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Salad Days Magazine | April 29, 2024

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‘Disconnection. L’hardcore italiano degli anni novanta’ / Tsunami Edizioni

‘Disconnection. L’hardcore italiano degli anni novanta’ / Tsunami Edizioni
Salad Days

Tocca a me l’improbo compito di parlare di ‘Disconnection’.

Giusto così: un paio di “colleghi”, per non dire il boss di Salad Days, ci hanno scritto, quindi sarebbe un clamoroso conflitto di interessi. Moreover, lo sapete oramai tutti, sono circa vent’anni che mi sono eclissato dall’hardcore italiano degli anni novanta, appunto. Chi meglio di me può darvi un giudizio “super partes”? Per evitare le inevitabili minacce di morte, cercherò di essere il più oggettivo possibile, sgombrando innanzitutto il campo da ogni dubbio: qui c’è un gran lavoro di raccolta, qui troverete un ricchissimo coro di esperienze, un’esplosione di vissuto. Comprare o non comprare? Io l’ho comprato. E sono assolutamente contento di averlo fatto. L’ho divorato. Per dire che è fatto assolutamente bene. La divisione per temi fa troppo Tate Gallery: è molto “moderna”, in contrasto a chi vorrebbe un rigoroso lavoro di cronologia o una descrizione dettagliata delle varie scene. Nevertheless, riporto alcuni estratti del periodo da una fanza milanese (la mia), Rote Front, per farvi capire cosa, secondo me, manca in ‘Disconnection’. E quando parlo di mancanze, vedrete che mi riferisco a cose “grosse”, non certo a discorsi tipo: “perché non ci sono i Kafka, ed i Mururoa sì: perché ci sono poco gli Skruigners, e tanto i Fine Before You Came ”.

Dal numero 4 di Rote Front, settembre 1997. Live report di Reality e Impossibili @Centro Sociale Eterotopia, 30 marzo 1997, San Giuliano Milanese. Riferimento agli Impossibili, in particolare ad una loro famosa canzone: “…forse centravano poco a livello musicale e di testi (chissà cosa avrà pensato la numerosa, e piuttosto cattiva crew romana, quando Araya ha intonato “Odio lo Straight-Edge”)… ma comunque hanno SPACCATO… e soprattutto hanno regalato una mezz’oretta di allegria a gente che, almeno a mio parere, è abituata a prendersi un po’ troppo sul serio…”. Sempre dal numero 4 di Rote Front, settembre 1997. Live report della famosa prima data italiana degli Earth Crisis, con Turmoil e Proof, a Biella, Babylonia, 16 maggio 1997. “…vi basti sapere che del tutto salvo solo la musica, un po’ più tirata quella dei Turmoil, cadenzata e da saltare quella degli Earth Crisis, e le magliette dei due gruppi (quella dei Turmoil con il logo del formaggio della bella Kaori è un bijou)… da buttare tutto il resto: l’attitudine troppo seriosa e incazzata di chi suona e di chi ascolta (almeno per la maggior parte)… possibile che la mia maglietta dei Dead Kennedys possa attirare così tanti sguardi del tipo “ma guarda ‘sto punkabbestia”, possibile che tutti quelli coi capelli lunghi non possano saltare come gli altri, visto che andrebbero a finire inevitabilmente con il naso sfracellato per terra, dato che i giovani vegani non sporcano le loro manine pulite per raccogliere un ubriacone sporco e cattivo – esame di coscienza per tutti… troppo fascismo in giro!!!”. Postilla. Prima di quel concerto, nello spiazzo/parcheggio del Babylonia, ho avuto la “fortuna” di seguire l’intervista a Karl da parte del nostro Mohdi Broggi, un pioniere dell’hc milanese con la sua trasmissione su Radio Palmanova. A domanda precisa “cosa pensi della pena di morte?” (non mi ricordo perché, ma in quel periodo c’era un qualche dibattito a riguardo), il buon Buechner aveva risposto senza se e senza ma: “sono favorevole”. Illuminante come “la banda” dei Blues Brothers, un turning point del mio rapporto con l’hardcore.

Questo succedeva a Milano. Questo succedeva nel ’97. C’è stato un serio e rigoroso esame di coscienza? Ho qualche dubbio. Per concludere. Il libro offre un’ottima panoramica, ma è di parte. GIUSTO così, vista la provenienza (geografica e “ideologica”) dei due autori. Ne esce una visione “parziale” (consiglio, per sdrammatizzare, ma a sostegno del mio appunto, uno degli esilaranti post di Hardcorella Duemila). O, forse, ne esce una visione “distorta”. Troppe persone hanno parola, troppi gruppi hanno fatto qualcosa di fondamentale. Il risultato: un rischio di appiattimento, in basso. Cosa che non è buona, né giusta. Ricordiamocelo: quale è uno degli intenti “principi” dell’operazione? Dare dignità ad un movimento fino ad ora schiacciato dalla pachidermica generazione hc anni ‘80 (di cui, onestamente, non ne possiamo più). Consiglio per la prossima ristampa?

Manca il vero contenzioso. Manca l’altra faccia della medaglia. Manca la voce fuori dal coro, loud and proud. Tanto che Vandalo, l’unico che porta gli anni ’90 coi piedi per terra, sembra quasi una macchietta, il vecchio scemo del villaggio. E stiamo parlando di Vandalo, cazzo, mica di Pippo. Mi direte: non abbiamo gli interventi “contro”, come possiamo fare? Innanzitutto consiglio una bella bibliografia, dove si accenni per esempio alle bio di Flanagan o Joseph. Scoprirete quello che sono: grandi artisti, ma non certo dei modelli di vita “meglio di”. Lo stesso dicasi per Di Cara: ne leggerete delle belle su Ray Cappo (un venditore, come me), sulle dinamiche Hare, o sul ruolo della donna in quell’ambiente. Roba da mettersi le mani nei capelli. Insomma, integrate, cercate, leggete. Sarebbe bello che altri libri sullo stesso argomento (vedi ‘Schegge Di Rumore’ di Corsetti/Miceli), o sulle micro-scene (vedi ‘9707’, Milano), avessero lo stesso hype, lo stesso successo di ‘Disconnection’. E, se volete, cara Tsunami, ho qui l’epilogo, la post-fazione. L’hardcore anni ’90, quello dei Sottopressione, per intenderci, è il tipico caso di “morte da fuoco amico”. Due colpi, se vogliamo essere precisi.

Primo colpo, in testa. Le dinamiche straight-edge-hardline. Sentirsi insultare sempre e comunque dai Product di turno, dopo avergli comprato i dischi, dopo avergli suonato prima. Sentirsi passare per “buoni” discorsi tipo omofobia, testi pro-life, per non parlare della pena di morte di cui sopra (e del ruolo della donna). Tutto questo da una parte, e quando bevo una birra sono un mostro?
Secondo colpo, quello della fine. L’Emo-Core. La lezione degli Embrace (prima) e dei Fugazi (poi) arriva anche da noi, in Italia. Essere seri, non divertirsi, no stage diving, parlare dei propri cazzi come dei cazzi del mondo intero diventa il must. Risultato. Andare ad un concerto diventa pesante. La scintilla si
spegne. La gente molla il colpo. Finito.

Aftermath
Che fine hanno fatto i due “killer” di cui sopra? Karl (Earth Crisis), Mike (Judge) e compagnia tornano, ma sono una tristezza, inguardabili. Morti, come gli anni ’90. L’emo-core ed i FineBeforeYouCame (o gli Eversor) si sono rinnovati, hanno cambiato pelle (e marcia), coi tempi. Vivi, come gli anni ’90.

P.S.
Dimenticavo, per tornare ad una dimensione più da Hardcorella Duemila. Cazzo togliete i Fichissimi dalla playlist! Leggere quel nome in quella lista sa di marchetta.

P.P.S.
Magra consolazione. Per una volta non è Milano la città trattata peggio nell’economia del racconto: siamo in ottima compagnia con Torino!
(fmazza1972)

Giangiacomo De Stefano/Andrea “Ics” Ferraris
‘Disconnection. L’hardcore italiano degli anni novanta’
Tsunami Edizioni

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