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Salad Days Magazine | April 19, 2024

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Reviews

Reviews
Salad Days


VERNON SÉLAVY
‘Stressed Desserts Blues’-CD
(Shit Music For Shit People/Azbin)
4/5
Dopo averci fatto venire l’acquolina in bocca con il loro e.p. omonimo dell’anno scorso, eccoci qua a parlare di ‘Stressed Desserts Blues’, full-length di debutto dei Vernon Sélavy. Una serie lurida e rutilante di movimenti vintage, spesso spudoratamente presi in prestito da qualcuno altro, come si conviene ad ogni ottima garage band, voci sommerse dal grezzo baccanale degli strumenti e passione allo stato puro. Stupisce che questi quattro gaglioffi siano torinesi, non essendo questa terra, nonostante la sua nebbia e la sua malinconia, mai stata troppo fertile per cantori del male e coccodrilli da palude. Cioè, se mi fossi lanciato ad indovinare, avrei detto la Louisiana degli anni cinquanta. ‘Fifteen Apple Seeds’ e ‘The Way It Goes’ (così profondamente diverse tra loro, psych-blues versus lentone doo-wop) le ricordiamo dal lavoro precedente, le altre ce le godiamo da subito. Se amate le invocazioni gospel (‘All The Sinners Burn’), il murder-blues (‘When We Two Parted’), le suggestioni southern (‘The Day Your Lies Will Bloom’) o latine (‘Shoes Of The Dead’), non attendete oltre nella ricerca di questo disco tanto retrò quanto coinvolgente.

 

WHISKEY RITUAL
‘Narconomicon’-CD
(Lo-Fi Cretures/Agonia/Avantgarde Music)
3,5/5
È la dicotomia droga/demonologia (almeno per quel che riguarda il bel gioco di parole del titolo) la visione che sta dietro ‘Narconomicon’, ritorno dei Whiskey Ritual dopo l’ottima prova d’esordio ‘In Goat We Trust’. Naturalmente abbiamo ancora a che fare con un distruttivo e malevolo black-metal il quale questa volta, sotto l’apparenza di un suono già conosciuto, dà vita a trame più articolate e meno impulsive. Potremmo dire che l’attitudine è un po’ meno ‘roll’ e un po’ più ‘core’, volendo lavorare per semplificazione, come nella lineare ‘Bootleg In A Bootleg’ o soprattutto nella frenetica ‘Hanged Joe’. Un titolo come ‘Lo-Fi Attitude’ assume immediatamente il rango di manifesto dell’intera etichetta (la Lo-Fi Creatures), con un coro che è quasi (e dico quasi) accessibile alla grande massa, mentre ‘Buccaneers’ e ‘Legend Of The Alley’ (ma anche altri frammenti sparsi all’interno dell’album) si avvicinano molto ad un suono sludge per nulla camuffato. La cosa più evidente è che ‘Narconomicon’ sottolinea una trasformazione in atto, all’interno del suono della band di Parma, che non sappiamo dove porterà, ma molto probabilmente sarà degna di attenzione.

(Flavio Ignelzi)

 

JC SATÀN
‘Faraway Land’-CD
(Teenage Menopause)
3/5

Per il loro terzo disco, il progetto italo-francese JC Satàn (Arthur, Paula, Dorian, Ali e Romain, dislocati tra Bordeaux – soprattutto – e Torino) si accasa presso la parigina Teenage Menopause Records, dopo anni con la Slovenly Records, e decide di riscrivere il suo garage-rock sgangherato ripercorrendo i paesaggi musicali di Pixies e The Queen Of The Stone Age. ‘Faraway Land’, così, ostenta una miscela tanto accattivante quanto sguaiata, capace di abbracciare influenze diverse, che non si riescono a collegare immediatamente alle band citate, ma che fanno storia a sé. La title-track, ad esempio, potrebbe rientrare nella categoria pop-noise con istinti stoner (e quindi abbracciare i riferimenti di cui sopra), ma le melodie sembrerebbero arrivare dai quattro baronetti di Liverpool (e lo stesso si può dire per ‘Psalm 6’), certamente più dei larsen deraglianti di ‘Legion’ o dei fischi irritanti e l’arrembaggio punk di ‘Damnation’. Tutto è come filtrato e distorto attraverso una lente deformante che gioca al ribasso con il lo-fi, restituendoli storditi e stordenti, come accade ad esempio in ‘Dragons’, stranita distorsione tra il brit e il proto-grunge. Insomma, tante buone idee.
(Flavio Ignelzi)

SUPERTEMPO
‘Brother Sun, Sister Moon’-CD
(Go Down)
3/5

Gruppo di Venezia attivo da un paio di anni e titolare di alcuni e.p./singoli (ad esempio ‘Denim Boy’, pezzo presente anche in questo album), i Supertempo hanno un suono meno perverso degli Stooges e meno pulito dei Stiff Little Fingers, con i quali possono vantarsi di condividere in una qualche misura idee ed azioni. Si può dire che rappresentano l’aspetto più garage di una scena che guarda al passato, alla Motor City e alla Londra di fine anni settanta, con una musica diretta, grezza, a bassissima fedeltà (per scelta), a tratti un po’ violenta, e un’attitudine rivoltosa alla quale, come mostra la solare immagine di copertina, la band veneta prova a sottrarsi. D’altronde il titolo dell’album non è nient’altro che il celebre motto di San Francesco. Le reminiscenze sixties (‘Franco B.’), il vecchio punk (‘Masturbation Breakdown’), rudi fondamenti psych (‘Having Read Your Horoscope I Can’t Help’) e persino western (‘Sons Of A Postman’) rendono questo debutto piacevole da ascoltare, verace e sanguigno, dall’inizio alla fine. Nasce la curiosità di vederli dal vivo e ascoltare altro, per capire quali siano le loro intenzioni e dove vogliano spingersi.
(Flavio Ignelzi)

STRIP IN MIDI SIDE
‘Non Ti Amo Più, Amore’-CD
(New Model Label)
3,5/5

Gli anni ottanta sono tornati, e questo lo sapevamo. Adesso pare che non se ne vogliano più andare via. La qual cosa, nel caso dei Strip In Midi Side, non è mica un male. Il quartetto salernitano preme sull’acceleratore dell’elettro-rock con liriche che hanno una forte componente ironica e spesso satirica, una scrittura ricercata e arrangiamenti synth curati nei dettagli, una sconfinata passione per la canzone d’autore e per i gruppi attigui a quella tendenza (Battiato e Bluvertigo, banalmente) e per la new wave mitteleuropea più ritmata. Questi gli ingredienti di un lavoro che un quarto di secolo fa sarebbe stato un dovere assoluto, e oggi si ascolta con piacere. ‘Resistenza’ possiede una bella spinta combat, ‘Di Chi È?’ sfrutta delle linee melodiche fin troppo immediate (ma efficaci) e un testo che è uno spasso (“la nostra banca è come un tanga/stretta, spinge tra le natiche”), ‘Moody’s’ è un pezzo di ruffianeria sintetica. Il fulcro, piuttosto, è un altro: per gli uomini degli eighties il mondo della finanza era ciò a cui aspirare (soldi facili, bella vita); ora, i loro figli e i loro nipoti maledicono quel mondo e ciò che ha generato. Ma gliela cantano con gli stessi, identici, modelli sonori.
(Flavio Ignelzi)

X-RAY LIFE
‘X-Ray Life’-CD
(Atomic Stuff/Andromeda)
3/5

Ennesimo exploit della scena grunge tricolore. È importante dire che gli X-Ray Life preferiscono ispirarsi a una forma meno edulcorata rispetto a quello che siamo abituati a sentire, scrivendo canzoncine cariche e pesanti, col punk che fa capolino più volte (‘Coma Like A Dream’), con le chitarre che ruggiscono e la sezione ritmica che pesta a dovere. ‘Lay On You’, ad esempio, predilige i tempi rallentati, le voci filtrate, le armonie crepuscolari, riportando alla mente gli Alice In Chains, ‘665 Inside’ è un hard-blues corrotto di grande intensità, mentre ‘Hey’ è di palese discendenza nirvaniana. La cover di ‘Suzie Q’ dei Creedence Clearwater Revival non è affatto banale, con quei chitarroni che sembrano arrivare dal nu-metal, laddove ‘Charlie The Shepperd’ è una fastidiosa spruzzata acida, sgraziata e lurida. Ottimo. Forse iniziare con ‘Machine-Gun Kelly’, che alla fine è uno dei pezzi più lineari e meno avvincenti (a mio modesto avviso), non è stata una grande idea. La band veneziana ha realizzato un buon debut-album. Forse è il caso di segnarsi il loro nome perché hanno i numeri per fare bene.
(Flavio Ignelzi)

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