punk e i punk non vanno al concerto punk nel posto moda. Io ho comunque l’impressione che stiamo parlando di fenomeni, le sottoculture,  che sono un po’ degli zombie, e che questo interesse sia per colmare il vuoto del presente ma sento anche che sta per arrivare qualcosa di totalmente nuovo e sono più propenso a guardare in quella direzione piuttosto che nel passato.

SD: FANTASTICO!

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