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Salad Days Magazine | April 19, 2024

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Salad Days


DEFTONES
‘Koi No Yokan’-CD
(Reprise/Warner)
5/5

Ho come la convinzione che i Deftones siano una delle poche band che non hanno sbagliato praticamente nulla nella loro gloriosa carriera (sì, anche ‘Saturday Night Wrist’ non era poi tanto male) e il nuovo ‘Koi No Yokan’ lo conferma ancora una volta. Altro discone, altro colpo al cuore, altro pezzo da conservare gelosamente. Dentro c’è tutto: asprezza hardcore, decadenza dark-wave, ruffianeria new-romantic (ditemi voi se ‘Romantic Dreams’ non è un pezzo dei Duran Duran convertito per gli uomini del futuro), turbini post-metal, contorsionismi djent. Chino Moreno si candida ancora una volta al trono di miglior cantante vivente, in alcuni casi (come nel singolo ‘Tempest’ o nella ballata elettrica ‘Entombed’) giungendo ad un passo dal vincere il titolo. Dal lato puramente compositivo, la band di Sacramento rilascia una straordinaria esplosione di flussi emozionali esaltati da arrangiamenti che percorrono suoni entusiasmanti, abbracciando un vastissimo ventaglio di espressioni, dalla delicatezza di ‘Rosemary’ all’aggressività di ‘Poltergeist’, sempre con risultati eccellenti. Inutile aggiungere che si tratta di uno dei dischi più belli dell’anno.
(Flavio Ignelzi)

DEPENDENCY
‘Love Not Wasted’-CD
(Blood & Ink)
3,5/5

Sembra che l’ugola sgangherata del cantante Kyle Fesmire parta qualche volta per la tangente e esondi fuori dai limiti canonici, come se fosse costantemente sopra le righe. A parte questa caratteristica, che può piacere o meno, i Dependency da Nashville (Tennessee) dimostrano di saper costruire dannatamente bene il loro hardcore evoluto molto movimentato, agile, pressante. Se escludiamo qualche piccola pausa (tipo la strumentale ‘Existence’, che sembra una derivazione post-rock della colonna sonora di ‘28 Giorni Dopo’ di John Murphy, e per il sottoscritto e pure molto bella), il disco suona tutto potente, combattivo, trascinante, alternando qualche momento tipicamente hardcore/noise tipo la struttura di ‘School Work Die’, a qualche chicca che si muove in ambiti più classici e lineari, tipo l’inizio di ‘Veteran’. ‘A Way Out’, poi, possiede i numeri per sfondare con linee melodiche più accentuate e un gran bell’impatto. I guest vocalist del disco, Clint Vaught (Jawbone) e Ryan Rado (Worker), contribuiscono a rendere ancor più vario un disco davvero valido, schizzato e fulminante, per una bella promessa dell’hardcore evoluto.
(Flavio Ignelzi)

INCITE
‘All Out War’-CD
(Graviton Music Services)
2,5/5

Essere il figliastro di una star del metal (in questo caso, il nome tirato in ballo è quello di Max Cavalera) porta inevitabilmente una buona visibilità, soprattutto se il genere proposto è molto simile (e in alcuni casi identico) a quello del più celebre genitore. La band di Richie Cavalera, nel caso particolare, sfoggia un impianto groove death/thrash abbastanza riconoscibile, con delle nervature hardcore e delle imposizioni ‘nu’ che ricordano i padrini (mai come in questo caso il termine è quello giusto) Sepultura, anche se spesso ci si avvicina molto pure alle direttive martellanti dei Pantera. ‘All Out War’ è il secondo album del gruppo di Phoenix (Arizona), e – come nel caso del primo disco – a girare le manopole dietro la consolle è Logan Mader, tanto che l’influenza Machine Head è pure essa lapalissiana e percepibile senza sforzi. Non saprei dire quanto sia costruito a tavolino o quanto sia farina del sacco della band: ho come l’impressione che dietro queste canzoni ci siano degli “aiutini” e che il disco non sia totalmente sincero. Ma forse mi faccio condizionare, anche perché i pezzi hanno bei momenti, incazzati e esplosivi, e la band non presenta cadute tecniche.
(Flavio Ignelzi)

PENELOPE SULLA LUNA
‘Superhumans’-CD
(I Dischi Del Minollo)
3,5/5

Mi era piaciuto molto ‘Enjoy The Little Things’, l’e.p. dei Penelope Sulla Luna che era seguito al debutto ‘My Little Empire’ (che invece mi ero perso). Il nuovo ‘Superhumans’ conferma il genere, un post-rock dinamico, sanguigno e appassionante, e l’assoluto valore del combo di Ferrara, che mostra anche grande coraggio, andandosi a confrontare con mostri sacri del calibro di Mogwai o 65daysofstatic, ma anche con icone del nostro prog (l’iniziale ‘Superhuman’ conduce dalle parti dei Goblin). Il terremoto emotivo scatenato da ‘To Kill You In Your Sleep’ lo conoscevamo dall’e.p. precedente, ‘Feathers Cry In Pillow Wars’ si attorciglia come rigogliosa edera rampicante attorno ai ruderi del rock strumentale, ‘Rainbow Club’ esalta i particolari e gioca con l’evanescente, ‘Vendetta!!’ esplode di chitarre per poi placarsi un istante, gli otto minuti di ‘Goblin’ viaggiano su di un piano astrale che pare lo stesso degli Explosions In The Sky. Basi synth, pianoforte e tastiere, giri di chitarra e basso si dileguano in crescendo di fuoco, ruffiani nel voler comunicare sensazioni immediate. Il quartetto di Ferrara costruisce piccole “opere rock” che difficilmente lasciano indifferenti. Bravi.
(Flavio Ignelzi)

HIGH FREQUENCY
‘High Frequency’-CD
(New Model Label)
3/5

La partenza con ‘Walking My Way’ chiarisce immediatamente la derivazione a stelle e strisce: post-grunge che affonda le proprie radici nella tradizione americana (tipo la seconda ‘Get Away’, ma anche la ballata ‘The Magical Mystery Love’), con un bell’impianto di chitarre e la voce di Luca Di Vincenzo che prova a posizionarsi al crocevia tra Eddie Vedder e Chris Cornell (con dei risultati tutto sommato apprezzabili). L’energia di ‘Go’, la malinconia seattleiana di ‘Sunny Rain’, il taglio crudele di ‘Revenge’ mostrano buone doti di rielaborazione, anche se in alcuni casi, come nel bombardamento ritmico della violenta ‘Believe In Your Head’, sembra di ascoltare qualche altro gruppo, nel caso specifico i Foo Fighters. D’altronde il quintetto marchigiano è nato, un paio d’anni fa, come cover-band della combriccola di Dave Grohl, e (lo sappiamo bene) le influenze è difficile scrollarsele di dosso. ‘Pig Uncle!’ chiude benissimo, con potenza e aggressività, un debutto che mette in mostra buone doti, con la sola esortazione per il futuro di provare ad acquisire una maggiore personalità distintiva, staccandosi dai modelli conosciuti.
(Flavio Ignelzi)

ALEX SNIPERS EXPERIENCE
‘Familiar To Someone Liv…Ing In Action’-CD
(Synpress44)
S.V.

A cinque anni dal debutto ‘Slackness’, ecco giungere il live per Alex Snipers, one-man band che ci introduce al mondo degli artisti di strada, di quei musicisti che portano la loro musica nei posti più disparati e affollati del mondo (diciamo così) civilizzato. ‘Familiar To Someone Liv…Ing In Action’ è il risultato ottenuto selezionando la grande quantità di materiale accumulato nel lunghissimo periodo di concerti in giro per la penisola. Voce, chitarra, pedali, amplificatori e la sua miscela musicale che è un crogiuolo di stili: blues, folk, country e psichedelia. I riferimenti di Alex Snipers (al secolo Alessandro Cecchini) devono molto al rock americano, declinato in una forma minimalista, scheletrica, essenziale nell’accezione positiva del termine, mettendo in evidenza l’ottima tecnica e, ancor di più, la timbrica calda e vigorosa, anche in ballate d’atmosfera come ‘Battersea’, nella quasi completamente strumentale ‘Floating’, nella REM-oriented ‘Someone Told Me I’m Guilty’ o nel dichiarato tributo al Delta ‘Neverending Blues’. Cosa importante: non viene la curiosità di riascoltarlo in chiave più elettrica ed elaborata, e questo vuol significare che probabilmente questa è la giusta dimensione del cantautore bergamasco.
(Flavio Ignelzi)

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