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Salad Days Magazine | April 19, 2024

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Funk Shui Project interview

Funk Shui Project interview
Salad Days

Da qualche anno le sonorità hip hop sono state sdoganate prepotentemente al grande pubblico di casa nostra, scalando le classifiche e occupando di prepotenza le scalette delle radio nazionali.

Tra tanta ‘fuffa’ ed entità modaiole che scompariranno inesorabilmente troviamo per fortuna anche personaggi che hanno davvero qualcosa da dire e che portano avanti il loro discorso musicale fatto di qualità e coerenza. I torinesi Funk Shui Project sono degli ottimi rappresentanti di quest’ultima categoria e vi consigliamo di recuperare quanto prima il loro ultimo album autointitolato, fulgido esempio di hip hop (e non solo) di qualità.

SD: Partiamo con una domanda facile facile… chi sono i Funk Shui Project?
FSP: I Funk Shui Project, al netto degli eventi, si possono definire una Hip Hop Band, anche se forse l’accezione del genere potrebbe, ad un primo impatto, restringere troppo il campo del progetto.

SD: Com’è nato ‘Funk Shui Project’ (disco)?
FSP: È venuto fuori da solo in un certo senso. Sul finire del 2012 abbiamo fatto il primo pezzo con Willie, “il problema non è” e ci è piaciuto talmente tanto che abbiamo deciso di non smettere più. Non è esattamente un concept album perché non ci siamo concentrati troppo su cosa volevamo dire o sul come prima di iniziare a lavorarci, abbiamo semplicemente seguito il flusso naturale delle cose.

SD: Il fatto di ‘suonare’ con una band vi pone come una sorta di mosca bianca nel panorama attuale italiano: questa scelta, oltre ad arricchire il vostro sound e dare al progetto un tocco più ‘caldo’ rispetto a quello che circola attualmente, cosa comporta in ottica di gruppo?
FSP: Diciamo che non è stata una scelta, è che siamo dei musicisti e quindi non possiamo che suonare. Le dinamiche sono quelle tipiche di qualsiasi band, a dispetto di ciò che si potrebbe pensare se si considera unicamente l’idea che si ha in Italia dell’hip hop e del rap. Dall’ingresso di Natty Dub alle keyboards, AntonWave alla batteria e Willie Peyote come lead voice in poi non c’è stato altro che la consapevolezza di avere un nucleo organico e consolidato. Tutto questo in realtà più che comportare qualcosa, significa semplicemente poter contare sia in fase di produzione che di riproduzione live su persone con cui hai un feeling, una chimica.

SD: In questi anni stiamo assistendo a un overflow da gruppi/artisti rap: solo moda o c’è una “rinnovata” consapevolezza di un genere che ha comunque una ricca storia anche dalle nostre parti?
FSP: Noi, per fortuna o purtropp , giochiamo un pò con il mood degli outsider del genere; siamo un gigantesco ibrido, cosa che ci svincola dal giudizio che può avere il rapper più o meno skillato sull’argomento. Sicuramente la viralità sui social e media vari ha cambiato un bel po’ le cose. Rispetto a qualche anno fa è molto più facile produrre e soprattutto pubblicare la propria musica e tra tutti i generi musicali, ad un primo sguardo, il rap sembra quello più accessibile perché non è necessario studiare per imparare a suonare. Ed è questo il nodo: ben venga la diffusione di massa, l’accesso ai contenuti e ad ogni forma di cultura, purché non si viri sempre verso la strumentalizzazione in termini di tendenza e moda, degli stessi. Fortunatamente la lotta tra il bene ed il male continua ed in giro si trova tanta buona roba in questo oceano di new era e collane.

SD: E cosa state ascoltando in questo momento della marea di album/mixtape/singoli usciti in questi mesi?
FSP: Essendo in 5 l’eterogeneità degli ascolti è alta per fortuna. Ora come ora passiamo da Chris Cab a Nehruvian Doom per esempio.

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SD: Lavorando di fantasia invece, quale potrebbe essere collaborazione dei vostri sogni? Con quale artista vi piacerebbe lavorare?
FSP: Ci abbiamo talmente tanto fantasticato sopra negli anni che quando il Peyote è entrato nel gruppo abbiamo inconsciamente acquisito la consapevolezza che, come nelle migliori love story, ci bastiamo e completiamo così. La realtà interessante è quando le collaborazioni nascono spontanee senza preconcetti di divinazione dell’altro, ma per stima come con Kiave così con Hyst e Poor Man Style, etc etc… fare dei nomi italiani sarebbe da veri paraculo, scusate il francesismo, e farne di stranieri vorrebbe dire pisciare davvero lungo! Comunque tirando il dado possiamo dire: Erlend Øye, così ci salviamo in corner con classe.

SD: Provenite da Torino, città che la storia vuole sia sempre ricca di iniziative e ricca culturalmente: come state vivendo e cosa propone Torino in questi anni?
FSP: Senza voler fare i polemici e limitandoci al contesto musicale, Torino come tante altre città di Italia sta vivendo il periodo visibile a tutti: una sorta di proibizionismo culturale, dove proporre eventi che non siano le 4 scelte che in termini di showbiz tirino tutta la movida e intasino i botteghini, comporta la totale indifferenza da parte di sponsor ed organizzazioni… speriamo solo che questo periodo porti ad una volontà sempre maggiore di proporre ed emanciparsi dal fast food artistico italiano.

SD: Musicalmente pensate abbia influenzato le vostre sonorità o modo di fare musica?
FSP: Ci ha influenzato più nel modo di fare la nostra musica che nelle sonorità che abbiamo scelto. E’ una città particolare, in qualunque contesto si suoni la gran parte di quelli che stanno sotto il palco in realtà suonano o hanno suonato, inoltre non è sicuramente un metropoli quindi in fin dei conti ci si conosce tutti nell’ambiente e questo sicuramente fa di Torino una fucina di interessanti talenti.

SD: Passando dal serio al… serissimo: Toro o Juve?
FSP: Senza entrare in merito evitando così il rischio di aprire una disputa interna infinita ci limitiamo alla lista: batteria e chitarra bianconeri vs basso, keyboards e voce granata. E’ chiaro che su quel versante non c’è collante artistico che regga!!!

SD: Progetti per l’immediato futuro?
FSP: Al momento stiamo cercando di inanellare più live possibili in giro per la penisola perché il disco uscito è ancora fresco e vogliamo portarlo in giro. Nel frattempo stiamo lavorando ad un paio di clip per poi buttarci più in là sulla realizzazione di un nuovo lavoro. Chissà che in mezzo non esca qualche regalo estemporaneo…

SD: Se avete altro da aggiungere… sparate pure senza inibizioni…
FSP: Vi ringraziamo per il supporto e lo spazio concesso e vi ricordiamo che potete trovare il nuovo disco su Spotify, dategli un ascolto e, se poi vi piace:
www.funkshuiproject.com

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(Txt by Davide Perletti x Salad Days Mag – All Rights Reserved)

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