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Salad Days Magazine | April 18, 2024

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Interviews

Face Your Enemy – interview

February 16, 2023 |

SD: Pizza, Birra, Hardcore! Face Your Enemy x Catania Hardcore Fest!

FYE: PIZZA! diciamo che è un po’ l’iconografia che si avvicina alla nostra cultura, è un’usanza nel napoletano come nel casertano, un momento per stare assieme, da noi la trovi ovunque, quella al cartoccio, colazione pranzo e cena.

SD: I video, secondo noi molto divertenti e ben riusciti, sembrano far trasparire lo spirito della band molto goliardico e autoironico, a noi personalmente sono piaciuti molto, anche se dal vivo risultate forse un po’ più seri, hanno avuto lo stesso effetto su di voi?
FYE: Guarda, nei video abbiamo voluto prendere in giro l’elemento tough/gangsta, perché di duro c’è solo la musica, noi siamo assolutamente distanti quel mondo simil macho/mafioso contro il quale siamo, col quale però dobbiamo convivere perché ci circonda, ma l’obiettivo dei video era far capire la nostra caratteristica principale e cioè che siamo dei cazzoni va! Volevamo prendere in giro l’attitudine da spacconi dei vari tamarri che ci sono in giro, che ti guardano storto a mo’ di sfida, tutte quelle tarantelle: “ma che cazzo guardi, cosa vuoi” ecc. solo perché fai “quella” musica strana, diversa, e allora ecco il nostro scherno con l’imitazione di quei gesti, ma in realtà noi siamo, riprendendo il motto PMA, Pizza Mental Attitude e rifiutiamo quella vita di merda nella quale abbiamo visto crescere gli altri!

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SD: L’idea del dialetto insieme all’inglese…
FYE: Beh, diciamo che è stata un’esigenza, noi ci abbiamo provato con l’inglese, ma oltre che maccheronico era ridicolo e provando il dialetto abbiamo notato che oltre a farci trovare più a nostro agio risulta più folkloristico e funziona.

SD: La musica, date l’idea che dopo il pezzo cadenzato debba arrivare prima o poi la parte veloce, quella che uno si aspetta sempre a un certo punto, solo che non arriva mai! E’ una scelta del gruppo o è il batterista che non vuol andare veloce?
FYE: Stasera i pezzi veloci li facciamo, dai! Ma di base diciamo che… non siamo i Nabat! Eheheh! Ci piacciono i ritmi cadenzati, ci vengono più naturali anche perché siamo influenzati dal rap, anzi il batterista vorrebbe correre e siamo noi a frenarlo, ci vuole il groove.

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SD: Birra Moretti et similia a 1,50euro (w la Sicilia) o birra artigianale a 5 euro?
FYE: La birra deve essere semplice, bionda classica della marca che vuoi tu, ma soprattutto…

SD: …marcia!
FYE: E certo! La birra artigianale non significa nulla, e uno dei nostri chitarristi non beve per niente, è un pro cola, giusto un sorso per brindare ogni tanto, lui…

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SD: In questo periodo siete un po’ scomparsi, vi siete fermati completamente?
FYE: Ci siamo resi conto che nelle nostre vite esiste anche altro, la famiglia, il lavoro, compresi altri progetti musicali, partecipiamo tutti a una crew molto più grossa la CBC che comprende molte attività.

SD: State suonando in giro o data unica?
FYE: Sai dopo tanti anni gli stimoli possono scemare, le aspettative cambiano, noi abbiamo deciso di fare meno date, ma più fighe, piuttosto di sciogliere il gruppo, scegliamo i contesti che ci piacciono come per esempio stasera.

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SD: Vegan…
FYE: Ognuno è libero di fare quel che vuole, personalmente non seguiamo questa linea, ma nell’ambiente punk/hardcore ne incontri tantissimi per cui massimo rispetto e soprattutto un plauso alla loro determinazione nel portare avanti quel discorso.

SD: I Bunker66?
FYE: Li conosciamo e ci abbiamo pure suonato assieme o incrociati nei festival, massimo rispetto!

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SD: Progetti?
FYE: Beh, abbiamo già dei lavori stampati, per ora va bene così oltre ad aiutare e portare avanti le nuove leve che incontriamo tramite la nostra crew CBC e di cui alcune fanno già parte.

SD: Writing e tattoo?
FYE: Nelle copertine potrai notare lo stile writing, e nella CBC oltre ai Cabras, writing crew CE, ci sono Lion, Pedro, ci stanno pure dei tatuatori e tutti ci aiutano nelle grafiche.

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SD: Squat o club?
FYE: Va bene tutto, abbiamo pure suonato in un bowling, l’importante è esprimersi, come anche l’amicizia, non sai quanta gente abbiamo conosciuto in ogni situazione e che frequentiamo tutt’ora, posto non è troppo importante.

(Txt & Pics Giuseppe Picciotto x Salad Days Mag – All Rights Reserved)

SUNSET RADIO INTERVIEW

January 27, 2023 |

Un periodo ricco di novità per i Sunset Radio, un disco pubblicato nel 2022, il cambio di frontman e oggi il ritorno con un singolo in italiano, ‘Pagine’. Ne abbiamo parlato con il chitarrista Matteo Rossi per saperne di più.

SD: Il 2022 è stato un anno decisamente movimentato per i Sunset Radio, partito con un EP di cover e conclusosi con un nuovo disco. Lascerei a voi la parola per descrivere come è stato vissuto lo scorso anno dall’interno della band…
SR: Ciao ragazzi! Sempre un piacere sentirvi! Movimentato penso sia la parola giusta. Tra Covid, cambi di line-up e uscita disco ne abbiamo passate! Diciamo che è stato un anno pieno di emozioni! Positive e negative!

SD: Onestamente conoscendovi da anni, quell’EP fu un po’ una sorpresa per me se rapportata a voi, ossia, vi siete sempre contraddistinti per l’indiscussa abilità di sfornare nuovi brani con una regolarità quasi svizzera, avere a che fare con un prodotto di cover beh, mi destabilizzò. Come è stato visto all’esterno (addetti ai lavori e fan) questo mini? Col senno di poi lo pubblichereste nuovamente?
SR: Era un prodotto registrato nel 2017, tenuto lì in caso di emergenza nel caso in cui la nostra abilità compisitiva in qualche modo si fosse fermata in un futuro. Non siamo amanti delle cover come puoi immaginare, ma in sé il fatto di ripercorrere le nostre radici e suonare i pezzi che tanto amiamo ci aveva in qualche modo gasato. Se tornassimo indietro in un momento cosi buio, sì, lo faremmo uscire di nuovo. All’esterno c’è chi si è gasato, chi l’ha messo in playlist e chi ha detto: “che cazzo fate?!”.

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SD: Eccoci poi giungere a quello che a mio avviso è tra le vostre migliori uscite di sempre, il disco ‘Thank You, Goodbye!’, che a prima vista poteva far pensare a vostro imminente addio dalle scene. Un disco importante sotto tanti aspetti, volete parlarcene?
SR: È sicuramente il nostro lavoro più maturo, più lungo a livello compositivo e più difficile a livello di ascolto. A mio parere un disco con solite tematiche Sunset Radio ma con aggiunta di tristezza e tutto ciò si sente anche a livello musicale, utilizzando accordi in minore, cosa che di solito non facciamo, e spendendo veramente tanto tempo nella creazione dei brani. Anche sulla registrazione abbiamo approcciato un metodo classico di registrazione con microfoni ovunque, e il disco è come un viaggio, godevole all’ascolto, difficile da suonare.

SD: Di voi ho sempre apprezzato la grande attenzione sul lato visual, con artwork e grafiche da urlo, e video studiati che prendevano le distanze dai classici video della scena alternative italiana. Su questo filone ‘Thank You, Goodbye!’ ha seguito questa tradizione, con un artwork fumettoso che colpiva da subito l’attenzione. Chi vi ha seguito negli anni sull’aspetto visivo e quanto a vostro avviso è impattante oggi sull’ascoltatore che ormai è per un buon 90% orientato al digitale?
SR: Ci consideriamo tamarri! (risate) A parte gli scherzi, ci piace sempre un po’ uscire dagli schemi, anche se la maggior parte delle volte è abbastanza inutile. Passare venti ore dentro un ex cinema abbandonato a -2 gradi per girare un video che fa fatica a fare 10k views non so quanto senso possa avere, ma a noi ci gasa e come diciamo sempre prima le cose le facciamo per noi, per divertirci, poi le condividiamo con i fan il pubblico e vediamo che dicono, quindi ti ringraziamo anche per quello che dici! La band è sempre stata quella che decideva le cose, non abbiamo avuto nessun tipo di aiuto esterno sulle decisioni e sulle cose da fare. L’artwork di ‘Thank You, Goodbye!’ è stato realizzato dal maestro Daris Nardini sotto nostra indicazione, un capolavoro a mio giudizio.

SD: Quel ‘Thank You, Goodbye!’ che pensavo si riferisse alla fine del progetto Sunset Radio si è rivelato invece un abbraccio al vostro frontman, col quale avete separato le vostre strade. Calcolando che lui fu parte integrante della band sin dagli inizi, quanto è stato complesso arrivare a questa scelta? Come avete affrontato questa scelta?
SR: Come tutti gli addii niente di semplice. Il titolo è stato dato prima di questa decisione, quindi una roba assurda. Noi diciamo sempre “ciao grazieeeee”, e da lì lo abbiamo voluto intitolare così. Andrea è stato il nostro frontman per 7 lunghi anni, con cui abbiamo condiviso tutto. La scelta non è stata facile ma purtroppo le nostre strade dovevano dividersi. Nella vita una persona ha sempre una classifica di priorità, e purtroppo per lui i Sunset Radio erano scesi un po’ di graduatoria e quindi nel miglior modo possibile abbiamo preso questa brutta decisione.

SD: Arriviamo al recente, ossia a quello che voi stessi definite il nuovo corso Sunset Radio, partendo dal nuovo frontman. Come siete arrivati a lui e cosa vi ha spinto a dire “è lui”?
SR: Enan diciamo che è stato la nostra prima scelta, senza avere una scelta, nel senso che abbiamo mirato direttamente a lui, senza chiedere ad altri. È una forza, è entrato subito dentro la famiglia Sunset, inserendosi immediatamente. Attendiamo con ansia il primo live, curiosi di come possa svoltare tutto il progetto.

SD: A livello di timbrica – pur avvicinandosi al suo predecessore – sembra molto più orientato a scenari melodici/pop, con una voce molto pulita nell’interpretazione. Questo suo modo di cantare ha in qualche modo influito sulle vostre scelte, pensando magari alla band in chiave futura?
SR: La chiave principale è stata la lingua italiana. Enan scrive a nostro giudizio molto bene e per la prima volta a livello compositivo è partito tutto dal testo… per noi è stata già una svolta. Abbiamo voluto avvicinarci più al pop che al punk cercando di non snaturare l’aspetto punk-rock dei Sunset. Sicuramente qualcuno magari più legato all’era precedente avrà qualcosa da ridire, ma voglio ricordare a tutti che per noi è una passione, un divertimento, e che se per caso una di queste due cose viene a mancare, c’è qualcosa che non va.

SD: Il 2023 si è aperto decisamente col botto, ossia con ‘Pagine’. Un brano che seppur in linea con il vostro recente passato prende le distanze attraverso un sound molto più catchy del solito e soprattutto nella scelta di proporsi in madrelingua. Beh questa potrebbe essere la vera svolta futura per voi, quindi raccontateci quanto possibile sul perché di questa nuova tendenza.
SR: ‘Pagine’ è solo la prima, sono pronti altri due singoli in italiano che faremo uscire entro l’estate. Siamo contenti di questo mood, l’ultimo test era sentirle suonate con basi in sala prove e direi che entrambe hanno superato il test. Per il momento ci vogliamo concentrare sul nostro Paese, sulla nostra lingua.

SD: Siete etichettati dai più come pop-punk band, da ‘Pagine’ in poi vorreste che questa definizione tramutasse in altro oppure il termine rimane a voi caro?
SR: Secondo me possiamo andare avanti tranquillamente con pop-punk band, poi se svolteremo ancora di più in futuro vedremo di trovare un termine più adatto a noi, ma secondo me rimarremo in questo ambiente.

SD: Avete suonato in Giappone, una fanbase che vede ascoltatori da ogni angolo d’Europa, non avete il timore che il proporsi in italiano possa “indebolire” un percorso – il vostro – fin qui ricco di soddisfazioni?
SR: Sicuramente, è stato il mio primo pensiero, ma magari con l’evoluzione che si sta avendo in questi anni, potrà anche l’italiano essere accettato di più all’estero. In ogni modo siamo partiti sempre dall’estero, e stavolta vogliamo provare a soffermarci di più sul nostro Paese che abbiamo trascurato precedentemente.

SD: Siamo al gran finale, so che avete diversi show già fissati per questa prima parte di 2023, volete svelarci qualcosa? Grazie ancora!
SR: Volentierissimo! 3 febbraio a Bologna con Dari, 10 febbraio a Roma al Traffic con The Anthem e 11 febbraio a Morrovalle (Macerata) al Drunk In Public!, 17 marzo a Milano. Sono solo le prime date, ne stanno arrivando tante altre! Grazie mille Salad Days come al solito!

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(Txt Arturo Lopez)

Incudine interview

September 16, 2022 |

In uscita a settembre il nuovo Incudine, ‘Wrong Place Wrong Time’. Grazie a Dario, mastermind e cofondatore (insieme alla moglie Ellen) di Devarishi Records, non ci facciamo sfuggire i due membri fondatori (nonché presenze costanti in ogni release): Cesare (aka Che) e Mox.

SD: Prima domanda, ovvia. 2013 primo album, fisico. 2015 secondo album, Bandcamp. Cosa vi ha portati alla realizzazione (fisica) di ‘Wrong Place Wrong Time’? In particolare: sono curioso di sapere da chi di voi due è venuta la spinta.
Mox: ‘W.P.W.T.’ è a tutti gli effetti il primo album a lunga durata di Incudine, con Che alla voce ed io alla batteria come unici membri rimasti dalla formazione originaria del progetto, che risale a fine 2012. Con l’ingresso di Gila (ex Maze – Furious Party) alla chitarra (che ha preso il posto di Luca dei Temporal Sluts e anche di Giulio ex Real Deal – Crash Box), e del nuovo arrivato Adam al basso (ha sostituito Cris Rigamonti e inizialmente Steve Traldi dei Rappresaglia) si è deciso di incidere una gran parte dei brani composti e non pubblicati in precedenza, affinché non andassero perduti… su iniziativa di Che. Da un incontro con Dharmavit (n.d.r. Dario) dell’etichetta specializzata in H.C. Devarishi Records avvenuto nel 2021, è poi nata la curiosità riguardo il nostro materiale più recente. L’entusiasmo di Dharmavit e della sua compagna Ellen, ha fatto sì che questo disco veda la luce anche in formato fisico, per il mercato mondiale: la scelta di pubblicazione in vinile (colorato), oltre che liquido, è stata dunque dell’etichetta. Come gruppo e come attitudine, siamo soliti procedere con tempistiche molto snelle, anche visto il genere, e in sede di registrazione cerchiamo di sbrigare tutto impiegando meno tempo possibile: abbastanza fedeli a come ci si presenta dal vivo, con numero di sovraincisioni ridotto al minimo, aggiungendo giusto esigue parti di chitarra e sezioni di batteria e basso spesso buone alla prima take. Fondamentali il supporto e le competenze di Carlo del Toxic Basement Studio, nel merito di una giusta intenzione da imprimere al nostro lavoro. Avrebbe potuto essere l’ultima registrazione e finire ancora una volta tutto in rete, visto che le più recenti annate di attività della band sono state parecchio ardue da diversi punti di vista… ma è andata diversamente.
Che: Andare a registrare ‘W.P.W.T.’ è stata da parte mia una scelta obbligata. Si tratta di brani che sono nati e hanno preso forma in un momento difficile per la band (e non solo) e che faticosamente abbiamo completato nell’arco di un paio d’anni, pandemia permettendo. E poi la mia intenzione era di vedere fissato uno sforzo collettivo, non mi aspettavo nulla di più. Fermare per sempre un qualcosa che rischiava di scomparire, dato che la band l’anno scorso ha attraversato momenti difficili. Poi per fortuna l’arrivo di Adam al basso ha rivitalizzato tutto e tutti, e andare da Carlo Altobelli a registrare è stata la conseguenza naturale di un nuovo impulso a proseguire. Adam si è integrato alla grande con Mox e ora abbiamo una sezione ritmica molto creativa e di buonissimo livello tecnico. Su questo spero che si continuerà a lavorare e a creare nuovi pezzi sempre più personali, sempre più “Incudine”.

SD: Prima domanda, (bis). Come è andato il concerto con Youth Of Today (fine luglio a Milano)? Da quanto non suonavate live? Che intenzioni ci sono? Uscita del disco con tour? Immagino che lavorare per Devarishi potrebbe darvi un’esposizione verso l’estero che altre etichette italiane non hanno…
Mox: La recente data milanese degli Y.O.T. ha sancito il ritorno di Incudine su un palco, con formazione rinnovata, dopo ben 3 anni: praticamente un nuovo esordio, nonostante decenni di militanza di ognuno di noi. In ogni caso clima positivo (abbiamo avuto l’onore di condividere e prestare parte della strumentazione coi ragazzi newyorkesi) e performance soddisfacente da parte nostra. D’altronde il contesto era quello giusto, in un locale abituato a questo tipo di sonorità. Essendo i nostri brani praticamente sconosciuti, non c’era da attendersi partecipazione con cori e stagedive, ma l’attenzione e l’apprezzamento non sono mancati. La costruzione delle canzoni da noi proposta differisce molto spesso dai “classici” N.Y. – H.C. della “Gioventù d’Oggi”, il che ha reso la serata più varia. Ora, a titolo personale, (ri)incontrare sul mio cammino questi 4 personaggi è stato piacevole, li ho sempre ammirati e per una certa visione della vita, in fondo, devo riconoscere alcuni meriti anche ai loro diversi lavori. Quando uscirà ‘Wrong Place…’ è auspicabile qualche data dal vivo. Un vero e proprio tour, con date che si susseguono… tendiamo a escluderlo. Porteremo comunque in giro questi brani, il più a lungo possibile. In ogni caso esprimiamo soddisfazione già del risultato di pubblicazione e distribuzione in Europa e USA, con Devarishi /Rebuilding.
Che: Secondo me il concerto è andato bene, finalmente il suono era quello che abbiamo in mente, potente e oscuro. Non suonavamo dal vivo dal maggio 2019, non siamo una band molto dedita ai concerti. Personalmente spero che con l’uscita del disco si presenti qualche opportunità di suonare Oltralpe; quando ero con i Real Deal ho suonato spesso nei paesi di lingua tedesca e mi sono quasi sempre trovato bene, c’era una considerazione nei confronti dei musicisti che in Italia era inesistente. Magari ora è cambiato qualcosa, ma non ne sarei così sicuro. Andare a suonare gratis come l’altra sera non è la nostra passione, tanto per capirci.

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SD: Seconda domanda, ho sentito qualche pezzo in anterpima (thanks again Dario), è c’è una ‘Holy Parasite’ (incupita) dall’album virtuale / bandcamp. Mi chiedo se ci sono altri pezzi del 2015 “rivisti”… BTW perché’ l’album uscì solo virtuale?
Mox: I 6 brani di ‘Holy Parasite’ uscirono solo in digitale per scelta: non avendo avuto finora un’etichetta che ci producesse, per ragioni economiche e perché i nostri concerti sono sempre stati una vera rarità, abbiamo ritenuto di non investire ulteriori risorse per stampare un supporto fisico. Alcune tracce “chiave” di questo nostro repertorio sono state salvate e risuonate con la nuova line-up, per meglio rappresentare ciò che siamo ora.
Che: Come potrai scoprire ascoltando ‘W.P.W.T.’, vedrai che quasi tutti i brani di ‘Holy Parasite’ sono finiti sull’album. Questo proprio perché li abbiamo risuonati con un’attitudine e una formazione completamente diversi. ‘Holy Parasite’ lo registrammo in fretta e furia perché il nostro bassista dell’epoca ci stava lasciando e gli chiedemmo di restare almeno per le registrazioni. Alla fine venne fuori un buon EP, ma vista la situazione molto incerta del gruppo non andammo oltre la versione digitale. Che venne ovviamente ignorata da tutti.

SD: Terza domanda, Ho parlato di “incupimento”. A parte ‘Holy Parasite’, mi hanno VERAMENTE colpito le atmosfere NERE (occhio, in senso hardcore) che ho sentito negli altri pezzi che ho ascoltato. Testi senza speranza… musiche (quasi) “post”. Mi volete spiegare un po’ il come (chi ha fatto testi/musiche), ed il perché (innegabile il fatto che stiamo passando un periodo “PESANTE”).
Mox: Il claim di cui Incudine si è appropriato è “HARDCORE IS SUFFERING”, stabilendo già le coordinate attitudinali e musicali all’interno delle quali nascono le nostre canzoni. Semplicemente, si predilige una scrittura in tonalità minore, che evoca maggior emozione e tristezza, a quelle melodie in maggiore che portano allegria e spensieratezza, in uso in altri generi, o da molte band che hanno un’intenzione differente. Forse ti riferisci a questo. Che poi il mondo sia in costante involuzione e si stia sgretolando innanzi a noi, mi sembra sotto gli occhi di tutti. Cesare scrive tutte le liriche e può rispondere nel merito.
Che: Una personale premessa sulla musica: io ho sempre concepito la musica come un mezzo espressivo potentissimo, e in molti momenti della mia vita è stato per me l’unico mezzo per esprimermi. Sono una persona poco propensa ai contatti umani che non siano profondi, le amicizie e i rapporti superficiali non mi sono mai interessati, e questo fin dall’adolescenza mi ha spinto verso la solitudine e un discreto livello di asocialità. Le compagnie, i gruppi, i branchi (o per meglio dire le greggi) non fanno per me. La musica ha letteralmente dato un senso alla mia vita in diverse occasioni, e grazie a lei ho superato i momenti più bui. Con Incudine è stato un lungo percorso di ricerca della nostra identità musicale (esistiamo dall’autunno del 2012), che è passato attraverso numerosi cambi di formazione nei quali i punti fissi siamo sempre stati io e Mox. Da un approccio più punk e r’n’r siamo lentamente scivolati verso atmosfere sempre più hardcore e cupe, e ‘W.P.W.T.’ è il coronamento di un processo lungo e sofferto. Posso affermare in tutta tranquillità che dopo dieci anni ci stiamo avvicinando ad avere una voce personale nella quale ci riconosciamo completamente. I pezzi sono composti sfruttando la sinergia tra le attitudini e gli ascolti di tutti noi, ognuno porta qualcosa di suo e contribuisce ad un processo creativo che trovo molto gratificante. Abbiamo pezzi di poco più di un minuto nei quali puoi trovare cambi di dinamica e di stile molto diversi tra loro, io lo trovo entusiasmante. Così come nulla ci vieta di imbastire brani con intro lente e quasi “doom” per poi esplodere con galoppate hardcore. L’importante è non conformarsi a un cliché solo perché quel genere lo richiede. Grazie per la parte di domanda che riguarda i testi, di cui sono l’unico responsabile. A volte ho come l’impressione che rispetto a una volta il lato “letterario” della musica passi sempre di più in secondo piano. Quando ero più giovane praticamente imparai la lingua inglese leggendo e rileggendo i testi dei miei LP preferiti, prima traducendoli e poi studiandoli. Forse anche per questo continuo a trovare poco intelligente la scelta di coloro che non mettono le liriche dei pezzi nei dischi. Forse ritengono che i testi siano superflui nella fruizione di una canzone? Non lo so, magari scrivono dei testi insignificanti, vallo a sapere. Riallacciandomi al discorso iniziale sulla musica come canale espressivo privilegiato, non posso che usare i miei testi come valvola di sfogo della mia parte più occultata allo sguardo degli altri. Si tratta di un processo di emersione di relitti che si muovono nelle profondità del mio animo e che solo così possono venire a galla e avere un senso. Non nego poi di avere molte ispirazioni che provengono sia dalle mie letture (sono un appassionato di letteratura horror e non solo) e dalle mie visioni. D’altronde se ‘W.P.W.T.’ si apre con un pezzo che si chiama ‘Irréversible’ una ragione ci sarà. Nelle note di copertina del disco vengono citati Louis-Ferdinand Céline, Thomas Ligotti, Michel Houellebecq, Bret Easton Ellis, Franz Kafka, Gaspar Noé, Nicolas Winding Refn. Ecco, ognuno di questi artisti mi ha ispirato sicuramente nella stesura dei testi e nelle immagini che ho voluto creare con essi.

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SD: Terza domanda, bis. Dario vi descrive come una miscela di Underdog/Black Flag/Cro-Mags. Vi vedete in questo triangolo? Io personalmente toglierei i Black Flag… che non associo alla “CUPEZZA” di cui sopra. Io forse metterei i Quicksand. Ci sono delle atmosfere, dei rallentamenti che mi fanno venire in mente quel “modo”.
Mox: Le influenze sono inevitabilmente molteplici, dato che tutti proveniamo da mezzo secolo di ascolti assortiti. Che poi (con le dovute proporzioni) il grosso dei riff e delle costruzioni possa trovare origine nel repertorio dei Bad Brains è una sorta di regola valida per chiunque nuoti nel mare dell’H.C. evoluto, specie di matrice statunitense: come è stato il caso dei Cro-Mags, è di conseguenza anche il nostro. Detto ciò, chi ci conosce personalmente sa bene quanto il nostro eclettismo sia una realtà. Sarà banale rispondere che sostanzialmente “facciamo ciò che ci viene spontaneo” assemblando varie idee, ma il risultato deve convincerci, altrimenti si riparte.
Che: Fermo restando il fatto che per il primo disco dei Cro-Mags rimane un capolavoro senza tempo e che gli Underdog erano una band pazzesca ma sottovalutata (sui Black Flag si è detto di tutto, inutile aggiungere qualcosa), non so se questo trittico decisamente impegnativo di nomi può inquadrare quello che facciamo in modo preciso. Quicksand? Sempre piaciuti, ma non credo che siano tra i nostri punti di riferimento, almeno non consciamente. Se poi noi te li facciamo venire in mente lo posso solo prendere come un complimento, sia chiaro. Io penso piuttosto a gruppi come Deadguy o Kiss It Goodbye, che si muovevano in una zona di confine interessante e poco definibile.

SD: Quarta domanda, per Cesare (ma anche per Mox). Per la serie gli estremi che si attraggono. Hai un passato negli Erode. Un gruppo molto estremo nei suoi messaggi “rossi”. Ed ora canti in un gruppo in cui (a mio modesto parere) vince il nichilismo (vedi anche la iena come vostro “simbolo”). Tutto questo con uno dei più grossi esponenti/paladini della spiritualità in musica (parlo di Mox)… e per un etichetta che fa uscire i più grossi nomi del “positive hc”… sono diverse fasi della tua vita… o sono diversi aspetti della tua personalità? Ci spieghi, se vuoi?
Mox: Mi permetto di inserirmi: ti sono grato per la stima, Francesco, ma temo che tu sia vagamente iperbolico definendomi “paladino” della spiritualità. La mia frequentazione di devoti di Krishna e nello specifico con il gruppo Govinda HxC project è stata un’esperienza bellissima e certamente decisiva per alcune importanti attitudini che mi identificano e definiscono ancora oggi, pur essendo trascorse tre decadi. Ma io non opero costante proselitismo sulle mie scelte, siano esse legate al rifiuto dell’antropocentrismo o all’essere lucido e salutista o a essere anarco-illuminista. Conduco una mia esistenza, semplicemente.
Che: Potrei parafrasare “Fight Club” e dirti che la prima regola degli Erode è che non si parla degli Erode. Gruppo che per me è stato sì importante ma che ha costituito solo una frazione del mio percorso musicale. Ho avuto esperienze che mi hanno dato molto di più a livello personale, dai Crash Box ai Real Deal, dagli Oltrecortina ai Matamachete e mi fermo qua per non annoiare. Incudine, che è iniziato quasi per scherzo dopo che io e Mox ci ritrovammo dopo anni ad una reunion degli Indigesti, è diventato il gruppo più longevo di tutta la mia carriera musicale e quello su cui ora investo le mie residue forze. Non mi aspetto certo fama o soldi, ma la realizzazione di un progetto musicale con una sua peculiarità e una sua evoluzione. Secondo me siamo sulla buona strada, facendo i debiti scongiuri. A conferma della tua tesi sugli opposti estremismi, potrei aggiungere che il fatto che la Devarishi ci abbia cercato e prodotto il vinile che uscirà rimane per me un mistero. Questo non mi impedisce di ringraziarli per la fiducia e il supporto che ci stanno dimostrando, anche se io sono distante anni luce dalla loro filosofia di vita. Non sono straight-edge, non sono Krishna, non sono un vegetariano inflessibile. Fumo, bevo caffè, ogni tanto ci scappa l’amatriciana, haha. Non c’entro nulla con il “positive thinking”: sono razionalmente pessimista ma vedo la musica come qualcosa di mistico, un veicolo di emozioni difficilmente spiegabile con la razionalità, e quindi non rinnego la spiritualità presente nell’essere umano. Essere umano che rimane pur sempre tra le creature più feroci che esistano, torna utile non dimenticarlo mai.

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SD: Quinta domanda, a Mox farei la stessa domanda, ma andando a toccare l’aspetto più musicale. Grande esperto di prog piuttosto che fan di un certo pop italiano, vedi Baglioni… allo stesso tempo batterista hc… diverse fasi della tua vita, o diversi aspetti della tua personalità? Come è possibile?
Max: So che trovi piena sintonia in una mia associazione al mondo culinario: la dieta bella e soddisfacente prevede tanto una pizza con aglio e origano, quanto una crostata di pesche, magari con aggiunta di panna… e non certo il medesimo piatto reiterato quotidianamente per tutta la vita. Ecco spiegato come sia possibile, ma soprattutto importante, passare dai Behemoth a Mia Martini, dai Popol Vuh agli Abba, dalla Mahavishnu Orchestra ai Suicide, da Moroder agli Area, o se preferisci dai Converge ad Albinoni, semplicemente a seconda del momento di luminosità della giornata o dello stato nel quale la tua mente e il tuo cuore si trovano. Esiste un contesto appropriato per qualunque emanazione sonora in grado di carpire la nostra emotività.

SD: Sesta domanda, messaggi o “atteggiamenti” forti/diretti possono portare a situazioni “strane” (certe volte io stesso sono “additato”, intendiamoci). Parlo di una ‘Frana La Curva’ che diviene un inno che unisce realtà trasversali sì, ma LONTANISSIME tra loro… parlo dei messaggi pro-life dei Cro-Mags (e di tanti altri)… parlo dei messaggi omofobi di HR (e di tanti altri)… voi che “ci siete passati”, sia attivamente in gruppi, che “passivamente” come fruitori/fan… come spiegate, ancora una volta, questo “gli estremi che si uniscono”?
Mox: Onestamente non credo che tali aspetti, diciamo connessi alla “comunicazione” di altre situazioni, abbiano a che fare con gli Incudine: non ci proponiamo come obiettivo primario quello di lanciare messaggi. Su questo spunto naturalmente può esprimersi Cesare con maggior cognizione di causa, dato che liriche e titoli sono farina del suo sacco. Ma non ricordo comunque “slogan” tra i testi dei nostri brani. Di me stesso posso tranquillamente dichiarare di NON essere pro-life, né omofobo, e i gruppi “cardine” statunitensi già abbondantemente menzionati vantano degli indubbi meriti sul piano musicale: più che altro è questa la caratteristica che ha suscitato entusiasmi, decretando il loro “successo”.
Che: Io sono sempre stato dell’idea che una volta che l’autore rende pubblica una sua creazione (può essere un libro, una canzone, quello che preferisci) perde il controllo della creazione stessa, la lascia naufragare come una zattera nell’oceano. Io non sono obbligato a dare un’interpretazione univoca della mia musica o dei miei testi; posso farlo se richiesto, ma il più delle volte ognuno vede nella musica o nei testi quello che preferisce, e io non posso farci nulla, la zattera è ormai in alto mare. Quindi può darsi che persone e attitudini diversissime tra loro convergano nell’interesse o addirittura nell’apprezzamento di una canzone o di un libro. L’autore non può farci nulla, non può emettere una fatwa e interdire un certo tipo di lettore o ascoltatore. Io stesso mi trovo ad apprezzare cose lontanissime tra loro ma non mi pongo limiti ideologici, posso passare da Majakovskij a Céline senza sentirmi in contraddizione.

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SD: Settima domanda, è innegabile che il COVID abbia riportato molti di noi “nel mucchio selvaggio”. Io personalmente sono tornato a fare “il giornalista” dopo anni di lontananza dalla scena perché alla fine penso che l’ambiente fine anni’90 fosse un po’ alle corde… che mi dite? Anche per voi il COVID è stata un’occasione per “riprendere” il filo col passato? E cosa mi dite dell’oggi? A Milano, per esempio, c’è tutto un fermento che si muove attorno ai vari T28/Boccaccio etc. etc. Fermento che porta qualcuno a dire “basta parlare degli’80… basta parlare dei’90… a Villa Vegan quando suonano i Tenia c’è più gente che i Sottopressione!”.
Mox: Onestamente, a noi non è accaduto nulla di differente, rispetto ai nostri “standard”; le nostre esibizioni sono sempre state talmente diradate… lavoriamo principalmente in sala prova, e abbiamo solamente ridotto un po’ il numero di incontri, per forza maggiore. E anche riguardo le nostre frequentazioni, in sostanza non è cambiato nulla. Non siamo assidui frequentatori di situazioni precise, ognuno sceglie ciò che gli interessa, indipendentemente dai luoghi.
Che: Purtroppo non ho molto da dire a riguardo. Sono sempre stato ai margini della cosiddetta “scena” e conosco un numero infimo di persone che ne fanno o ne hanno fatto parte. Amavo i Sottopressione e penso che siano stati sfortunati, fossero usciti in un altro momento avrebbero raccolto molto di più. Al momento tra i gruppi italiani mi piacciono molto La Follia e gli Psico Galera, in passato ho apprezzato Vetro, Scena, Smart Cops e Left In Ruins, tanto per fare alcuni nomi. Sul fermento milanese non ho nulla da dire e sul COVID posso solo aggiungere che fin dal primo momento ebbi la sensazione che si stava imbastendo il più grande esperimento di controllo psicosociale della storia. Rimango di questa opinione, al di là di ogni considerazione medico-scientifica si possa fare sulla pandemia. Se quest’ultima è stata un’occasione? Io penso piuttosto che sia stata la possibilità per un capitalismo globalizzato e autoritario di instaurare la società del “sorvegliare e punire” (cfr. Foucault) senza incontrare significative resistenze, cogliendo al balzo un boccone troppo ghiotto per lasciarselo sfuggire. Un boccone avvelenato per tutti gli altri, purtroppo.

SD: Ottava domanda, legata alla settima. Questa cosa dei “grandi vecchi” piuttosto che “ai miei tempi/anni’90 era una figata” etc. etc. rischia di isolarci dal mondo (vedi appunto “nostro” disinteresse per le nuove leve… piuttosto che “nostra” glorificazione di quel periodo, glorificazione che per me è stata fatta “un po’ troppo presto”). Cosa ascoltate/cosa vedete/cosa andate a vedere/chi incontrate/come vi ponete rispetto appunto ai “ragazzi”?
Mox: Ammetto che sarei un ipocrita se affermassi di essere scevro da motivati pregiudizi sulle sonorità prodotte dopo il 2000, per quanto le scene siano pullulanti di musicisti straordinari. Mi trovo in ogni caso fondamentalmente disinteressato a nuove proposte, pur acquistando e fruendo di musica a ciclo continuo, ma rivolgo la mia attenzione quasi esclusivamente a un glorioso passato, in tutte le direzioni. Di fatto, ormai appartengono già alla “storia” anche alcuni artisti che amo e che hanno conosciuto il successo dopo il 2000, come Muse, S.O.A.D. e per certi aspetti Steven Wilson o Adele e i Calibro 35.
Che: Io ne ho abbastanza piene le scatole di memorie dei favolosi anni’80, dei un po’meno favolosi anni’90 e così via; si scrivono libri inutili, pagine di memorie adolescenziali spacciate come momenti da scolpire nel marmo della storia della musica. La realtà è che mentre il punk in Italia ha avuto la sua legittimazione nel momento in cui si è dato un profilo politico (per me discutibilissimo e anche vagamente intollerante, per giunta senza incidere a livello musicale in termini di popolarità), per l’hardcore questo non è mai successo. É rimasto in una terra di nessuno dalla quale non è mai veramente uscito a livello comunicativo e massmediatico, e quindi trovo abbastanza patetico continuare a rivangare quei “favolosi anni” in cui praticamente non siamo mai usciti dalla riserva indiana in cui avevamo piantato le tende. Poi arrivò l’hip-hop e tanti saluti a tutti, calava il sipario sull’hardcore come possibile linguaggio giovanile di massa. Ma passiamo alle domande che faranno di me un vero boomer, haha. Cosa ascolto? Di tutto. Molto punk, molto HC, CCCP e Disciplinatha, musica dark turca, pop francese, rap olandese, EBM, new wave anni’80… e mi fermo qui per non tediare. Cosa vedo? Poco di quello che esce ora. Qualche film (potrei segnalare un film messicano ‘El Nuevo Orden’, veramente un bel pugno in faccia per lo spettatore o il fantastico ‘Midsommar’ di Ari Aster), e qualche serie ancora non troppo contaminata dal “woke”, quindi molto poco. Questa bigotta dittatura del “politically correct” prima o poi terminerà per sfinimento, ma nel frattempo avrà pesantemente condizionato le menti dei più deboli. Spiace per loro, ma sinceramente se sei fragile nelle tue convinzioni e ti senti un agnello spaventato da tutto, puoi rimanere nel gregge ed essere convinto che sia la soluzione migliore. “Dont’believe the hype” cantavano i Public Enemy nell’88, un
suggerimento da tenere sempre presente. Per quanto riguarda “i ragazzi”, posso solo dirti che quando entro in contatto con persone più giovani di me (praticamente quasi tutte, ça va sans dire) non ho nessuna difficoltà a rapportarmi con loro. L’età esiste solo nella testa di chi la vuole usare come scusa o come leverage, io ho la stessa attitudine di trent’anni fa e quindi i casi sono due: non sono maturato e non ho imparato un cazzo di nulla, oppure è la conferma che in mezzo a mille difficoltà avevo imboccato la strada giusta e non l’ho più lasciata.

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SD: Nona domanda, i tempi dei giovanissimi sono VELOCISSIMI. Parlo dei mezzi che usano. Parlo di Tik Tok piuttosto che della musica on line. Parlo anche della loro soglia di attenzione. Come mai secondo voi un tipo di musica PERFETTO per questo modo di fruire la musica (hardcore… canzoni da 1 minuto… singoli… link con gli sport dei giovani etc), in realtà perde rispetto ad altre “subculture”. Forse perché PROPRIO il discorso della ROTTURA è andato perso?
Mox: Sembra proprio che una minoranza, tra le ultime generazioni, si appassioni a musica in cui sono previsti strumenti tradizionali impiegati nel rock, come chitarre o batterie. Per la maggior parte di loro, a meno che non siano in possesso di strumento, suonare risulta qualcosa di obsoleto. Ma con la logica sempre vera dei “corsi e ricorsi storici” stiamo anche tornando a questa procedura nel proporre musica e spettacolo. Ma si deve sempre e comunque ringraziare i trascorsi luminosi di questi generi di musica. L’hardcore è uno tra i tanti. Noi lo proponiamo ancora “istintivamente” perché ci siamo nati in mezzo…
Che: Anche se l’hardcore teoricamente possiederebbe delle caratteristiche che lo potrebbero rendere interessante per i “ggiovani”, (e qui mi riferisco all’impatto visuale di molte band che sfoggiano abbigliamento sportivo, caterve di tatuaggi e bicipiti palestrati), rimane il fatto che la musica non è orecchiabile e fruibile nell’immediato come altri generi che riscuotono molto più successo. E per quanto riguarda la soglia di attenzione, penso che le de-evoluzione del genere umano sia in pieno svolgimento; l’assimilazione della cultura attraverso la parola scritta sta svanendo, sostituita dalla multimedialità che poi alla fine è la cultura dell’immagine. Una generazione cresciuta e addestrata a nutrirsi di video, immagini e qualche trafiletto esplicativo, troverà sempre più impegnativo concentrarsi nella lettura di un libro o di un articolo che superi le 10 righe, con buona pace del proprio livello culturale. Ovviamente i social sono stati il cavallo di Troia, hanno dato l’apparente possibilità a tutti di esprimersi ma in modo superficiale e a volte persino abbietto e primitivo. Una volta constatata l’impossibilità di una reale comunicazione verbale attraverso quei canali, ci si è orientati verso l’immagine o il video, molto più semplici e comodi; oltretutto mezzi appaganti per l’esibizionismo e il narcisismo di cui siamo impregnati. In mezzo a tutto questo penso che i margini di manovra per l’HC siano molto limitati: la rottura di cui parli con che cosa dovrebbe essere? Con un sistema che ha inglobato passo dopo passo tutte le sottoculture alternative (dal punk all’hip-hop, dal grunge alla techno) e le ha castrate e sterilizzate a fini commerciali? Ritengo che sia troppo tardi e che la de-evoluzione sia inarrestabile. Siamo alla soglia di cambio epocale nella concezione della vita umana stessa, scivoliamo nel trans-umanesimo quasi senza accorgercene. Forse l’unica sfida che l’HC e altri generi marginali (penso anche ad alcuni tipi estremi di metal o di industrial, tanto per citare un paio di sottoculture ancora relativamente impermeabili) possono raccogliere è quella di creare delle oasi di umanità, dove la creatività e la comunicazione si possano ancora esprimere senza dovere sottostare al mercato e ai suoi onnipresenti tentacoli. Più che di resistenza parlerei di esistenza vera e propria, almeno finché sarà possibile. Esistere, esistere, esistere, prima di scomparire gloriosamente nel buio (o nella luce, dipende dalla vostra visione del mondo, haha)! PUNTO

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(Txt Francesco Mazza x Salad Days Mag – All Rights Reserved; Pics Luca Ash)

DEAF LINGO INTERVIEW

August 30, 2022 |

In occasione dell’uscita del loro secondo lavoro ‘Lingonberry’ abbiamo scambiato quattro chiacchiere coi milanesi Deaf Lingo. A tenerci compagnia in questo scambio il cantante chitarrista Sandro Specchia.

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SD: Ciao ragazzi, grazie per prendervi un po’ di tempo a rispondere a queste domande! Innanzitutto vorreste presentarvi ai nostri lettori?
DL: Ciao belli! Siamo Deaf Lingo, ci dividiamo tra Milano e Monza. Siamo attivi dal 2015 e abbiamo pubblicato 2 EP e 2 dischi l’ultimo dei quali uscito per l’etichetta svedese Lovely Records nella primavera 2022.

SD: Il vostro secondo album ‘Lingonberry’ è ancora relativamente fresco di uscita. Volete raccontarci come è nato, le differenze rispetto alle produzioni precedenti e il riscontro avuto dopo l’uscita?
DF: ‘Lingonberry’ è stato registrato in pieno lockdown. Erano i primi mesi del 2020, avevamo dieci pezzi pronti ed eravamo sufficientemente preparati per entrare in studio. Salta tutto a causa del primo lockdown. Nel frattempo ci dimentichiamo come suonare. Passa l’estate, e iniziamo a rimetterci in pista provando per entrare nuovamente in studio. Boom, secondo lockdown. A quel punto con il morale sotto i piedi decidiamo di rimetterci in pista verso la fine dell’anno. Decidiamo nuovamente di prenotare lo studio per Marzo 2021. Questa volta, tra divieti e zone rosse riusciamo a presentarci e registrare il disco in meno di una settimana. Siamo molto soddisfatti di quello che è uscito fuori, per noi è stata la prima volta in un vero studio di registrazione, i vecchi lavori erano fatti in casa nelle cantine di amici.

SD: Una cosa che balza all’occhio è sicuramente il fatto che il disco è uscito per la svedese Lovely Records, una delle realtà più interessanti degli ultimi anni che ha pubblicato dischi notevoli. Come siete finiti nel loro radar?
DL: Dopo le registrazioni, con il master in mano, abbiamo iniziato a sentire diverse etichette italiane e internazionali. Kaj di Lovely Records ci ha risposto dicendosi interessato alla collaborazione. Dopo varie settimane di scambi mail arriviamo alla firma di un vero e proprio contratto.

SD: I singoli che hanno fatto da apripista al nuovo album hanno tutti una variante della copertina ufficiale come artwork. E’ una scelta dettata da un concept che permea il lavoro o è semplicemente un marketing super efficace?
DL: L’artwork di ‘Lingonberry’ è stato curato dal nostro chitarrista Yuri. La Lovely ci ha chiesto di trovare una variante per i diversi singoli che rimandasse all’artwork del disco stesso. Siamo contenti di cioè che è uscito fuori e non vediamo l’ora di avere il disco in mano. Per ora è in preorder sulla nostra pagina bandcamp.

SD: Il vostro sound è sicuramente indirizzato verso un ibrido tra garage rock e un certo indie che strizza l’occhio al punk, creando una miscela fresca e non banale. Quali sono le vostre influenze principali?
DL: Ascoltiamo punk da quando abbiamo 12 anni. I nostri ascolti vanno dal proto punk degli anni’70 alle band fuzz/garage-ish uscite nell’ultimo decennio. Ascoltiamo anche molto rock anni’70 e surf californiano. Di seguito una carrellata random di artisti che ci hanno tenuto incollato ai nostri lettori cd e successivamente ai lettori mp3. Pixies, Nirvana, Dinosaur Jr, NOFX, Weezer, Thin Lizzy, Dead Boys, Sex Pistols, Buzzcocks, Ramones, Dick Dale. Se vogliamo invece spostarci in tempi più recenti possiamo citare Mac Demarco, King Gizzard And The Lizard Wizard, Ty Segall, Jeff Rosenstock.

SD: La pandemia e il post covid hanno dato una botta senza eguali al panorama musicale underground e non e solo ora si riesce a vedere uno spiraglio di luce. Siete riusciti a promuovere degnamente questo nuovo lavoro o state aspettando di poter andare in tour?
DL: Come per le registrazioni, la pandemia ci ha messo il bastone tra le ruote, anche durante l’organizzazione del tour. Abbiamo ritrovato un “giro dei concerti” molto più rallentato ma sopratutto molti posti caposaldo della musica dal vivo hanno chiuso, sopratutto a Milano. Ciononostante, siamo riusciti a suonare abbastanza tra giugno e luglio. Abbiamo ritrovato realtà che dalla pandemia ne sono uscite più forti di prima: gli amici genovesi di Adescite, l’associazione Risuono di Lecco e i romagnoli dello Slack Attack. Sarebbe da fare una statua a tutti i volontari che si impegnano ogni anno per organizzare feste e festival in giro per l’Italia. Noi ne siamo profondamente grati ed è grazie a loro che la musica underground in Italia non è poi così messa tanto male.

SD: E ora il classico domandone: cosa state ascoltando in questi ultimi tempi? Ci sono artisti o dischi che vorreste consigliare ai nostri lettori?
DL: Risponderò alla tua domanda prendendo direttamente alcuni artisti dalla nostra playlist condivisa: Princess Chelsea, Tijuana Panthers, Wavves, Bee Bee Sea, Turnstile.

SD: Cosa possiamo aspettarci dal futuro dei Deaf Lingo? Quali sono i vostri piani?
DL: Vorremmo dare ancora molto dal vivo prima di fermarci a registrare il disco nuovo. Posso anticipare che probabilmente ci saranno cambi di formazione da settembre. Stiamo programmando un tour europeo per la prossima primavera, quindi restate sintonizzati!

SD: Ancora una volta, grazie per l’intervista. Volete aggiungere qualcosa?
DL: Grazie a voi ragazzi! Vi salutiamo lasciandovi i nostri contatti. Se chi legge vuole invitarci noi siamo sempre disponibili a fare festa: deaflingomusic@gmail.com Vi ricordiamo che ‘Lingonberry’ è in preorder su bandcamp, in due varianti bellissime Red e Green, per qualsiasi info contattateci su instagram bella li!

(Txt Michael Simeon x Salad Days Mag – All Rights Reserved)

Cibo interview

August 13, 2022 |

I Cibo ci parlano di ‘Muzik’: intervista in esclusiva per Salad Days Magazine. I Cibo sono tornati con un nuovo album diviso in due parti.

Il loro sound è lì, sempre presente, ma ci sono anche interessanti scelte che possiamo aspettarci solo da dei matti come loro. Li abbiamo intervistati in esclusiva per Salad Days Magazine.

SD: Come sono cambiati in Cibo in tutti questi anni? Che cosa propongono oggi, nel 2022, che non proponevano agli inizi della band?
C: I Cibo hanno sempre proposto fino ad oggi ciò che proponeva la formazione in ogni sua fase. Ciò che suoniamo è il risultato della nostra identità momentanea. Ogni brano che abbiamo pubblicato è figlio di un incastro tra le persone che lo hanno concepito, suonato e registrato.

SD: Avete pubblicato un album diviso in due parti. ‘Muzik’ infatti esce in due volumi. Come mai questa scelta? E che criterio avete seguito per la suddivisione?
C: Abbiamo fatto questa scelta per due ragioni: la prima è dovuta a un fatto molto pratico, ovvero i pezzi non erano tutti completamente registrati e mixati nello stesso momento, il secondo è che dal momento che la pandemia ha reso la gestione a cui eravamo abituati molto diversa, abbiamo scelto di pubblicare ugualmente la nostra musica attraverso i mezzi digitali. Chiaramente nel mondo del web una costanza nella presenza è necessaria ed efficace. Speriamo comunque in futuro di stampare questo disco in un formato fisico.

SD: Quali sono i brani che maggiormente rappresentano l’una e l’altra metà dell’album? Se doveste sceglierne solo due, quali sarebbero? E perchè?
C: Ciascuno di questi brani ci rappresenta. Ogni singola nota e testo sono assolutamente condivisi in modo orgoglioso da ciascuno dei componenti del gruppo. Pertanto pensiamo che il disco vada ascoltato nel suo complesso e non attraverso dei singoli. Parte uno e parte due sono chiaramente diverse ma fanno parte di un unicum che abbiamo composto e suonato insieme nel corso degli anni 2019, 2020 e 2021.

SD: Le grafiche sono molto curate. Come è stato sviluppato il progetto visuale legato a ‘Muzik’? Quanto è importante saper azzeccare la copertina per un album, nell’epoca della musica digitale?
C: Azzeccare per persone come noi è assolutamente indifferente. Ogni grafica è stata realizzata a sé su ogni lavoro da noi realizzato. Il fatto che tu dica che sono tutte valide ci fa molto piacere. Nel caso di questo ultimo lavoro abbiamo molto semplicemente fatto ascoltare, con i testi alla mano, alla nostra carissima amica Silvia Sicks che fa il grafico di mestiere e che è una persona che ci lega anche a una amica importantissima che ha partecipato alla storia del gruppo e così Lei ha disegnato qualcosa per ogni brano. Ciò è stato infine integrato in una unica tavola. Ovviamente una bella grafica può distinguere un lavoro da un altro nel mondo musicale e crediamo che la sinergia tra ascolto e visualizzazione sia molto importante. Detto questo la musica è sicuramente la parte preponderante.

SD: Torino ha sempre sfornato grandi band e album in ambito “heavy music”, in particolare hardcore. Quali sono le band torinesi attualmente in attività che vorreste suggerirci?
C: Attualmente ci sono sicuramente movimenti nella scena torinese ma se si vuole aggiornarsi in merito la cosa migliore è ascoltare Radio Bandito che propone tutta musica indipendente e underground di livello. Considerando però la musica come un libro che si può leggere sempre senza alcun limite temporale e quindi vivendo le band importanti che hanno caratterizzato Torino in passato e che ci hanno formato e dato ispirazione dobbiamo assolutamente citare Arturo, Crunch, Woptime, Confusione, Bellicosi. Ma anche altre band per noi fondamentali come i Cripple Bastards, i Lama Tematica e i Tons.

SD: Come nascono i vostri testi? Hanno sempre questa vena ironica, ma si lasciano esplorare in una moltitudine di significati per nulla scontati e spesso anche impegnati.
C: I testi come la musica sono nati in base alle situazioni del momento. Molti sono stati scritti da Salamander (il batterista), forse la maggior parte. Ma altri sono nati nel gruppo, altri sono stati scritti da singoli elementi sulla base della musica già stesa o anche senza musica e sono poi stati adattati. Ciò che lega ogni testo è l’idea di voler esprimere qualcosa e di farlo senza limiti imposti. L’ironia non è tutto nella produzione dei Cibo. Ci sono tanti altri aggettivi che potrebbero descrivere i vari testi.

SD: Come ha impattato la pandemia sulla vostra esistenza a livello collettivo, come band? Siete riusciti a mantenervi attivi oppure avete dovuto aspettare che si calmassero le acque? Avete acquisito nuove capacità come musicisti in questo periodo? C’è chi si è dedicato all’home recording, chi ha affinato il songwriting e chi ha scritto centinaia di canzoni, usando il tanto tempo a disposizione… e voi?
C: La pandemia ha sicuramente sconvolto le dinamiche a cui eravamo abituati. Ma non abbiamo mai fermato la produzione musicale che non è stata l’unica cosa possibile da mantenere, anche se con fatica, e così abbiamo continuato a produrre musica, a registrarla, a suonarla. Fino a quando abbiamo potuto finalmente quest’anno uscire con ‘Muzik 1/2′ e suonare nuovamente dal vivo.

SD: Quali sono le band italiane con le quali vi piacerebbe condividere il palco o un tour?
C: Per noi suonare dal vivo è un momento di condivisione, composto da tantissimi aspetti: la programmazione, l’accoglienza, il pubblico, la situazione rispetto alla compagnia con cui si passa il tempo. Per rispondere alla domanda a noi piace condividere il palco con le persone a noi affini e con cui passiamo del bel tempo insieme, al di là del genere musicale che si suona. E lo dimostrano le date fatte con gruppi assolutamente distanti dal nostro genere musicale. In questo senso diremmo: abbiamo voglia di condividere il palco con chiunque abbia la nostra stessa voglia di passare qualche bella ora insieme.

SD: Cosa succederà, ora che ‘Muzik’ è fuori?
C: Ora ‘Muzik’ è edito e ne siamo fieri, ciò che accadrà lo determineranno molti aspetti relativi alle nostre vite private come sempre. Ma sicuramente abbiamo voglia di suonarlo il più possibile in giro. Per proporlo come lo abbiamo proposto a noi stessi in questi anni in cui lo abbiamo scritto e registrato ovvero dal vivo. Come ogni prova eseguita tra di noi e come nei concerti eseguiti fin’ora in questo 2022.

(Txt Gab De La Vega x Salad Days Mag)

Amesua interview

August 5, 2022 |

Dalla Sardegna con furore… e tanto sentimento, arrivano gli Amesua, formazione screamo punk dai riflessi multicolore. Un progetto interessante che meritava un approfondimento.
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Eddie Bunker interview

July 17, 2022 |

Gli Eddie Bunker sono un gruppo nato a Vicenza nel 2017.

Prendono in prestito il nome da Edward Bunker, figura mitologica di una certa cultura americana legata al crime e al noir, ex criminale che si è poi reinventato sceneggiatore, attore, consulente e scrittore.

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SD: Ciao ragazzi! Innanzitutto, prima di iniziare con le domande mirate, vorreste presentarvi ai lettori di Salad Days Magazine?
EB: Siamo una band di Vicenza nata con l’esigenza di esprimersi musicalmente in maniera del tutto spontanea, senza attenersi a delle precise etichette di genere. Facciamo metal/metalcore/posthardcore o quel che preferite, la cosa più importante è che la musica che creiamo piaccia prima di tutto a noi. Nasciamo con il preciso intento di voler “sporcare” il genere con mille influenze diverse, sperimentando e divertendoci nel farlo.

SD: Il vostro nuovo lavoro ‘Tormento’ è freschissimo di uscita. Volete parlarcene un po’ tra processo di scrittura e significati? Leggendo i titoli sembra esserci una serie di concept dietro questo album.
EB: ‘Tormento’ è stato scelto come titolo visto il periodo che ci ha colpiti tutti: due anni di inattività, di isolamento e malessere interiore che si accumulavano e che ad un certo punto avevano bisogno di una valvola di sfogo. Questo album è stato ciò che ci ha permesso di stare in piedi e di esprimere le sensazioni che ci hanno attraversato, che abbiamo vissuto in maniera tormentata per l’appunto, in un vera e propria “bolla”. Diversi sono i concept dietro ai testi: il voler raggiungere un obiettivo attraverso strade tortuose, rincorrere il tempo che cambia, l’assenza di adattamento e alla fine il coraggio di affrontare le difficoltà date dal periodo storico.

SD: Il vostro nome è un chiaro omaggio a Edward Bunker, una sorta di antieroe americano che è passato dal crimine alla scrittura, sceneggiatura e perfino alla recitazione, diventando un’icona del crime e del noir. Qual è la fascinazione dietro questa scelta?
EB: Edward Bunker è lo scrittore preferito di Alberto, ‘Educazione Di Una Canaglia’ è stato il libro che ha praticamente ispirato lo spirito di questo progetto musicale. La vita di Bunker grida e trasuda di sbagli, di ingiustizie subite e malefatte, ma allo stesso tempo urla anche di una rivalsa totale rispetto alle condizioni imposte dalla società. È stato un uomo che ha trascorso gran parte della sua vita tra la strada, l’abbandono, riformatori e carceri vari (è stato il più giovane incarcerato a San Quintino), è riuscito poi a trovare la vera libertà ed emancipazione nella scrittura ed attraverso il cinema. È quello che succede a noi attraverso la musica.

SD: Il vostro sound prende a piene mani da un certo tipo di post hardcore molto intenso. Quali sono le vostre influenze e come mai la scelta di cantare in italiano su un genere dal respiro internazionale?
EB: È innegabile che ci piacciano band come Converge, Every Time I Die, Norma Jean, Stray From The Path, Bronx, Gallows, ma allo stesso tempo non disdegniamo band come Idles, Mastodon, Daughters, Red Fang, Queens Of The Stone Age, Tool, Alice In Chains. La scelta dell’italiano è stata del tutto naturale, suonava bene e ci piaceva.

SD: Una menzione se la merita pure la copertina, che ad un primo impatto sembra pronta per un lavoro psichedelico moderno prima che l’ascoltatore cada sotto le mazzate dei vostri pezzi. Come è nata l’idea e qual è il significato dietro questo artwork?
EB: La grafica è nata grazie all’aiuto di Nicoló Gemieri: una città in fiamme per rappresenta il fallimento della società, una routine che porta le persone ad alzare il concetto di individuo, restando sempre più sole logorandosi in un tormento quasi ingiustificato facendo così decadere il concetto di comunità e quindi aggregazione. La città in fiamme é la non fiducia nel prossimo e nel futuro elemento chiave che accomuna di certo la nostra generazione. Il messaggio, alcune volte velato altre volte più esplicito, resta comunque una speranza al cambiamento.

SD: Anche se l’album è fresco d’uscita, avete già nuovi progetti in cantiere o preferite concentrarvi sulla promozione di ‘Tormento’?
EB: Ovviamente ci dedicheremo ai nuovi concerti, ma allo stesso tempo vogliamo continuare a creare nuova musica, sperimentando il più possibile senza costrizioni di alcun tipo.

SD: Domanda di rito: quali sono i vostri ascolti più recenti. Volete consigliare qualcosa ai nostri lettori? Non fatevi problemi a fare elenchi o ad approfondire.
EB: Come ascolti recenti: Idles, Tigercub, Foals, Turtle Skull, Elder, Balthazar, Inhaler, Fontaines Dc, Viagra Boys. Ascoltiamo generi molto differenti rispetto a ciò che suoniamo per trovare sempre nuove influenze.

SD: Volete aggiungere qualcosa?
EB: Grazie mille a tutte le persone che ci hanno sempre supportato e non smettono mai di farlo. Un ringraziamento speciale va a tutta la famiglia di Gold Leaves Academy in particolare a Giacomo Dal Ben, Tokyo San, DJ MS per l’infinito supporto.

#Eddie #Bunker #eddiebunker

(Txt Michael Simeon; Pic Martino Campesato)

Krifi Wag – Interview

June 20, 2022 |

Hanno pubblicato un EP e stanno inanellando una serie di date live, a riprova che la musica sta ritornando con spinta ed entusiasmo. Parliamo dei Krifi Wag, che abbiamo intervistato in esclusiva per Salad Days.

SD: Avete pubblicato da poco un EP live in studio. Pensate che questo formato possa esprimere al meglio le vostre sonorità?
KW: Assolutamente: Krifi Wag nasce per la condivisione e l’esibizione dal vivo, e siamo soddisfatti del risultato ottenuto tramite la collaborazione con il Fox Studio. D’ora in poi, inoltre, potrete ascoltare dal vivo la formazione definitiva del gruppo, con la recente aggiunta di un’altra chitarra… oltre a poter assistere al vero delirio di uno show dal vivo, liberi nello spazio da costrizioni tecniche!

SD: Che cosa costituisce il nucleo della vostra musica, dal punto di vista stilistico? Se doveste etichettarvi e dire “facciamo musica per fan di…”, di che gruppi potremmo parlare?
KW: Credo che nessuno di noi rimanderebbe Krifi Wag al particolare stile di un gruppo… quanto piuttosto alla sublimazione dell’esperienza dei quattro componenti, le quali godono di ampio respiro. Meglio guardare la luna e sognare con la propria testa, “facciamo musica per fan di cose belle”.

SD: Il Veneto è terra fertile per la musica underground. Quali altri progetti vi piacciono? Vi andrebbe di suggerirci qualche ascolto delle vostre zone?
KW: Vero, bello osservare tutto il movimento di questo periodo, le persone e gli artisti sono carichi e in sviluppo. Beh, delle nostre zone suggeriamo Krifi Wag, un vero portento, e Fred Buscaglione se fosse vivo e veneto! Poi salutiamo i nostri amici: Percossa Fossile, Galassia Club e Nairobi per dirne alcuni.

SD: Pensate che in Italia ci sia spazio per i tanti progetti indipendenti? Quali sono gli strumenti indispensabili per promuoversi quando non si ha a disposizione una struttura complessa come quella che supporta gli artisti più grandi? In questo senso, che rapporto avete coi social media?
KW: Per quanto ci riguarda, che ci si trovi a casa o in “terra aliena”, è fondamentale stabilire un rapporto umano col potenziale pubblico mostrando con trasparenza ciò che si è e da cosa si è mossi: a noi personalmente piace partire dal semplice dialogo, addirittura fermando la gente per strada per ufficiosamente invitare ai nostri concerti. Da questo gradino, passando ai social media, ci piace mantenere stile e spontaneità mostrando sui social l’immagine di noi stessi che noi in primo luogo percepiamo, “pubblicando” momenti ordinari intrecciati con arte, musica o semplice divertimento.

SD: Dal punto di vista tecnico, cosa non deve mancare tra le armi da palco dei Krifi Wag? Qualche amplificatore o pedale particolare? Qualche piatto della batteria che definisce il vostro sound? Questa è per i “gear nerd” là fuori!
KW: Più che armi da palco direi che siamo molto attenti a disegnare ogni tocco e ogni momento per farlo suonare con la giusta eleganza e risalto. Abbiamo perfettamente in mente che suono vogliamo raggiungere e non ci stufiamo di cercarlo, è come se non smettessimo mai di arricchire la realtà universale a cui abbiamo dato vita, con dei dettagli sempre più densi, tratti dalle idee particolari da cui nasce questa musica. Comunque questo fa si che nelle nostre Pedalboard, ci siano diversi drive, distortion e fuzz miscelati in maniera piuttosto diversa fra un brano e l’altro che ci permettono di dare molta dinamica ed espressività ai brani.

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SD: State affrontando una serie di date dal vivo. Come vi sembra la risposta? E com’è tornare dal vivo dopo il periodo trascorso negli ultimi due anni?
KW: Suonare dal vivo è per noi fondamentale in qualunque momento e circostanza: anche se l’ultima volta è stata, per dire, 24 ore prima. Tornare dopo le spiacevoli situazioni recenti è indubbiamente liberatorio, energico, con un leggero sapore di rivalsa verso il tempo cosiddetto galantuomo. La risposta ci pare più che positiva: in linea con la nostra personalità e il nostro modus operandi percepiamo di lasciare sempre, in qualche misura, un segno “Wag” a chi ci ascolta: preparatevi a una Krifi Mistica!

SD: A cosa lavorerete prossimamente? Avete in cantiere un nuovo album?
KW: Stiamo scrivendo del materiale nuovo in maniera insolita per cui siamo in fase di sperimentazione, vogliamo allungare lo show ancora un po’. Parallelamente stiamo per fare uscire il primo pezzo dall’Ep ‘Red Carpet’ Vol.1, che è solo il primo capitolo dell’album. Fra poco ne verrà annunciata l’uscita. Nel mentre ci sarà qualche sorpresa e poi l’uscita finale.

Jaguero interview

June 15, 2022 |

Inizialmente oggetto misterioso del panorama underground nazionale, i vicentini Jaguero, con gente di Regarde, Slander e Blankets, salgono alla ribalta con l’uscita del loro primo ep ‘Worst Weekend Ever’. Abbiamo scambiato un due chiacchiere con i quattro.

SD: Ciao ragazzi benvenuti su Salad Days Magazine, come state?
J: Ciao caro, tutto bene!

SD: Siete un gruppo nuovo sulla piazza anche se composto da volti noti nella scena underground italiana, per quanto abbiate tentato la carta del mistero fino a quando è riuscita. Ci parlate un pò del gruppo e pure del nome che avete scelto?
J: Jaguero è in primis un gruppo di amici. Inizialmente Andrea C. e Andrea C.S. hanno cominciato a scrivere qualche canzone per noia e senza una direzione specifica, ma qualche tempo dopo Matteo e Guido sono subentrati, completando la formazione e impostando il mood del progetto Jaguero: la presa bene. Il nome poi deriva da un vaneggio sul giocatore di calcio Aguero durante una festa, in cui ci siamo immaginati un wrestler mascherato tipo Rey Mysterio ma più sfigato e tormentato, chiamato appunto Jaguero.

SD: Personalmente vi conosco da un botto di anni e seppure avete iniziato con l’hardcore ora, pur mantenendone l’attitudine avete virato su lidi più melodici, come se questo progetto fosse uno spin off di quanto fatto con Regarde e Blankets. Come avete deciso di imbarcarvi in questa nuova avventura?
J: Il progetto Jaguero rappresenta un parallelismo rispetto alle nostre band, attuali e passate: nello specifico, Jaguero è solo un modo diverso di esprimerci, senza una particolare attenzione a genere o sonorità presente negli altri progetti. E’ un ensamble “alla mano” con cui vogliamo solo divertirci senza troppe pretese, quindi non c’è nulla di più o di meno rispetto alle nostre altre band, ma solo un “metodo” diverso per raggiungere lo stesso obiettivo. Per quanto poi Jaguero abbia un’importante parte melodica, non escludiamo che le prossime uscite possano dare spazio al nostro lato più aggressivo, chi lo sa!

SD: Parliamo un pò; di influenze. C’è sicuramente un vibe weezeriano anche se penso che ci siano di mezzo anche gruppi più recenti che vi hanno ispirato durante la composizione di questo ep.
J: Come gruppi cardine concordiamo tutti su Culture Abuse, Angel Du$t e Drug Church, però ovviamente l’ascolto personale di ciascuno di noi ha avuto il suo peso: Andrea C.S. è in fissa con The Weeknd e Battles, mentre Guido con il filone Julien Baker e Lucy Dacus; per quanto riguarda Andrea C. invece sicuramente Yellow Days e Hiatus Kaiyote, mentre per Matteo andiamo di Fiddlehead e Pkew Pkew Pkew. Poi è interessante il fatto che all’interno di ‘Worst Weekend Ever’ si posso trovare un sacco di sonorità “non volute” direttamente, come appunto Weezer o anche primi Foo Fighters!

SD: Epidemic Records ha curato l’uscita digitale di questo EP. Visto l’hype crescente state pensando anche ad una release in formato fisico?
J: La voglia di stampare ‘Worst Weekend Ever’ in vinile c’è ed è anche tanta (anche perchè siamo molto appassionati del formato in sè), però purtroppo gli impianti sono quasi tutti occupati dalle major e di conseguenza i tempi di attesa sono eterni. Altri formati sono o stanno diventando obsoleti, quindi siamo in una sorta di limbo decisionale ora come ora. Non escludiamo però una stampa postuma appena ce ne sarà modo, ma purtroppo per ora non c’è nulla di certo all’orizzonte.

SD: Avete da poco fatto anche il vostro esordio live, come è andata? Quali sono i vostri piani futuri?
J: Il primo live è stato veramente intenso: c’era un sacco di voglia di suonare e di divertirsi, ma ovviamente la classica tensione da primo concerto non mancava. Ci siamo presi un sacco bene quando abbiam visto molta gente cantare con noi già dal primo pezzo, ed è stato bellissimo. I piani per il futuro prevedono live e una nuova uscita attualmente in fase di composizione, sperando di portare ‘Worst Weekend Ever’ ovunque sia possibile!

SD: Domanda golosa golosa. Cosa state ascoltando in sto periodo e vorreste consigliare ai nostri lettori?
J: In questo periodo raccomandiamo le ultime ultime uscite di Phantom Bay, Ratboys, WAAX e I Feel Fine, evitiamo di citare poi i vari gruppi storici che ascoltiamo quasi costantemente!

SD: Grazie ancora per questa intervista! Volete aggiungere qualcosa?
J: Grazie a te Michael e Salad Days Mag per lo spazio, e grazie in anticipo a chiunque vorrà supportarci con un ascolto o passando ad uno dei prossimi live a fare due chiacchere. Ci vediamo presto!

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(Txt Michael Simeon x Salad Days Mag – All Rights Reserved)

Miss Fritty x ‘Gangsta Lady’ interview

June 1, 2022 |

Miss Fritty è un artista londinese, ma sarebbe un termine riduttivo per descrivere la talentuosa rapper che si è messa in gioco con ‘Gangsta Lady’, il nuovo disco per Victoria Label l’etichetta creata da St. Luca Spenish.

L’album presenta diverse influenze e cambi stilistici che vengono portati dalle sonorità della musica grime, l’R&B, la dancehall, l’house e il brazilian funky, tra i nomi presenti all’interno dei featuring spiccano quello di Nerone presente nel brano ‘Drop It’ e Louis Dee in ‘Making Love’ ed è distribuito da Believe. Miss Fritty domina la scena del disco facendosi forza dalle esperienze di vita e dai momenti di solitudine, creando così questo lavoro che rispecchia totalmente la figura di una donna forte e indipendente che si confronta con pregiudizi e stereotipi di un mondo prettamente maschile come quello della musica rap in Italia sorprendendo tutti con la sua attitudine.

SD: Ciao Miss Fritty e benvenuta su Salad Days Mag! Come stai? Parlaci un po’ di come è essere londinese, di come si lavora nell’industria della musica a Londra e di quali sono le dinamiche che avvengono quando una donna talentuosa come te decide di mettersi in gioco.
MF: Londra è nel mio cuore tanto quanto lo è Bari. Bari mi ha dato i natali e Londra mi ha accolta insieme alla sua scena musicale. Un grandissimo calderone di generi, culture ed influenze differenti, dove c’è sempre voglia e apertura di dare opportunità al “nuovo”, all’esotico. Dove non ci sono limiti di età o genere, perché il pubblico è sia eterogeneo che entusiasta. Dopo dodici anni qui, posso affermare che Londra è dove mi sento a casa. Mi conforta molto. Puoi essere quello che vuoi, quando vuoi… e non sceglierei mai una vita differente.

SD: Il disco che è uscito con La Victoria Records ha uno stile tutto suo e presenta nomi molto noti all’interno della scena del rap in Italia, come quello di Nerone. Personalmente credo sia uno dei brani più coinvolgenti di tutto il disco. Com’è stato lavorare con lui? E con gli altri artisti?
MF: Io e Nerone ci siamo trovati in pieno lockdown. La scena musicale stava affrontando un periodo di stagno e di insoddisfazione generale. Come artista potevi o stare fermo o convertire quel sentimento in qualcosa di magico e produttivo. Io e Nerone siamo quel tipo di artisti. Inutile dire che si sia creato un connubio alchemico nell’istante in cui abbiamo deciso di lavorare insieme sul singolo ‘Drop It’. Ci uniscono stima, amicizia e stessa etica lavorativa, ed è proprio questo che cerco in tutti gli artisti con cui lavoro. Nella mia musica – e quindi le mie collaborazioni – ricerco contemporaneità, bisogna riuscire a tradurre le esigenze ed i temi attuali cercando di mantenere una buona dose di autenticità. Per questo anche le altre collaborazioni sono tutte con artisti genuini, leali alle loro radici ed alla loro “soul”.

SD: Ci sono diverse influenze musicali all’interno dell’album, che spaziano dall’R&B alla musica grime. Da dove arrivano?
MF: Sono stata abbastanza fortunata da crescere in una famiglia dove si ascoltava molta musica. Quando cresci in un contesto come il mio, impari ad apprezzare generi diversi e, se diventi un musicista, impari a spaziare tra generi diversi. Da piccola amavo l’r’n’b , mio padre mi ha fatto conoscere il reggae e il funk, a Londra poi mi sono resa conto che il grime andava per la maggiore. A mio parere un musicista riesce a sentire ed ascoltare con orecchie diverse – quando un suono ci parla in una lingua che ci piace, ci incuriosiamo, la esploriamo, la pratichiamo e decidiamo di tradurla sui nostri testi.

SD: C’è un tema molto profondo che si percepisce dalla grande grinta che sei riuscita a tirare fuori e a esprimere con questo lavoro, ed è il tema della solitudine. Come si relaziona al concetto di donna moderna e forte? Come riesci a trasmetterlo attraverso la tua musica?
MF: Una donna moderna è forte, sa di essere sola. Sapere di essere sole e ripetersi – “va bene così perché basto a me stessa” – fa di noi donne forti. Il tema della solitudine è forte ma c’è spazio per i sentimenti… anzi c’è tanta voglia di sentimenti. Il singolo ‘Makin Love’ ne è un esempio. La donna forte è moderna e nel mio immaginario vuole innamorarsi, ma sa stare anche da sola, cade in piedi, lavora su un nuovo album durante il lockdown… la donna moderna di Miss Fritty non conosce rejections ma redirections.

SD: Come è avvenuta la realizzazione del disco con St Luca Spenish e come vi siete confrontati sul sound da dare a tutto l’album?
MF: Luca è un bravo produttore. I suoi beat erano diversi, avevano influenze interessanti, non banali. L’album è stato creato in maniera molto fluida, era facile lavorare sulle sue basi, i testi partivano in maniera automatica. Abbiamo entrambi delle personalità forti, ma ci siamo sempre incontrati a metà strada. È stato un percorso lavorativo interessante, stimolante, maturo. Direi che nella mia vita non ci sarebbe potuto essere un momento migliore per questa collaborazione.

SD: Come ci si sente ad essere una donna nel rap game che ha sempre avuto di default un corrispettivo maschile molto più numeroso?
MF: Essere donna nella scena musicale rap – e in particolare in quella italiana – è un percorso ad ostacoli. Credo che nulla sia facile per le donne. Devi essere professionale, ma leggera, sexy ma non volgare, diretta, ma non troppo sennò rischi di diventare strafottente. Se mi chiedi se è più difficile per una donna la risposta è sicuramente si, lo è. Ed è per questo che quando salgo sul palco lo faccio a pugni sul petto e testa alta, perché quel momento di fama me lo sono sudato fino all’ultima rima.

SD: Sei soddisfatta del lavoro fatto con questo progetto? Quali saranno i prossimi step dopo ‘Gangsta Lady’? Dei live magari?
MF: Si, sono molto molto soddisfatta anche perché mi ha permesso di affacciarmi di più all’Italia, visto che le dinamiche musicali dello stivale le avevo completamente abbandonate. Il suono è mio e non mi sono fatta influenzare affatto dai trend, quindi non posso che esserne fiera. Per i prossimi step, all’orizzonte ci sono un po’ di festival qui in UK e qualche data in Italia. Sto già lavorando per un prossimo progetto che mixa reggae e Hip Hop, ma siamo ancora agli inizi e non posso dire molto. Ovvio, non sorprendetevi se mi vedrete spuntare in qualche featuring con gli artisti che hanno collaborato al mio disco.

@missfritty
/MissFritty

(Txt Valeria Giudicotti x Salad Days Mag – All Rights Reserved – Pics Fabio Ficara)

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Ensi interview

May 9, 2022 |

Ensi, Jari Ivan Vella (Avigliana, 13 dicembre 1985) viene da Torino e la sua carriera inizia con il collettivo storico dei One mic formato da Rayden e Raige…

…insieme a loro ha gettato le fondamenta del rap Italia e dopo una serie di dischi pubblicati da solista e una mega partecipazione al tour con i Subsonica pubblica in parallelo l’ep ‘Domani’ l’ultimo di una serie in trilogia. Il disco vede collaborazioni con nomi noti nella scena di genere italiana come Nerone e Nex Cassel ed è interamente prodotto da Crookers. In occasione di una delle date del suo tour ufficiale lo abbiamo intervistato dopo la performance muscolare del CSO Pedro…

SD: Ciao Ensi e Benvenuto su Saladdays Mag. Il tuo ultimo ep ‘Domani’ è un ep interamente prodotto da Crookers come mai hai fatto questa scelta a livello delle produzioni e come è nata questa scelta? È stata una scelta fatta sulla base di quale influenze?
E: ‘Domani’ è una fase intermedia di una trilogia e avevo bisogno di un produttore che per una questione di visione e (anche di appartenenza alle giuste generazioni) fosse sulla stessa lunghezza d’onda insieme a me, riconosco subito i lavori che fa Frah e sapevo che sarebbe stato l’uomo giusto per questo ep, lui stesso mi ha spinto anche ad inserire e chiudere insieme a il brano ‘Baby’.

SD: Personalmente il brano che mi ha colpito di più a livello di liriche e concetti è ‘Mai’, cosa ne pensi della scena italiana e della piega che ha preso la musica in Italia ultimamente?
E: Sono domande che meriterebbero due concetti separati. Mai è una traccia che va in profondità questo brano vuole sottolineare la mia posizione e come vivo io la vita in generale parla di valori ma non lo fa in maniera banale e scontata e alla fine sembra unire quello che è la musica e la filosofia che DOVREBBE abbracciare questa cultura.

SD: Come mai questa scelta di inserire tra le collaborazioni solamente amici fidati? Come Nex Cassel per esempio che è una personalità dominante all’interno della scena in Italia.
E: Nex è un caro amico un veterano della scena ed è un fratello fa parte di una generazione di mezzo che ha sofferto agli inizi degli anni 2000 quando nessuno era interessato al rap e ha portato avanti come me una certa mentalità arrivando ad essere un artista di tutto spessore ed è uno dei rapper che più mi piacciono personalmente, è presente sulla traccia ‘Bad Boys’ in realtà è nato tutto molto semplicemente perché è stato come chiamare gli amici e fare una partita di calcetto il sabato pomeriggio.

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(in foto Nex Cassel)

SD: C’è un’influenza della musica Grime del Regno Unito tra i brani che hanno preso forma in questo progetto. Quando hai capito che questo sarebbe stato un genere che ti avrebbe coinvolto così tanto?
E: Più che della Grime io sono un grande fan della musica in UK e della DanceHall seguo con molta attenzione la scena della musica in Regno Unito sono molto affezionato a quel filone musicale e anche in questo ep ci sono dei cambi stilistici in alcuni punti che seguono quelle influenze sono un grande fan anche della musica jamaicana e ne ascolto parecchia proprio per conto mio.

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SD: Parlaci un po’ della collaborazione per il disco di Bigmama ‘The Next Big Thing’, si notano molte affinità tra di voi a livello artistico a partire dalla scelta delle produzioni, quando l’hai conosciuta?
E: Ma guarda in realtà mi hanno mandato il pezzo ed era interamente nelle mie corde secondo me Bigmama è un artista molto capace e ha un po’ i riflettori puntati addosso per il modo di porsi che ha e per il modo di esprimere i concetti che scrive, il nostro è un rapporto che sta crescendo piano piano collaborando insieme, vedremo dove ci porterà ma sicuramente arriveranno altre belle sorprese

SD: Parlaci un po’ dell’esperienza con i Subsonica. Alcuni artisti dicono che si fa musica veramente solo quando si sale sul palco e forse lo puoi confermare anche tu, Pensi ci sia una base di verità in questa informazione? Cosa ti ha lasciato condividere il palco con loro?
E: Con i Subsonica sono amico da più di 10 anni l’idea era quella di andare in tour assieme per me è un grande onore girare l’Italia con una delle band più iconiche Samuel era presente anche nel disco ‘Era Tutto Un Sogno’ e ho collaborato parallelamente con ogni singolo artista della band. Dopo due anni di stop mi hanno chiamato per suonare insieme. I Subsonica mi valorizzano molto e, anche per il prossimo progetto che sto elaborando andrò verso quella direzione insieme a loro e alle loro influenze.

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SD: Quando ti ha influenzato il pezzo del percorso che hai fatto con in One mic, sei ancora in contatto con loro e che rapporto c’è adesso che avete intrapreso strade diverse?
E: Anche se la vita ci ha portato a prendere strade diverse c’è un rapporto fantastico, per tutti i nostalgici spoilero che a breve succederanno delle cose. I One mic hanno contribuito molto al rapper che sono e mi hanno aiutato molto a imparare a scrivere bene i testi e a capire quali fossero le liriche più nelle mie corde e ad affrontare le prime sfide sul palco.

@therealensi
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(Txt Valeria Giudicotti; Pics Rigablood x Salad Days Mag – All Rights Reserved)

St. Luca Spenish interview

April 22, 2022 |

‘Sensation’ è il nuovo album interamente prodotto da St. Luca Spenish storico produttore palermitano ora localizzato da Bologna e cofondatore della sua etichetta Victoria Records.

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Nel disco sono presenti 8 beats con batterie e combinazioni di sound che spaziano tra acid jazz, R&B, wonky e trip-hop e creano un viaggio nel quale lo stesso produttore ha preso parte. St. Luca Spenish, al secolo Luca Spataro (classe’82), ha studiato, si tiene sempre aggiornato e si rende sempre disponibile per sperimentare nuovi stili. Tutte le basi sono caratterizzate da suoni prettamente jazz e sono impreziosite dagli strumenti a fiato che si possono sentire in background e che trasportano l’ascoltatore in un universo creato ad hoc per rilassarsi e staccare il cervello dallo stress del quotidiano (non a caso il packaging del cd conterrà un grammo di infiorescenza e una confezione di tisane CBD – Canapa Vandino (BO) – create appositamente per accompagnare la pubblicazione del progetto). In alcuni tratti di questi tappeti musicali sono presenti interludi in penombra, tra i quali è possibile percepire un mood cupo e riflessivo, che l’artista ha voluto esprimere creando queste atmosfere smoothy che creano l’occasione perfetta per intraprendere un percorso introspettivo. Noi di Salad Days Mag lo abbiamo intervistato in occasione dell’uscita di questo primo step di una lunga serie.

SD: Ciao Luca e benvenuto su Salad Days Mag! Parlaci un po’ della tua etichetta La Victoria Records (distribuzione Believe). Come è nato il progetto e quali aspettative riponi su di esso?
LS: Ciao e grazie, ho fondato la Victoria Records con Simone Barbieri lo scorso febbraio e abbiamo inaugurato col disco di EliaPhoks ‘Ragazzi Per Sempre’ prodotto interamente da me con l’aiuto di Mrga per la distribuzione digitale e fisica, perché ancora in quel periodo non l’avevamo. Stiamo lavorando a molti progetti che usciranno prossimamente, inoltre è uscito il disco di Turi Moncada ‘Moncadas’ che vi consiglio di andare ad ascoltare. Abbiamo tutti i buoni propositi e stiamo lavorando come pazzi dalla mattina alla notte senza pausa, siamo carichi come non mai e presto sentirete tutto!

SD: Hai collaborato con tantissimi artisti nel panorama italiano (Noyz Narcos, Dani Faiv, Nerone, Clementino, Izi, Drefgold, Er Costa) e sappiamo che sei grande amico di Nex Cassel e anche lui in passato si è destreggiato in qualche lavoro come produttore. Gli hai mai dato dei consigli? La vostra amicizia è nata anche per questa condivisione?
LS: Sono amico con Nex da molti anni, lui ha iniziato a produrre da prima di me e faceva dei beat che spaccavano, ci siamo conosciuti a Palermo dove lui ha abitato per un periodo per chiudere il suo primo disco. Veniva spesso nel mio vecchio studio e da lì abbiamo iniziato a collaborare. So che sta lavorando molto a delle produzioni, quando ci vediamo scambiamo idee sul mix o sul master o su musica in generale. Sicuramente siamo diventati amici anche per questa condivisione.

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SD: La scena palermitana è un punto fermo nella storia del’Hip Hop in Italia ma hai deciso di avere il Plug a Bologna. Cosa credi sarebbe cambiato per te nel tuo percorso se fossi rimasto in Sicilia? Con il senno di poi ti è dispiaciuto esserti distaccato così dal panorama musicale palermitano?
LS: Amo Palermo, è la mia città ancora oggi anche se abito a Bologna. Ho preferito trasferirmi perché molte cose giù mi sembra che arrivino distorte e avevo bisogno di stare in un territorio dove potermi permettere di lavorare con lo studio e con i dischi, se non avessi abitato a Bologna probabilmente non avrei fondato La Victoria Records.

SD: Cosa ne pensi della scena palermitana attuale? Intravedi del potenziale in qualche giovane leva che potrebbe tenere alta la storia della tua città?
LS: Palermo è sempre stata piena di talenti, da Stokka & Buddy a Gotaste, da Killa Soul a Street Food, dai Combo Mastas a Davide Shorty. Mi capita spesso di scendere, conoscere gente nuova e rimanere sorpreso, ma devo dire che tra tutti i Gorilla Sauce sono quelli che mi piacciono di più, Turi Moncada, Nevra, Issel e Frank Popa sono i rapper mentre Alex305, Yaweh e Valentino sono i produttori. Andateli a cercare.

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SD: In questo tuo disco in uscita il 21 aprile si sentono chiaramente delle sonorità jazz e delle batterie molto particolari che legano bene tra loro. Cosa ti ha portato a voler inserire, nelle atmosfere che poi sono state create, questo genere musicale? Hai studiato personalmente storia della musica? O hai seguito l’ispirazione del momento?
LS: Di teoria musicale ne so veramente poco, ho studiato i dischi, sono cresciuto con l’Hip Hop e la musica urban dei ‘90 che aveva un sound ipnotico e deep, almeno quella che piaceva a me, e ho sempre ascoltato generi alternativi, dalla house alla techno, dalla jungle alla drum & bass, dal soul al funk. Quando ho iniziato a lavorare al disco sapevo che volevo fare un disco che racchiudesse tutte le mie influenze e esprimerle senza limiti, è stato un flusso perenne durato due settimane.

SD: Notiamo anche delle sonorità molto in linea con il tuo background artistico. Questo progetto è il sintomo di qualcosa che è scattato in te e ti ha spinto a esprimere la tua creatività o semplicemente ti sei messo a fare quello che riesci a fare meglio per vederne il risultato finale?
LS: Diciamo che non riesco a stare fermo, ho sempre mille idee per la testa e cerco di svilupparle tutte al meglio. Questo è solo il primo di una serie di dischi strumentali.

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SD: Questo è la prima release che hai interamente prodotto tu. Come ti vedi in questa nuova fase nella tua carriera da solista? Ci saranno altri dischi su questo filone, hai altri progetti da portare a termine che ci puoi spoilerare?
LS: Non è il primo il disco che ho prodotto, basta andare sul mio Spotify per poterli ascoltare. Sono sempre stato un solista, ho fatto interi dischi con Nex e EliaPhoks e tantissimi altri e continuerò a farli. Sì dai, ti spoilero che usciranno a brevissimo il disco di Miss Fritty ‘Gangsta Lady’, il disco di Issel ‘Weekend’, il disco di Engeezo, Skinny Raise e Engeezo ‘Korowai’ e il disco di No Wordz ‘Vi Chiedo Scusa’ tutti interamente prodotti da me. Inoltre sto lavorando ad un progetto con Nex che spero vi possa annunciare il prima possibile! Seguiteci sui social e sui canali di streaming, abbiamo almeno un’uscita a settimana!

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(Txt Valeria Giudicotti x Salad Days Mag – All Rights Reserved)

NEXT TIME MR. FOX INTERVIEW

March 18, 2022 |

Chi l’ha detto che una metalcore band non possa scrollarsi di dosso questa etichetta volgendo verso altre sonorità?

Il caso dei Next Time Mr. Fox è proprio uno di questi, con un nuovo EP fresco di pubblicazione tra richiami beatdown e scuola metal nordica.

SD: Seguendovi dal precedente album, la prima cosa che voglio fare è complimentarmi con voi. Il percorso artistico intrapreso è sicuramente coraggioso e ambizioso, specie pensando che con il nuovo EP vi siete voluti prendere il rischio di allontanarvi almeno in parte dal vostro passato. Raccontateci innanzitutto come si è arrivati a ‘Babylon’, le prime idee, le jam session in studio e il suo sviluppo generale.
NTMF: ‘Babylon’ è, in tutto e per tutto, figlio del difficile periodo che tutti quanti abbiamo passato negli ultimi due anni. Sia per quanto riguarda la tematica espressa nei testi, sia per quanto riguarda la stesura dei brani dal punto di vista musicale. Abitando tutti in città diverse, che pur essendo vicine ci sono sembrate lontanissime a causa delle varie restrizioni, ci è stato impossibile ritrovarci personalmente e jammare nella nostra sala prove. Abbiamo dovuto ripiegare su un approccio di scrittura digitale, passandoci i vari contenuti tra di noi, per poi approfittare della temporanea “tregua” estiva per registrare le tracce in due studio tra Rimini e Carpi. Con questo EP abbiamo voluto attuare una sorta di esperimento; dal momento che ognuno dei membri della band viene da gusti e background musicali differenti, per la prima volta abbiamo deciso di non cercare un minimo comune denominatore che ci mettesse tutti d’accordo e focalizzarci su quello. Anzi, abbiamo cercato di mettere nelle tracce ognuna delle nostre differenti influenze, dal trash metal al beatdown, dall’epic metal ad un hardcore vecchio stile, confidando nella nostra capacità di poter amalgamare il tutto. Il risultato finale ci ha molto soddisfatti, e siamo certi che questo nuovo stile, o non-stile, sia la cosa più giusta per noi.

SD: Il fatto di esservi scrollati di dosso l’etichetta di metalcore band penso sia il fatto più evidente di questa volontà di procedere spediti verso un determinato percorso. Quali nomi vi hanno ispirato a livello di sound mentre eravate in fase di scrittura?
NTMF: Sicuramente. Fin dal precedente ‘Sunken City’ ci siamo concentrati su un cambio di stile che si era già concretizzato col singolo ‘Basilisk’, precedente all’EP. La dicitura “hardcore-metal” che ci era stata data in alcune recensioni del nostro precedente album ci ha galvanizzato, ed è stato il primo indicatore che ci ha diretto su questo cambio di rotta. A livello di sound, abbiamo amalgamato diverse nostre influenze; ad esempio: Sylosis, Lamb Of God, Gojira, The Haunted, Code Orange, Malevolence, Terror, Trivium. Ogni brano dell’EP denota stili ed influenze differenti. Pur apprezzando ognuno dei brani presenti in ‘Babylon’ trovo che sia proprio la titletrack la traccia perfetta per descrivere i Next Time Mr. Fox odierni, riffing cristallino, ritmiche sostenute e un cantato aggressivo che mi ha ricordato a tratti Vithia (Rise Of The Northstar) e a tratti Bozeman dei Whitechapel. Ci spiegate come sono nati i brani di questo nuovo EP? La parte centrale della nascita di queste tracce è stata probabilmente il necessario lavoro differito di stesura musicale. Essendo forzatamente separati dalle restrizioni, è stato fisiologico, oltre che per scelta stilistica, il dover adattare la scrittura alle differenti influenze di ognuno di noi dovendoci passare di volta in volta tra di noi i vari riff per la costruzione dei brani. A livello vocale, invece, il cambiamento più peculiare è l’inserimento della voce clean del nostro chitarrista Roberto, a cui non avevamo mai dato il giusto spazio. Un valore aggiunto che d’ora in avanti utilizzeremo di più.

SD: Nonostante il DNA sia sempre lo stesso, trovo decisamente molto più d’impatto questo nuovo capitolo rispetto a ‘Sunken City’, sia a livello sonoro che vocale. Ci saranno degli aggiustamenti stilistici sui vecchi brani in modo da avere una scaletta compatta in chiave live o basterà semplicemente l’approccio odierno a livellare il tutto a vostro avviso?
NTMF: A livello di performance live abbiamo sempre avuto uno stile consolidato e questi nuovi brani sicuramente non ci preoccupano. I nostri vecchi lavori fanno sempre parte della nostra storia musicale e dei nostri gusti; siamo certi di poterli portare su un palco assieme alle nuove tracce mantenendo l’impatto che ci ha sempre contraddistinto.

SD: Quali sono state le fasi più complesse nella sessione di scrittura di questo EP?
NTMF: Il lavoro sulle tracce in differita, sicuramente. Ma, tramite questo, abbiamo avuto modo di “forzare la mano” al nuovo percorso stilistico che avevamo in mente. È stato sicuramente difficile, specialmente all’inizio, ma al contempo molto stimolante e il risultato finale prova che questo nuovo metodo ha dato i suoi frutti.

SD: Come penso qualunque vostro ascoltatore, anche io sono rimasto spiazzato da ‘Under The Moon’, soprattutto perché pensando a un EP, viene logico pensare che vengano sparate fuori subito le cartucce più in target con lo stile di una band. Invece coraggiosamente, ecco una ballad. Beh che dire, raccontateci tutto a riguardo, chi ha avuto questa idea, come è nato il brano e il motivo per il quale avete deciso di inserirlo in scaletta!
NTMF: ‘Under The Moon’ voleva essere la dimostrazione che possiamo fare ben altro oltre ad “urlare” e “fare del casino”. Volevamo far vedere che, se vogliamo, siamo in grado di affrontare qualsiasi sfida. A livello stilistico è stato un venir incontro alla passione per i brani acustici di alcuni di noi, fino ad ora mai valorizzata, e il volerci cimentare nuovamente con la stesura di una base musicale in digitale, cosa che per ora avevamo tentato solo col brevissimo interludio ‘R’Lyeh’ in ‘Sunken City’. Dovevamo anche dare il giusto risalto alla voce melodica del nostro chitarrista Roberto, a cui fino ad ora avevamo dato troppo poco spazio e che utilizzeremo molto di più nei brani futuri.

SD: Altro aspetto interessante è la presenza di Alex dei Malevolence in ‘Bestias’, il primo singolo. Ospitata che vuole ricordare ai più le vostre origini hardcore o semplicemente allargare i vostri orizzonti al di fuori dell’Italia? Come siete giunti a lui?
NTMF: Direi entrambe le cose. Le nostre origini hardcore, che tutt’ora permangono, sono indubbie e inoltre i Malevolence sono una delle band che più ci interessano e ci ispirano nell’odierno panorama mondiale. Abbiamo avuto modo di interfacciarci al loro ultimo live in Italia alla fine del 2019. Pertanto, una volta ultimata la stesura di ‘Bestias’ ci è bastato chiedere un featuring direttamente ad Alex e lui si è fin da subito mostrato molto disponibile. Siamo molto felici e onorati di averlo potuto includere in un nostro brano.

SD: Come sempre avete speso molta attenzione sul concept grafico di questo nuovo EP. Chi si occupa di artwork e grafiche? Come è stato sviluppato il concept grafico?
NTMF: Per il concept grafico ci siamo tenuti in linea con quello che è stato fin da subito il titolo dell’EP: ‘Babylon’. Tant’è vero che la copertina rappresenta la Porta di Ishtar, uno degli ingressi alla città antica di Babilonia appunto. Non ci siamo di molto discostati da quello che era il concept grafico di ‘Sunken City’, in fondo.

SD: Visto che in chiave live al momento è alquanto difficile fare previsioni, quali sono i prossimi step in casa Next Time Mr. Fox?
NTMF: Come tutti, speriamo di tornare su un palco vero e proprio il prima possibile. Nel frattempo, ci stiamo attivando per proporre qualche live-streaming sia per tenerci in allenamento che per prepararci a nuove date dal vivo non appena questa situazione sia diventata più accettabile per tutti.

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(Txt Arturo Lopez x Salad Days Mag – All Rights Reserved)

Pagoda interview

March 5, 2022 |

Anni trascorsi tra vari progetti hanno portato Giacomo Asti, musicista originario di Parma, ad intraprendere un nuovo, personale percorso.

Sotto il nome di Pagoda, il cantautore pubblica il suo album di debutto, ‘Amerigo Hotel’, disco di carattere e colori variegati. Con Tom Petty and the Heartbreakers e i REM nel cuore, ma con gli occhi pieni di voglia di scrivere la propria pagina nella musica di questo Paese, ecco Pagoda. L’abbiamo intervistato in esclusiva per Salad Days Magazine.

SD: Come mai hai dato vita a questo nuovo progetto? E cosa ti ha spinto a scegliere il nome d’arte Pagoda?
P: Questo progetto è figlio dei brani che ho scritto in questi ultimi due anni. Non avevo intenzione di iniziare a fare dischi a dire il vero, non era una cosa in programma. Mi sono messo a scrivere canzoni prima che la pandemia arrivasse, più che altro a scopo terapeutico. Avevo bisogno di incanalare le mie energie, i miei pensieri e le mie piccole ossessioni in qualcosa che mi rendesse soddisfatto di me stesso. Ho scelto la musica senza neanche pensarci. Suonavo da tempo nei locali della mia città e in passato avevo già provato a fare pezzi miei, ma senza l’impegno e la disciplina necessari. Quando le canzoni hanno cominciato ad arrivare, una dopo l’altra, ho capito che avrei dovuto fare i passi successivi: registrare, pubblicare e… scegliere un nome! Anche scegliere il nome è stato abbastanza naturale. Mi era capitato di inciampare sulla parola pagoda diverse volte nel corso degli anni e l’avevo sempre trovata misteriosa, simpatica, rispettabile e suggestiva. Insomma, mi aveva sempre colpito in qualche modo. La prima volta che l’ho sentita è stata quando un amico mi ha svelato che uno dei due stabilimenti dismessi delle Acciaierie Falck di Sesto San Giovanni veniva chiamato il Pagoda. La seconda volta ascoltando una canzone di Paolo Conte, ‘Pesce Veloce Del Baltico’. La terza volta quando ho fatto un viaggio in Giappone e ho chiesto alla mia amica/guida come si chiamassero tutte quelle torri di diversi piani che vedevo ovunque. Il mio cervello deve aver riservato un posto speciale a questa parola e quando si è trattato di decidere un nome mi è venuta subito in mente.

SD: Il tuo album di debutto è ‘Amerigo Hotel’. Cosa puoi dirci su questo titolo e su questo album? Ci sono canzoni che sono nate in un modo e finite sul disco in tutt’altro modo?
P: ‘Amerigo Hotel’ è stata la prima canzone a cui ho iniziato a lavorare per questo disco e ho sempre pensato che sarebbe stato il titolo perfetto da dare all’album. Mi suonava (e mi suona tuttora) bene. Le otto canzoni di ‘Amerigo Hotel’ rappresentano solo una piccola parte del repertorio che ho accumulato nel corso degli ultimi due anni. Non voglio tirarmela troppo, ma ho già materiale sufficiente per altri due album. Quando ho deciso di andare a registrare dovevo fare delle scelte e ho pensato che fosse giusto iniziare dai pezzi più immediati e semplici, quelli che non avrebbero avuto bisogno di una produzione massiccia e che non mi avrebbero complicato la vita. Detta così può sembrare una scelta poco ambiziosa, ma in realtà è stata una più dettata dall’urgenza: desideravo mettere su una band, arrangiare le canzoni, registrarle e pubblicarle nel minor tempo possibile. Non volevo esitare o rimuginare troppo sul da farsi. È stato un approccio poco prudente e un po’ incosciente, ma sono contento di aver fatto le cose a modo mio. Abbiamo registrato queste canzoni live, con una band di musicisti fantastici tutti insieme nella stessa stanza. Era tutto ciò che volevo. Certo, ci sono dei difetti qua e là, alcune cose potevano venire meglio, ma non ho grossi rimpianti. Sono molto soddisfatto di tutte queste canzoni. Per rispondere all’ultima parte della tua domanda, no, le canzoni sono finite su disco più o meno come le avevo immaginate. Chiaramente nessuna è aderente al 100% all’idea che avevo in testa, ma nessuna è uscita stravolta dalle fasi di arrangiamento, registrazione e mix. Le riconosco ancora tutte. Sono cambiate, ma non troppo.

SD: Come nascono i testi delle tue canzoni? Arrivano spontaneamente e con facilità o sono frutto di un processo elaborato e incostante? Ci sono testi che ti hanno creato particolari difficoltà?
P: I testi nascono spontaneamente, non direi con facilità, ma non è nemmeno un processo lento e laborioso. Sicuramente finisco prima le musiche, ma di solito riesco a completare una canzone in pochi giorni. Mi aiuta molto scrivere di ciò che conosco, che mi riguarda e mi circonda. E sì, due testi mi hanno messo un po’ in difficoltà: ‘Amerigo Hotel’ e ‘Un’Ora Di Libertà’. La prima perché riascoltandola dopo averla registrata, mi sono accorto che certe parole suonavano proprio male e penalizzavano il canto, così ho dovuto riscrivere certe strofe, cercando di mantenere gli stessi concetti, ma facendo attenzione al suono di ogni singola parola. La seconda perché… il testo non arrivava! Avevo scritto qualche verso, ma non riuscivo a capire dove volesse/dovesse andare a parare la canzone. Le mancava un cuore, un nucleo. Poi, come spesso succede, mi sono sbloccato e in un paio di giorni l’ho conclusa. Ma non è successo all’improvviso. Ho passato pomeriggi interi a sbattere la testa davanti a un foglio bianco di Word.

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SD: Cosa vuol dire per un musicista underground far uscire un album in un periodo storico come quello che abbiamo vissuto e stiamo vivendo, con risvolti cruciali per il mondo della musica dal vivo?
P: Non posso parlare per l’intera scena underground, ognuno avrà stimoli e motivazioni diverse. Ma posso parlare per me e, come dicevo prima, non ho fatto troppi pensieri prima di iniziare questa avventura, ero solo determinato a fare un disco di cui essere fiero. Se mi fossi messo a pensare troppo al mercato musicale odierno e alla situazione dei live (anche) in relazione al Covid penso che mi sarei scoraggiato e non avrei combinato un bel niente. Sicuramente per i prossimi lavori agirò diversamente e mi farò consigliare da chi ne sa più di me, ma dovevo sbloccarmi e ‘Amerigo Hotel’ l’ha fatto.

SD: Tra i tuoi riferimenti ci sono REM e Tom Petty and the Heartbreakers. Se potessi aver scritto un brano per ciascuno di questi gruppi, quali sceglieresti?
P: È dura sceglierne solo una per ognuno di questi artisti, ma ci provo. So già che farò il saputello, scusate, ma parliamo di artisti che amo. Vediamo… per Tom Petty direi ‘The Waiting’. Una canzone semplicemente perfetta. La melodia è entusiasmante, scorrevole, immediata e semplice (non facile). È curata nei minimi dettagli, ma all’ascolto suona tutto così spontaneo e naturale. Fa impressione. Poi adoro l’arrangiamento degli Heartbreakers, un capolavoro di buon gusto. Ma anche il testo e l’interpretazione di Petty non sono da meno. È una canzone che trasuda desiderio ed energia, con quell’amarezza di fondo a rendere tutto ancora più eccitante. Per i R.E.M. dico ‘Man On The Moon’. Una volta Beppe Viola disse: “Sarei disposto ad avere 37 e 2 tutta la vita in cambio della seconda palla di servizio di McEnroe”. Ecco, io sarei disposto ad avere 37.2 di febbre tutta la vita in cambio di ‘Man On The Moon’. È una canzone enigmatica, misteriosa, e beffarda, ma allo stesso tempo commovente e accessibile a tutti. Vorrei averla scritta, arrangiata, prodotta e cantata, anzi, mi basterebbe anche solo una di queste cose. È una canzone enorme. Ogni volta che l’ascolto rimango senza parole.

SD: Parlaci di Parma, dalla prospettiva di un musicista navigato che intraprende un nuovo percorso musicale. Pregi e difetti, senza restrizioni.
P: Senza restrizioni? Ok, sono andato a registrare a Montichiari, nel bresciano. Questo la dice lunga, no? Non che a Parma manchino studi e professionisti di alto livello, ci mancherebbe. Ci sono. Il problema è più mio. Parma è una città chiusa e io sono caratterialmente un po’ chiuso, dovrei sentirmi a mio agio in questo contesto, invece no. È uno di quei casi in cui meno per meno non fa più, fa sempre meno. Non mi sono mai sentito parte della scena musicale parmense (ammesso che ne esista una). Quindi non conosco bene le realtà di questa città, le sue dinamiche. Collaboro con pochi musicisti qui, quasi tutti amici fidati e che stimo artisticamente. Dal punto di vista live, invece, Parma va un po’ a cicli. Ci sono periodi in cui tanti locali fanno suonare e funzionano bene, altri in cui i locali scarseggiano e sono gestiti male. Giudicare l’andamento di questi ultimi due anni sarebbe ingiusto vista la presenza del Covid. Mi auguro che si esca definitivamente dalla pandemia e che tornino a fiorire tante attività che fanno musica dal vivo.

SD: Cosa possiamo aspettarci da Pagoda ora che l’album è uscito? Quali sono i progetti futuri?
P: Il mio primo obiettivo è recuperare il release party già programmato per la data di uscita del disco, ma che è stato rimandato causa Covid. Dovremmo riuscire ad aprile. Incrocio le dita. Poi continuare a suonare live per portare queste canzoni fuori dai confini della mia città e regione. Infine, sto già pensando a qualche singolo da pubblicare prima di immergermi totalmente nella realizzazione del prossimo album. Insomma, se dovessi riassumere i progetti futuri in una parola direi: insistere!

Pic Credits: Maria Buttafoco