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Salad Days Magazine | April 19, 2024

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Wormrot ‘Voices’

Wormrot ‘Voices’
Salad Days

Review Overview

8.5
8.5
8.5

Rating

WORMROT
‘Voices’–Vinyl
(Earache)
8.5/10


Digby Pearson per me è come quello zio che non vedi mai ma a cui sei affezionato perché è sempre stato generoso con te. Fondatore della Earache, questo signore tra la fine degli anni ottanta e la metà degli anni novanta ha dato alle stampe un terzo buono dei miei dischi preferiti. Digby ha avuto il merito di portare alla luce un mondo sotterraneo, fatto di ragazzini che cercavano solo di suonare più veloce e in modo più violento degli Slayer e si scambiavano cassette dai due lati dell’Atlantico per alzare ogni volta l’asticella. Grazie all’esplosione anche presso il grande pubblico di band come Napalm Death, Morbid Angel e Entombed, la Earache raggiunse risultati di vendita impensabili per una piccola etichetta ma questo successo non sarebbe durate a lungo. L’incontro/scontro con il mondo delle grandi etichette discografiche e il sorgere di nuove tendenze musicali (il nu metal dei Korn, l’industrial dei Nine Inch Nails) decretarono la fine dell’epoca d’oro della Earache, la quale perse il suo scettro di regina della musica estrema. “Make Earache Grind Again”; è stato lo slogan che, facendo il verso a Trump, ha accompagnato l’attesa del nuovo lavoro dei Wormrot chiarendone le pretese: riportare l’etichetta di zio Digby sul trono del grindcore mondiale. Pearson aveva scoperto i tre ragazzi di Singapore su internet dopo l’uscita del loro primo Lp ‘Abuse’ sulla Scrotum Jus Records, decidendo di offrire immediatamente loro un contratto per ‘Dirge’: il secondo album della band ha permesso loro di guadagnare in visibilità e in autorevolezza, considerata la padronanza con cui le 25 tracce proposte (in 18 minuti) aggiornavano la lezione dei maestri del genere. Alla luce di queste premesse non è difficile immaginare come le aspettative per ‘Voices’, il nuovo lavoro del trio, fossero alte, soprattutto se si considera che sono passati ormai cinque anni da ‘Dirge’, inframezzati solo dal pur buon ep ‘Noise’. L’ascolto di ‘Voices’, a mio modo di vedere, risarcisce gli amanti del grindcore per la lunga attesa ma soprattutto racconta molto efficacemente le ragioni di questo lungo silenzio: il suono della band appare infatti trasformato nella nuova prova, compiutamente tridimensionale, arricchito di molteplici sfumature che pure non intaccano la ferocia espressa. ‘Blockhead Fuck Off’, opener del disco, pone tutte le premesse per rassicurare gli amanti del genere sul fatto che i prossimi 26 minuti non deluderanno le loro aspettative, ma sarà ‘Hollow Roots’ a dichiarare in maniera esplicita le intenzioni di questo lavoro, con partiture di chitarra inusuali per il genere, le quali da lì in avanti impreziosiranno tutta la tracklist, aggiornando e ampliando la lezione di ‘Shift’ dei mai troppo compianti Nasum. Se dalle sei corde di
Rasyid passa il grosso dell’evoluzione del suono della band, i suoi compagni Arif e Vijesh garantiscono al combo la compattezza necessaria per poter competere con i migliori grindcore acts in circolazione: la voce di Arif passa agevolmente dal growl, allo screaming ad urla di stampo hardcore mentre il drumming di Vijesh, integrato nella formazione solo l’anno scorso, unisce blast beats e cambi di tempo continui. La maturazione raccontata dalla musica è tangibile anche nei testi, in cui Arif riversa pensieri ed emozioni derivanti dalla sua vita di tutti i giorni, una visione del mondo che si è fatta nel corso degli anni via via più complessa. Supportati in questa nuova fatica anche da una produzione finalmente all’altezza, che permette ad ogni componente della band di risaltare nel proprio operato senza togliere compattezza al risultato complessivo, i Wormrot si presentano oggi sicuramente come un ottimo punto di partenza per rilanciare le ambizioni della Earache in campo estremo. Non mancherà qualche critica se Rasyid stesso ha dichiarato di “non vedere l’ora di leggere che i Wormrot si sono ammorbiti” ma credo che ‘Voices’ possa essere considerato la definitiva consacrazione per questi tre ragazzi nella cerchia delle band grindcore con cui chiunque ambisca a dire la propria sul genere deve confrontarsi. Zio Digby ci aveva visto giusto, ancora una volta.
(Filippo Monti)

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