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Salad Days Magazine | December 8, 2024

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Interviews

Nada Surf | Matthew Caws – interview

December 5, 2024 |

Ci vogliono pochi minuti per capire che ‘Moon Mirror’, il nuovo album dei Nada Surf uscito il 13 settembre 2024 per New West Records, è proprio ciò di cui i fan avevano bisogno.

Matthew Caws, Daniel Lorca e Ira Elliot sono stati raggiunti dal loro amico e tastierista di lunga data Louie Lino per creare un album che è un tuffo nel passato, uno di quelli che vien voglia di cantare di ritorno da un lungo viaggio. Ne abbiamo parlato con Matthew Caws, mentre si trova a Parigi in occasione del tour europeo.

SD: Fin dalle prime note, l’ascolto di ‘Moon Mirror’ è come un ritorno a casa, in un luogo dove si può essere se stessi. State suonando un nuovo album dopo quattro anni, come vi sentite a riguardo? Anche per voi è come tornare a casa?
NS: “Casa” è una parola interessante e invecchiando il suo significato può cambiare molto. Per me, per esempio, il concetto di casa è diventato più inclusivo: quando si cresce si intende ovviamente lo spazio dove si ha vissuto, poi si hanno esperienze in altre città e luoghi e tutto cambia. Per questo ci si ritrova a pensare che alla fine sia soprattutto ciò che si porta con sé. È un termine, poi, che si lega molto alle relazioni: ci si può sentire a casa quando c’è un buon legame con una persona, ma se ciò viene a mancare la propria casa non è più un luogo sicuro. Tutto ciò ha a che fare, quindi, anche con le amicizie e, nel mio caso, anche con diversi spazi. Casa è la città da cui provengo, New York, e quella dove vivo, Cambridge. E in un certo senso lo è anche il palcoscenico e ciò mi sorprende perché da bambino non me lo sarei mai aspettato. Non partecipavo a recite scolastiche, non volevo stare su un palco di fronte ad altre persone, ma la musica mi è piaciuta così tanto che ho finito per volerla suonare per sempre e oggi eccomi qui.

SD: Le persone tendono spesso a parlare di futuro, di dove si vedono fra qualche anno, mentre nei vostri testi si parla molto di presente. In ‘In Front Of Me Now’ c’è l’importanza di godersi il momento, di evitare di vivere in una situazione mentre se ne sta pensando un’altra (“In the middle of summer, I was Decembering”). La mia domanda quindi è: vi state godendo il presente? C’è qualcosa su cui vorreste concentrarvi di più, nella vostra carriera o vita personale?
NS: Ogni giorno cerco di vivere il presente, in ogni contesto, e di non fare il passo più lungo della gamba. La nostra musica ci porta a essere sempre in movimento, e spero continui così, ma vorrei anche saper trovare il tempo per concentrarmi e fermarmi, in modo da affrontare al meglio il prossimo step. Mi rendo conto che spesso però è difficile: per esempio, non riesco nemmeno a pulire casa senza ascoltare un podcast! Tutta questa disponibilità di contenuti ci ha portato a voler essere sempre intrattenuti e ciò può essere un problema. Per questo sto cercando di pensare giorno per giorno, anche se ovviamente mi piace immaginarci nel futuro mentre suoniamo nuova musica.

SD: Nel singolo ‘Moon Mirror’ c’è tutto il desiderio di sentirsi parte di qualcosa. Anche nei vostri videoclip dell’ultimo album avete mostrato un mondo iper-connesso, ma dove le persone si sentono sempre più sole. Come vi sentite voi, invece, a suonare insieme da più di 30 anni con la stessa formazione?
NS: In effetti è come sentirsi parte di una famiglia, in tutti i sensi. Alcuni giorni sono più facili, altri più difficili, ci si conosce molto bene. Spero che tutti possano provare però un’esperienza simile, non necessariamente in una band ma anche in un team, una squadra. Persino da anziani è possibile se si trova un buon gruppo per giocare a bocce! Per quanto riguarda noi, è davvero molto bello essere così uniti e so che fa molto piacere anche alle persone sapere che suoniamo insieme da così tanti anni. Eppure a volte me ne dimentico, sono così impegnato a prepararmi per un tour o a scrivere una canzone che non mi accorgo del tempo che passa. Un po’ come succede ne’ ‘Il Giorno Della Marmotta’.

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SD: A proposito di film, c’è qualche pellicola che ha ispirato la vostra musica o i vostri videoclip?
NS: Sarebbe impossibile scegliere! Probabilmente abbiamo preso spunto da tantissimi, senza nemmeno accorgercene. Per quanto mi riguarda, amo la scena al chiaro di luna in ‘Walkabout’ di Nicholas Roe: è molto toccante. Mi piace molto ‘Jojo Rabbit’: trovo interessante la sua narrazione del cambiamento, della possibilità di vedere le cose in modo nuovo, fare ipotesi e poi ritrattarle. Altri film per me interessanti sono ‘I 400 Colpi’ di Truffaut, ‘Harold E Maude’ e menzionerei anche ‘Rosemary’s Baby’: adoro questo film fino a quando, però, non diventa un horror.

SD: E per quanto riguarda ispirazioni dal mondo della musica?
NS: Sai, non abbiamo un riferimento specifico quando lavoriamo a un disco. La mia vita da musicista, poi, è molto separata da quella di ascoltatore. Quest’anno, per esempio, sto ascoltando molto i Fairport Convention, musica folk britannica, ma spazio moltissimo anche in altri generi. Mi piace Sylvan Esso, quindi più elettronica, e De La Soul. Mi incuriosisce la musica classica indiana e a casa ascolto soprattutto musica ambient. Il mio pezzo preferito, quello che ascolto di più, è ‘Thursday Afternoon’ di Brian Eno… tantissimi generi differenti insomma! Quando lavoriamo a un nuovo disco, invece, speriamo sempre di risultare in due modi: energici e semplici, come una band che suona in una “cameretta”.

SD: In ‘Second Skin’ vengono citati anche i libri: che rapporto hai con la lettura?
NS: Mi piace molto leggere! Ho letto libri sul self-help, su come comportarsi davvero bene con se stessi e prendersi cura di sé: mi hanno aiutato, sono riuscito a imparare a controllare il mio tempo e avere una direzione. In particolare, in quella canzone si parla del desiderio di andare dritti alla soluzione, senza pensarci troppo. È un po’ come quando si cerca di smettere di fumare: a volte è meglio fumare una sigaretta in meno al giorno, altre volte sarebbe meglio smettere del tutto senza pensarci più.

SD: Abbiamo parlato di musica, film e letture… manca un ingrediente importante per un’intervista italiana: il cibo! Hai un piatto preferito, un comfort food post- concerto? E soprattutto, qual è la tua pizza preferita?
NS: Oh, il mio piatto preferito sono le linguine alle vongole! Mentre con mio figlio ordino spesso una pizza margherita, chiedendo però di aggiungere molto basilico e olio piccante.

SD: Mentre parliamo sei a Parigi, tappa di un tour intenso e con numerose date. Com’è viaggiare così tanto? Vi è mai capitato qualcosa di divertente durante i vostri spostamenti?
NS: Una volta, mentre eravamo in tournée, sono sceso in una stazione di servizio e i ragazzi sono ripartiti dimenticandosi di me. Daniel se n’è accorto solo 10 minuti dopo e sono tornati indietro: mi hanno trovato che stavo già facendo piani per tornare a casa!

SD: Ultima domanda prima di vedervi sul palco di Milano con ‘Moon Mirror’: qual è il ricordo più bello durante la registrazione di questo album?
NS: Eravamo seduti a pranzo a parlare di musica degli anni’80 e Ira ha iniziato a suonare un beat molto semplice. Mentre lo seguivo, ho cominciato a comporre ‘The One You Want’, è stato tutto così veloce. Ci sono voluti forse cinque minuti, non per creare tutte le parole e tutta la melodia, ma parlando di musica siamo riusciti in pochissimo tempo a dare vita a una nuova canzone. È stato tutto molto spontaneo, mi ha sorpreso molto e ne sono stato molto felice.

(Intervista di Nellie Airoldi x Salad Days Mag – All Rights Reserved)

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La band indie rock di New York torna in Italia per un’unica data in occasione dell’uscita del nuovo album ‘Moon Mirror’. Appuntamento al 7 dicembre 2024 al Santeria Toscana 31 di Milano. Opening act: Lowinsky. Biglietti disponibili su Ticketmaster, TicketOne e Dice. In apertura annunciati i Lowinsky, band indie rock vecchia scuola di Bergamo.

NADA SURF
Opening: Lowinsky
7 DICEMBRE 2024
SANTERIA TOSCANA 31 – MILANO
Apertura porte: 19.30
Lowinsky: 20.15
Nada Surf: 21.30
Biglietti in vendita su Ticketmaster, TicketOne e DICE.

Nex Cassel “unrealized” – interview

May 27, 2024 |

Oltre ad essere l’autore del disco, Nex come già fatto in precedenza in altri suoi lavori, si è occupato anche di mix e master del progetto…

…affidando poi la parte grafica di esso a Leonardo Amati e arrichendo il booklet, contenuto nella copia fisica del cd, con gli scatti di Andrea Rigano e Nicola Zonta. Questi ultimi non sono però gli unici amici di vecchia data ad aver preso parte a questo progetto, perchè nelle tracce ‘Golden Glove’ e ‘Detersivo’ il rapper veneziano ha ospitato rispettivamente le combo Gionni Grano/Gionni Gioielli e Ensi/Egreen. E ora, dopo aver conosciuto nel dettaglio la sua ultima fatica, non vi resta che immergervi nelle domande che abbiamo fatto a lui e Craim per il nostro magazine (l’intervista completa a entrambi) così come un veneto lo farebbe nell’alcol, ma solo se avete abbastanza fegato…

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SD: Le prime tre date in cui avete portato live il disco sono a Milano (Legend Club) , Venezia (CS Rivolta) e Bologna (Kindergarten): quale fra queste è stata la serata più calorosa da parte del pubblico?
N: Per la data di Milano ti dico che è figo suonare lì perchè ci abitano un sacco di rapper e di solito quindi ci sono sempre tanti ospiti a sorpresa, venendone fuori sempre una roba interessante. Sulla data di Venezia ti dico che il Rivolta è un posto dove sono cresciuto, andandoci fin da ragazzino prima e organizzandoci serate per anni poi, quindi lo vivo come un posto che mi fa sempre sentire a casa. Pure per Bologna perchè la ritengo una città iconica per generi come il rap underground e la musica elettronica, dato che sono cresciuto con il mito dei Sangue Misto, vedendoli anche al vecchio Link e vivendo i tempi di Zona Dopa.

C: Così come ha detto Nex, anche per me il Rivolta è stato casa per due/tre anni ed è dove mi sono conosciuto con lui…

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SD: Proprio Ensi è stato insieme a Egreen, Gionni Gioielli e Gionni Grano, uno dei featuring che hanno preso parte al tuo ultimo disco: a cosa è dovuta la scelta di collaborare con amici a te stretti questa volta rispetto a featuring con artisti più vicini all’ambiente mainstream come avevi fatto in ‘Vera Pelle’?
N: ‘Fegato’ è un disco diverso da ‘Vera Pelle’, ma come ho fatto per quest’ultimo, ho messo i nomi che mi sembravano più adatti al progetto, perchè per me è sempre la musica che va a chiamare le collaborazioni. Nonostante avrebbe potuto essere tranquillamente un disco senza featuring dato che lo trovo molto personale, nella realtà dei fatti da ascoltatore a me i dischi rap piacciono con i featuring e quindi ho deciso di inserire quelli che ritenevo più azzeccati, con artisti che sono in primis anche miei amici.

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SD: Chi ti conosce bene sa che il fegato non ti manca di certo, ma quello non è solo il titolo del tuo disco, ma anche la base da cui partire per uno dei piatti più rinomati della tua regione che citi tra l’altro nel disco, ovvero il fegato alla veneziana. Dato anche il tuo disco precedente ‘DOCG’ con il tuo amico fraterno Gionni Grano (rapper e proprietario del ristorante Al Bacaro di Noventa di Piave-Ve) mi viene quindi spontaneo chiederti: qual è fra tutti il piatto che preferisci della tua ristorazione locale? E quali sono invece le bottiglie che hai più apprezzato tra i vini e le bollicine che ti ha fatto provare il buon Grano?
N: Diciamo che la maggior parte delle volte che ho bevuto champagne è stato quasi sempre grazie a Grano, che anche quando viene in studio arriva sempre con un cartone di champagne. Perchè sì, Grano è esattamente così al 100 % e così lo è sempre stato, fantastico, inossidabile e invincibile (ride, ndr). Invece per quanto riguarda il mio piatto preferito, vado sul semplice e ti sparo un bel spaghettino con le vongole, che ti sottoscrivo proprio e che puoi mangiare tranquillamente anche tutti i giorni.

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SD: Oltre a vini e bollicine però, uno degli alcolici che preferisci è sicuramente la birra, tanto da averne una anche tua, ovvero la west coast ipa Adriacosta, creata grazie al birrificio artigianale dei Blond Brothers: come è nata questa birra, in che cosa si caratterizza e potendo dove vorresti farla arrivare in futuro?
NC: Questa birra è nata perchè, anche se adesso le birre artigianali sono una realtà affermata, all’epoca era una novità e ci eravamo subito presi bene con questa cosa. Devo dire che uno dei primi ad avere iniziato a produrre le birre artigianali è stato quel pazzo scatenato di mio fratello Er Costa, che da sempre è un grande cultore di craft beer e ne sa un sacco in merito. Dagli albori di questa “moda”, siamo partiti subito con questa realtà dei Blond Brothers, che sul territorio veneziano sono molti forti anche a organizzare eventi e altre cose, quindi avendo anche tanti amici in comune ci siamo trovati e abbiamo deciso di farla. In realtà avevamo fatto 1000 litri pensando di fare un one shot, destinandoli per altro a delle feste che abbiamo fatto a Torino, Milano e qui in Veneto, volendo celebrare con quella birra lì; nella realtà però alla fine di quei 1000 litri loro mi hanno detto che avrebbero voluto continuare a produrla e metterla nella loro linea come se fosse una delle loro birre da sempre e così è stato. Volendo fare una birra che entrasse nella vita delle persone e che fosse da bere spesso, adatta da far serata ma che allo stesso tempo soddisfasse gli appassionati di birra, abbiamo optato per creare una birra non troppo alcolica, con una gradazione 6° e caratterizzata da questi luppoli americani, tanto in voga quanto costosi e difficili da reperire. Abbiamo quindi questa birra tipicamente di stile americano, una ipa west coast profumata, fruttata e amara, che secondo me va bene un po’ in tutte le occasioni e che vi consiglio tuttora di ordinare sullo store dei Blond Brothers. Riguardo a dove vorrei farla arrivare invece, ti dico che nonostante mi piacerebbe molto lavorare nel business degli alcolici, essendo un settore che a me piace molto e che è molto importante per l’Italia, attualmente purtroppo non sto facendo nulla di concreto, ma ho solo delle idee nella testa a cui vorrei sviluppare.

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SD: Proprio per il compleanno del birrificio Blond Brothers, il 25 Aprile di quest’anno avete fatto un grande party free entry con tutta l’Adriacosta e tanti altri amici rapper, tra cui Ensi, in cui avete avuto modo di ricordare anche la scomparsa di Nigga Dium: come è stato dopo anni ritrovarsi nello stesso posto per suonare con tutti gli amici di sempre? Quanto è stato importante per te ricordare Dium e come hai affrontato la sua perdita?
N: Diciamo che noi quella festa la volevamo fare ed era in programma quando Dium era ancora vivo in realtà, perchè l’avevamo fissata molti mesi prima, praticamente l’estate scorsa. Poi però Dium è venuto a mancare purtroppo e quindi alla festa lo abbiamo celebrato, anche grazie al nostro amico Fabio Funky, che è un writer e tatuatore di Milano molto bravo, che ha fatto un pannello col suo ritratto che è visibile ancora oggi appeso nell’hall di entrata del birrificio. Quella sera oltre al Graffito in memoria del Dium, io ho fatto un dj set con tutti pezzi suoi e abbiamo fatto una birra speciale con la cover di ‘Mixtape Season’ che era appena uscito. 
È stata una bella serata, per noi molto emozionante, in cui abbiamo celebrato il Dium e in cui hanno suonato anche i nostri amici dell’Helluminati Klan e i fioi di Padova come Kevin Mopao.

LEGGI L’INTERVISTA COMPLETA A NEX CASSEL E DJ CRAIM SU SALAD DAYS MAG #45 FUORI ORA!

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(Txt Diego Montorio x Salad Days Mag – All Rights Reserved; Pics Zonta)

Andrea Rock And The Rebel Poets interview

April 11, 2024 |

Andrea Rock And The Rebel Poets pubblicano un nuovo EP intitolato ‘Mnà’, un concept su quattro figure femminili importanti nella cultura e storia irlandese.

Mescolando il punk con il folk della terra di smeraldo, si sono creati un nome grazie al proprio sound ormai formato e riconoscibile. Abbiamo intervistato Andrea Rock per approfondire la storia dietro questo nuovo EP.

SD: Andrea, ci piacerebbe sapere quale sia stata la tua personale connessione con le storie delle quattro donne irlandesi che avete scelto di raccontare nel vostro nuovo EP ‘Mnà’. Da dove sei partito? Come hai scelto queste quattro storie?
AR: L’Irlanda, la sua storia, i suoi protagonisti, la sua cultura, sono per me oggetto di studio costante e quindi sono sempre stimolato dalle mie ricerche personali. Nello specifico su questo disco,la prima donna alla quale ho pensato è stata Constance Markiewicz, la cui storia mi affascinò sin dal primo momento in cui mi avvicinai alla compagine dell’Insurrezione di Pasqua del 1916. Inoltre proveniva dalla contea di Sligo, alla quale sono legato per tutta una serie di motivazioni.

SD: Quando si tratta di fondere punk rock e musica tradizionale irlandese, il vostro nome è sicuramente in cima alla lista. Quale sfida vi ha entusiasmato di più nel creare il vostro unico sound in questo progetto? Come si è evoluto nel tempo?
AR: Il nostro obiettivo è sempre stato quello di distinguerci dal resto delle proposte di genere, in primis a livello di contenuto e in secondo luogo con un suono che è ancora oggi in evoluzione. Le tematiche che trattiamo sono spesso molto pesanti e per dare forza a quei sentimenti, ci capita in alcuni casi di spingerci un po’ più in la con la resa sonora, incorporando qualche elemento derivante anche dalla scena folk metal di gruppi quali i Cruachan.

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SD: Raccontaci un pò del processo creativo dietro ‘Mnà’. Come avete trasformato le storie e le esperienze di queste donne irlandesi in tracce musicali coinvolgenti, senza diventare didascalici e estremamente prosaici?
AR: L’aspetto musicale è stato interamente gestito dai musicisti del gruppo: Ivan Marconi al basso, Luca Taglietti alla chitarra, Andrea Merlini alla batteria e Lorena Vezzaro al violino. Io mi sono trovato quindi a scrivere tutte le linee melodiche e ovviamente i testi. Sono partito dai libri in mio possesso, dalle dichiarazioni delle stesse protagoniste di quei racconti e dalle analisi profuse dai diversi studiosi della questione irlandese. Alcuni frasi pronunciate dalle stesse, erano già dei veri e propri inni e hanno facilitato il percorso creativo. Il lavoro più complicato è stato strutturare metricamente
quelle sentenze, senza modificarle e senza mai perdere il senso della forma canzone.

SD: Il violino di Lorena Vezzaro aggiunge una dimensione davvero speciale al vostro suono, spostando l’asse dal punk al sound dell’irish folk. Cosa ti ha attratto in particolare nell’integrare questo strumento nella vostra musica?
AR:Lorena è la musicista più dotata che io conosca. Ha studiato l’irish fiddle e si è diplomata al Conservatorio di Milano. Ha una sensibilità artistica unica ed è in grado di tradurre il clima dei brani e dei testi in music sempre coinvolgenti e mai banali. E’ il nostro fiore all’occhiello, nonché la nostra quota tradizionale.

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SD: Lo storytelling sembra essere una parte essenziale del vostro approccio musicale. Qual è stata la storia o l’esperienza di una delle quattro donne di ‘Mnà’ che ti ha colpito di più personalmente durante la creazione di questo EP?
AR: Come scrivevo, la figura di Constance Markiewicz mi ha sempre affascinato. Quasi contemporaneamente però volevo parlare anche delle vittime innocenti del conflitto, perchè quello che sta avvenendo nel mondo purtroppo è sotto gli occhi di tutti e la causa palestinese è da sempre legata a doppia mandata a quella indipendentista irlandese; per questo motivo, il secondo brano sul quale ho voluto lavorare racconta la storia di Julie Livingstone, vittima dei Troubles in Irlanda del Nord, deceduta a causa di un plastic bullet esploso dalle forze di polizia britanniche, all’età di 14 anni.

SD: Al di là della musica stessa, c’è un messaggio o un impatto che sperate che questo disco lasci nel cuore degli ascoltatori? L’avete pubblicato l’8 Marzo, una scelta sicuramente non casuale…
AR: L’Irlanda prima di altri Paesi nel mondo ha saputo esaltare la figura della donna, anche attraverso esempi illustri come quelli citati nel disco. Noi speriamo sempre che queste storie suscitino un’emozione, meglio ancora che diano “fastidio” in quanto percepite come ingiustizie sociali. Quando in occasione della recente scomparsa della regina d’Inghilterra, ho espresso il mio pensiero in merito al sistema imperialista e schiavista che la Corona inglese ha perpetrato per anni, alcune persone hanno scelto di abbandonare la sala concerti; in quell’occasione abbiamo suscitato una reazione forte e il nostro messaggio è arrivato chiaro e diretto.

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SD: Infine, come credi che la vostra musica possa contribuire a mantenere viva la memoria e l’eredità delle figure storiche come le donne irlandesi che avete scelto di celebrare in questo EP o a farla conoscere in un Paese come l’Italia?
AR: L’obiettivo e la speranza sono sempre che la gente non si fermi al fatto che i brani siano orecchiabili o ballabili, ma non è qualcosa che può avvenire esclusivamente attraverso la pubblicazione di un disco. Spazi come quello che mi stai concedendo mi permettono di raccontare il progetto nella sua totalità e magari incuriosire qualcuno. Esattamente come un podcast ben strutturato (suggerisco ‘Troubles – Una Storia Irlandese’ di Samuele Sciarrillo), la musica ha la capacità di raccontare storie, ma anche di cantarle a squarciagola con il cuore che batte e gli occhi lucidi.

(Txt Gab De La Vega)

Madbeat interview

March 25, 2024 |

A pochi mesi dall’uscita dell’ottimo ‘La Ballata Dei Bicchieri Vuoti’, abbiamo intervistato i Madbeat di Torino!

I Madbeat sono una band che nel corso degli ultimi 10 anni si è creata una solida fanbase e ha saputo produrre dischi dall’identità molto forte, portando nuova linfa nel cuore del punk rock italiano. Buona lettura!

SD: Ciao ragazzi! ‘La Ballata Dei Bicchieri Vuoti’ è appena uscito e sembra essere un vero capolavoro punk rock. Ci raccontate di qualche momento particolarmente intenso o emozionante durante la creazione di questo album?
M: È avvenuto tutto in fretta. Abbiamo cominciato a scrivere il disco a fine 2022 e ci siamo resi conto che sarebbe stato il disco dei 10 anni della band. Questo ha influenzato particolarmente tutto il mondo che conoscevamo in quanto a scrittura di un disco. Per alcuni versi è stato un bene: genuinità dei contenuti, influenze più spontanee ecc. mentre per alcuni versi è stato difficile: ritmi serrati, sessioni lunghe di studio in preproduzione e poi in incisione. Abbiamo per la prima volta lavorato con un produttore (Fabio Valente) che ha saputo darci i consigli giusti per risaltare quello che ancora non si era sentito su un disco dei Madbeat e sicuramente le ore in studio da lui sono state intense e costruttive. Diciamo che l’esperienza di questo disco è stata anche troppo intensa, ma soddisfacente.

SD: Ascoltando il vostro nuovo lavoro, si sente davvero un’energia travolgente. Ci sono stati dei momenti in cui avete sentito di aver catturato perfettamente ciò che volevate trasmettere attraverso la vostra musica?
M: Trovo che raccontando la verità quotidiana si colpisce sempre qualcuno. Ognuno ha le sue gioie e dolori e spesso sono fasi che accomunano tante persone. Ci sono dei passaggi di testo che hanno colpito in particolare qualcuno (che ce lo ha comunicato dopo l’ascolto) e questo è sempre emozionante. Le persone si frequentano per anni senza conoscersi mai, e quando una frase di una canzone gli rimane aggrappata addosso vuol dire che quella singola esperienza raccolta in 4 parole è stata vissuta esattamente come l’hai vissuta tu e gli è bastato leggere una frase per capirlo.

SD: Con così tante tematiche affrontate nel disco c’è un brano che sentite abbia una connessione particolare con voi o che racconti una storia personale in modo straordinario? Se sì, potreste condividere un po’ dietro il significato di quel brano?
M: Credo che ‘Dannato Cuore’ sia quella più accomunante tra noi della band. In questi anni abbiamo (come tutti i gruppi) condiviso moltissimo, problemi, gioie ed esperienze. L’accomunanza era che ne parlavamo alle prove, in furgone in tour, dopo i concerti, ritrovandoci a fare sacrifici per essere li in quel momento. ‘Dannato Cuore’ parla di questo, del fatto che c’è qualcosa che sta dentro di noi e che non conosciamo benissimo, ma che ci spinge ad essere sempre li. “E dimmi che super potere hai per farmi andare di corsa”.

SD: Collaborare con artisti della scena underground per questo album è stata sicuramente un’esperienza unica. Ci sono delle storie divertenti o aneddoti interessanti che volete condividere riguardo a queste collaborazioni?
M: Beh con Fabio è stato facile, la prima canzone che abbiamo chiuso (‘La Strada Più Dura Che C’è’) esprimeva un concetto che conosciamo benissimo. Noi pieni di impegni e carichi di tutte le difficoltà che ha una band piccola come noi, lui pieno di lavoro, trasferte, impegni familiari, abbiamo condiviso insieme l’esperienza raccontata in questo testo… ovvero l’ostinarsi a percorrere la strada più difficile, quella che ti porta ad affrontare sempre e comunque delle decisioni impegnative che mettono da una parte le passioni e dall’altra i punti fissi della tua vita. Con Michele abbiamo semplicemente iniziato a condividere pareri. Lui è uno scrittore incredibile e il fatto che abbia voluto condividere con noi ‘Figli Delle Banlieue’ è stato per noi un onore. Inconsciamente da una chiaccherata con lui è nato il testo e il significato di ‘Per Un Goal Nel Derby’ a dimostrazione di quanto sia semplice trovare l’ispirazione giusta quando ti confronti con una persona che sa benissimo come si scrive una canzone.

SD: ‘La Ballata Dei Bicchieri Vuoti’ sembra essere un album che tocca molti nervi scoperti della vita quotidiana. Qual è il messaggio più profondo che sperate i vostri fan possano cogliere ascoltando questo lavoro?
M: Non credo che ci sia un messaggio. Non mi sono mai sentito autorizzato a dare consigli alle persone. Piuttosto racconto quello che è successo facendo i miei sbagli. Ognuno puó trarne qualcosa o semplicemente condividere quell’esperienza. Non credo che la gente cerchi nelle canzoni una soluzione, ma piuttosto un’immagine che gli sblocca qualcosa forse bello o forse no. Spero che la gente me lo dica se ha scoperto un messaggio che inconsciamente abbiamo dato.

SD: Oltre alla pubblicazione dell’album, avete qualche sorpresa in serbo per i vostri fan? Forse dei tour o degli eventi speciali che potremmo aspettarci?
M: Beh sicuramente concerti. Stiamo cercando di rimetterci in pista su quel fronte, anche se con tutte le difficoltà del caso. Sicuramente qualcosa ci verrà in mente nel frattempo ma per ora siamo concentratissimi sulle date.

SD: Guardando al futuro, quali sono le vostre ambizioni più grandi come band? C’è un obbiettivo che avete sempre sognato di raggiungere nella vostra carriera musicale?
M: Gli obbiettivi sono da sempre suonare e cercare di arrivare più lontano possibile. La fame di far conoscere la propria musica a tutti, suonare su grandi palchi, scrivere canzoni che si ricordano al primo ascolto… credo siano sogni in comune che hanno in molti.

(Txt Gab De La Vega x Salad Days Mag – All Rights Reserved; Pic Georgette Pavanati)

Headbussa interview

March 15, 2024 |

La conversazione attorno all’hardcore punk dei ruggenti 2020s sta vertendo sempre di più attorno alla sua iterazione più primitiva e brutale: quello che tra un groove galoppante ed una sediata in faccia ci troviamo a descrivere come Beatdown Hardcore.

L’Europa del nord ha proposto negli ultimi anni uno zoccolo duro di band che gettano nel calderone NY Hardcore, metalcore anni 90 e DM classico. Questo filone capitanato da band tedesche come Spawn Of Disgust e World Of Tomorrow è spesso caratterizzato da un’estetica urban ed un’attitudine hip-hop, nonchè responsabile per lo spopolare della mosh culture estrema, tra callout esagerati e breakdown infiniti. Il nord Italia, dal canto suo, propone il proprio succulento menù beatdown grazie a collettivi come Pavia Hardcore (PVHC), che importano il culto della fight music con una serie di progetti tra cui Jorelia, Display Of Violence e Terrorist.

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In occasione del concerto dei Knocked Loose + Deafheaven al Live Club di Trezzo abbiamo avuto l’occasione di testare anche il territorio francese facendo una chiacchiera sullo stato dell’hardcore europeo assieme all’opening act della serata: gli Headbussa, fieri rappresentanti della musica parigina da combattimento.

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Loic e Gaultier, rispettivamente voce e chitarra del gruppo, ci raccontano come la loro band sia finita in supporto di una produzione così enorme, scelti come spalla dei Knocked Loose proprio durante il loro picco di popolarità. “È semplicemente fantastico perché abbiamo ottime condizioni ogni giorno. Abbiamo il backstage, ceniamo, abbiamo un posto dove dormire. Quindi è abbastanza diverso da quello a cui siamo abituati.”

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Da dentro la sala alle nostre spalle, sentiamo i Deafheaven iniziare il set con ‘Brought To The Water’. “E’ la prima volta al di fuori del DIY per tutti noi, ed è un’esperienza incredibile”.

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Quando il team dei Knocked Loose gli ha proposto il tour via e-mail, lo ammettono, hanno pensato si trattasse di spam. Gli Headbussa erano già stati contattati dal team dei Knocked Loose lo scorso inverno per partire il giorno seguente e fare 4 date blitz in Germania, ma il poco preavviso glielo aveva impedito. “Quando vai in una città si capisce subito se c’è una scena hardcore o meno da come si comportano le persone nel pubblico. La Germania ha un’enorme scena beatdown, ma anche in Francia, specialmente a Parigi, un sacco di nuove band propongono tanti stili diversi di hardcore.”

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La band suggerisce qualche ascolto al pubblico italiano: Worst Doubt, con cui condividono dei membri, Cold Decay, Sulfur, Broken Ankles e Take It in Blood. “Come con ogni tendenza, in Francia siamo in ritardo di qualche anno, quindi il beatdown sta spopolando soltanto adesso a partire da Parigi e Lione, e poi nelle città più piccole spuntano scene locali.”

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Possiamo dire praticamente lo stesso per noi, ed infatti domandiamo se come nella scena italiana ci siano una schiera di band composte dagli stessi membri che scambiano gli strumenti tra loro con ogni formazione. “Sì, è proprio così. La maggior parte di noi ha più di 30 anni, o quasi, e abbiamo fatto tutte le nostre band giovanili con membri che erano diventati troppo vecchi.” Loic si corregge, “Non troppo vecchi! Non si è mai troppo vecchi. Ma molti di noi hanno dei figli, hanno un lavoro. E così quelli che non lavorano, o con dei lavori che ci permettano di fare tour del genere e creare un sacco di cose, finiscono per fare musica insieme.”

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La band si complimenta con il pubblico italiano nel modo più lusinghiero che un fan di questo genere possa ricevere: “Sembrava di stare in Germania, mosse incredibili stasera!”, e concludiamo promettendo che avremmo riferito a chi di dovere. Gli standard sono altissimi – bisognerà moshare più forte quando ci incontreremo di nuovo.

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(Txt Vittoria Brandoni; Pics Luca Secchi x Salad Days Mag – All Rights Reserved)

Corpo Estraneo interview

February 23, 2024 |

Seguiamo con grande attenzione Devarishi, in particolar modo da ‘Wrong Place, Wrong Time’. Per storia dei personaggi coinvolti, attitudine, spessore, qualità, penso fosse difficile ripetere un exploit come il ritorno degli Incudine.

Invece BUM! Ecco l’asso nella manica. In uscita, sempre su Devarishi, ‘Il Tempo E’ Adesso’, super disco della nuova sensazione (non milanese, strano!… strano per davvero/NDR) in ambito hardcore “puro”, hardcore classico, Italian old school hardcore come piace a me: a voi i CORPO ESTRANEO!

SD: Partiamo dal nome. Mia madre (prof) mi diceva che quando si riesce ad essere efficaci usando delle parole di uso comune, quello vuol dire saper comunicare. Corpo Estraneo, in questo senso, è “perfetto”. Come nascete? E come esce fuori il nome, anzi quel nome?… il Corpo Estraneo siete voi?? Noi (che ascoltiamo musica hc)? Chi?
CD/CE: Hare Krisna a tutti, grazie per lo spazio! Qui Caitanya Das, voce e chitarra dei Corpo Estraneo! Come band nasciamo a gennaio 2021, mi pare fossimo nel mezzo del secondo lockdown. Nell’apatia e nella noia di quel momento storico abbiamo sentito l’esigenza di fare qualcosa e quel qualcosa è stato suonare, principalmente come sfogo e come bisogno – letteralmente – di respirare. Io suono all’interno della scena hc da quasi 20 anni, così come Cicco (batteria), mio best friend e colonna portante di altri progetti che abbiamo avuto in comune. Un po’ per l’amicizia storica che ci lega e per la sua bravura dietro le pelli è sempre stato la mia prima opzione in ogni progetto che mi è venuto in mente di fondare. Mi è venuto naturale chiedere a lui se aveva voglia di fare qualcosa. Anni addietro (2010) avevamo condiviso un progetto chiamato Grinta, nato come side project parallelo ad altre band; una cosa un po’ alla buona, fatta giusto per divertirsi, ma con un bel tiro. Suonavamo una sorta di HC / grind molto tirato, con pezzi ultra corti (dai 5 secondi, al minuto scarso), ad ogni prova riuscivi a comporne 10 diversi! Una sorta di powerviolence primitivo, quando ancora si sapeva poco a riguardo. Ci sarebbe piaciuto focalizzarci su quello, rispolverare i pezzi e darli alla luce. Al basso si è subito aggiunto con entusiasmo il buon Leo, amico e giovane promessa, alla sua prima esperienza musicale seria. Fortuna vuole che abitiamo tutti vicini, e la base dove proviamo – il Vecchio Son del buon Steno dei Nabat – è praticamente sotto casa nostra. Logisticamente è stato tutto congeniale, insomma. Siamo perciò partiti con l’idea di dare un proseguo ai Grinta ma presto ci siamo resi conto che a livello comunicativo era un po’ complicato con dei pezzi così corti. C’è stata da subito la volontà di fare un gruppo che avesse qualcosa da dire, soprattutto visto il periodo buio ed instabile che si stava vivendo nel mondo. Così abbiamo accantonato l’idea del gruppo super veloce in favore di qualcosa di più disteso ed “orecchiabile” (non so se ci siamo riusciti!). Comunicare per noi è estremamente importante, per citare la tua mamma. La band ha uno scopo preciso, non è solo svago e divertimento. “Corpo Estraneo” era il titolo di uno dei nostri primi pezzi nuovi e mi son subito reso conto di quanto potesse essere potente anche come nome per la band. Suonava assolutamente bene ed è brutalmente hardcore! Ovviamente un Corpo Estraneo è qualcosa di scomodo, qualcosa di esterno alla propria realtà, qualcosa che si è in qualche modo infilato sotto pelle e che crea disturbo. Sicuramente lo si può intendere come qualcosa di fastidioso che si è conficcato nel corpo della società e che vive di vita propria, crea spazi, consapevolezze, cresce e che si cerca di estirpare. Io ci ho visto subito anche un significato più sottile: il corpo materiale che ci ricopre è in realtà la “prigione” di quello che siamo realmente, ovvero un’anima spirituale, divina; questo corpo quindi è qualcosa di estraneo all’anima. Siamo quindi tutti corpi estranei, se ci identifichiamo erroneamente con esso!

SD: Parlando della vostra storia, in questo ultimo anno (penso) avete aggiunto una chitarra. Parlavo con Gianluca Mariani/Spaghettochild, qualche tempo fa, dell’hc suonato con due chitarre. Per farla breve. Secondo lui (o forse secondo noi?), nell’hc, a meno di gente di un altro pianeta come gli RKL, le due chitarre servono essenzialmente ad aumentare l’impatto, il “volume”, la potenza “in uscita”… non tanto ad abbellire (parlo di assoli che si inseguono, tipo metal per intenderci). In che ottica/con che idea avete deciso di aggiungere una chitarra? Per una questione di “botta”?? Per “sgravarti” un attimo, visto che tu canti?
CD/CE: Che bomba gli RKL (questo pezzo lo pubblichiamo subito grazie a questa password che vi fa accedere al sistema/NDR)! Ma tornando a noi: l’aggiunta di Bolo è stata soprattutto per una questione di amicizia e di affinità spirituale. Io e lui abbiamo condiviso sala prova e palco agli inizi dei Chains, dove io suonavo il basso. È un chitarrista affidabile, con una solida esperienza alle spalle e quindi siamo stati entusiasti quando ci ha chiesto di essere della partita. Sicuramente lui ha aggiunto tutti gli elementi che elenchi tu nella domanda. Avere lui vicino mi permette di concentrarmi meglio sulla voce e il risultato finale dal vivo è decisamente più croccante e d’impatto. Inoltre su disco ha contribuito con tanti elementi che han reso il prodotto finale ancora migliore, a mio avviso. Gli assoli non ci sono perché non li so fare, ma non è detto che non possano arrivare!

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SD: Se facciamo un gioco tipo quelli di logica… Sottopressione anni ‘90… Skruigners anni ‘00… NON LO SO anni ‘10… Corpo Estraneo anni ‘20. Dico bene? Cosa vi accomuna secondo me? Tutti fate hardcore “puro” (no new school, per intenderci), suonato DA PAURA… REGISTRATO DA PAURA… cantato in italiano. Vi vedete in questa linea temporale? Vi vedete nella descrizione di cui sopra (l’importanza del SUONO, CAZZO). E chi mettereste negli anni ‘10 (forse i La Crisi… anche se sono “diversi”… non proprio DRITTI come tutti gli altri)? Oppure… chi mettereste al posto di quelli miei?
CD/CE: Non mi ero visto come continuazione di tutte quelle realtà ma sicuramente condividiamo tanti aspetti e son stati tutti – chi più, chi meno – tra gli ascolti di tutti noi. L’hardcore alla vecchia maniera è sempre stato un mezzo efficace, è divertente da suonare e da ascoltare e si presta bene ai messaggi che portiamo. Per quanto riguarda il suono crediamo fermamente che vada curato, sia in saletta che in studio, ma anche dal vivo. Noi cerchiamo di provare con regolarità proprio per affilare il nostro suono, la chimica, la carica. È l’espressione con cui ti stai ponendo al pubblico e visti i tempi veloci che stiamo vivendo credo sia necessario impressionare l’ascoltatore e catturarlo nel minor tempo possibile. Parlando di studi, Carlo del Toxic Basement Studio è maestro in catturare e dare impatto al sound. Dal primo giorno della band sapevo dove avrei voluto registrare i pezzi. Carlo è una componente importante nei Corpo Estraneo e sicuramente sarà un matrimonio destinato a durare. Rispetto ai nomi che hai fatto tu aggiungerei solo qualche nome della vecchia e gloriosa scuola italiana. Band che magari non avevano i mezzi tecnici per quanto riguarda i suoni ma avevano dalla loro chi la rabbia, chi la disperazione, chi la furia. Su tutti direi i Negazione, ma anche Wretched, Indigesti, Crash Box. E sì, metterei anche i La Crisi dove dici, a me son sempre piaciuti un sacco, anche se meno “dritti” di altri, come fai notare. Ma che potenza! Di gruppi affini ed attuali invece voglio citare i Sangue di Olbia, una vera cannonata di band! Ci sono i Nido Di Vespe, anche se il loro è un hardcore imbastardito da tanti elementi ma è pur sempre in italiano. E citiamo con piacere anche i Lyon Estates,
una realtà ben consolidata che è appena tornata con un disco nuovo!

SD: Domanda ovvia… l’italiano. è vero che è sempre meno “limitante” (vedi i Golpe che vanno in giro everywhere)… ma mi chiedevo se ci avete pensato… e nel caso perché non l’inglese.
CD/CE: La risposta è semplice: il sentimento. I testi che scrivo sono molto sentiti, frutto di ricerche, di intuizioni, riflessioni e meditazioni. Quindi per scrivere mi è venuto automatico usare la lingua madre, perché è la stessa con cui la mia mente realizza i concetti. Quando canto voglio esprimere agli altri le cose che sento e mi rendo conto che mi è più naturale farlo nella mia lingua originale, l’italiano. Abbaiare al microfono in inglese non avrebbe la medesima profondità, almeno per me. Per ora abbiamo suonato solo in Italia e io voglio comunicare qualcosa alle persone che ho davanti; perché il concerto non è solo uno spettacolo, è soprattutto uno scambio. Mi piace l’idea di lasciare chi ci ascolta con delle domande sulle tematiche che affrontiamo nei testi. Spesso si fatica anche solo a capire quello che uno dice al microfono, figurati se viene fatto in un’altra lingua. L’inglese io lo vedo come una forzatura, almeno nel contesto di questo gruppo.

SD: Tornando alla linea temporale di cui sopra… il fatto che non mi venga in mente un gruppo “key” negli anni ‘10 potrebbe anche voler dire che era un periodo di crisi (creativa… piuttosto che per il genere)… al contrario è oramai un fatto che siamo in pieno boom hc… secondo voi perché? Quando il mondo fa schifo non può che essere così? Oppure più semplicemente godiamo dell’onda di successo dei gruppi americani?
CD/CE: Sicuramente il mondo attuale offre tanti spunti di cui poter parlare nei testi. Siamo circondati da situazioni di crisi. Ed è proprio qui che noi come band abbiamo cercato una direzione diversa, che non fosse la solita “formula hardcore” di puntare il dito contro il sistema vigente, gli sbirri, le guerre o le infinite nefandezze che ci circondano. Se il mondo fa schifo è perché c’è un problema nella gente che lo abita. Un esempio: la guerra. È una cosa ingiusta, che tutti detestano, ma che la maggior parte delle persone si porta dentro, inconsapevolmente, ed ogni giorno ne scatena uno nel suo quotidiano. Quello che io vedo è che c’è tanto odio. E non è questo che voglio portare con la nostra musica. Non è con l’odio che si cambiano le cose. Io credo che quello di cui abbiamo bisogno è di lavorare su di noi in primis, destrutturando quei contenuti e quegli schemi che ci sono stati imposti ed insegnati fin dalla nascita alla ricerca della migliore versione di noi stessi. Necessitiamo di una rivoluzione di coscienze e questo passa forzatamente per un’evoluzione interiore. “O sei parte del problema o sei parte della soluzione” cantava il buon Claudio Rocchi. Noi, coi nostri contenuti, vorremmo provare ad essere parte della seconda opzione, tentando di ispirare chi ci ascolta. Rispetto alla scena americana non so granché, sarò onesto, ma mi sembra piuttosto scevra di contenuti, nonostante il contesto catastrofico in cui viviamo. Ultimamente vedo le band (non tutte chiaramente) che “usano” l’hardcore più come semplice mezzo per mettere in mostra sé stessi o per divertirsi e fare casino, piuttosto che per portare un qualcosa che rimanga alle persone. Nulla in contrario eh, ognuno è libero di fare quel che preferisce. Io però dedico i miei ascolti principalmente a gruppi che hanno un messaggio di fondo e che possibilmente non sia sempre il “fanculo qua, fanculo là, faccio quello che voglio, spacchiamo tutto” e via dicendo.

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SD: Il track by track lo farà qualcuno più qualificato del sottoscritto. Io mi limito a citare due canzoni qualche suggestione dal nuovo disco. ‘Kurukshetra’ è una strumentale che inizia con quello che sembra un field recording preso da un qualche rito Hare Krishna… mi sono trovato CATAPULTATO al concerto degli Shelter, Cooperativa Portalupi… Sforzesca / Vigevano. Prima i devoti del tempio che ci “allietavano” con quei suoni, quelle atmosfere… e poi L’INFERNO. Primi anni ‘90 (da chiedere a Dario). Per molti di noi nati nei ‘70 quello è stato uno dei concerti “cardine”. Mi chiedevo se per voi suonare e porsi in quel modo è ancora attuale (ovviamente la risposta immagino sia sì)… è efficace… e perché? (in contrapposizione ad un modo più “frivolo e modaiolo”, tipo l’hardcore degli hipster, quello dei Turnstile per fare un esempio). I ragazzi vi stanno seguendo in questo percorso?? In altre parole. É un fatto che state crescendo in hype… ma per quel che riguarda il seguito? I numeri?
CD/CE: E’ attuale per noi, ma sicuramente non è più attuale nella scena. Indubbiamente il connubio tra spiritualità e hardcore si è molto affievolito negli anni, se non spento del tutto, almeno da noi. Mi sento di dire che l’hardcore un tempo era più riflessivo, introspettivo. Oltre che un movimento di ribellione era anche un movimento motivato da un certo spirito di “ricerca”. Ora mi sembra che ci si prenda molto cura dell’aspetto esteriore, del contenitore, e poco del contenuto. Si cerca di impressionare il pubblico più con lo show piuttosto che col messaggio. Non ci sono più i kids di una volta, con i kanthi-mala di Tulasi al collo! Scherzi a parte, mi rendo conto che attorno a noi c’è tanta curiosità ma anche tanto pregiudizio a causa della nostra proposta sicuramente poco in linea coi tempi e con la “scena”. Non abbiamo mai nascosto i nostri contenuti; se da un lato a qualcuno questo è piaciuto credo che parallelamente abbia dato fastidio a diversi. “Parlate di roba spirituale? Nah, non mi interessa” e questo magari senza neanche aver ascoltato nulla. Penso che questo sia anche a causa dell’influenza bigotta e ambigua che la Chiesa ha esercitato sulle nostre vite fin da giovani e che quasi tutti hanno rigettato. Quello di cui parliamo noi nei testi però è diverso, basato su altre concezioni e visioni. Ma se parli di spiritualità o di tematiche connesse a Dio qui da noi la gente tende sempre a storcere il naso. La nostra proposta è aperta ed accessibile a tutti, ma mi rendo conto che diversi avventori sono condizionati dal contenuto e tanti invece se ne stanno alla larga, avvelenati dai preconcetti. Penso sia un peccato ma che sia una cosa limitata al nostro paese. Vedo che negli altri stati i gruppi che propongono le stesse nostre tematiche vanno forte, hanno seguito e condivisioni. Il nostro compito è sicuramente più difficile ma questo non ci scoraggia, anzi, ci motiva maggiormente. Qui da noi purtroppo c’è un po’ l’idea di tenere Dio fuori da certi posti e contesti. Ma su quale base? Queste persone forse ignorano il background credente (ed i testi!) di band punk hardcore gigantesche come Bad Brains e Cro-Mags, per dirne giusto due. La cosa curiosa è che praticamente a tutti i nostri concerti mi son ritrovato a parlare con tante persone interessate all’argomento e con gente che medita, che fa yoga e che addirittura ha letto i testi sacri da cui traggo l’ispirazione per scrivere i nostri pezzi. La spiritualità è un percorso di ricerca, del porsi domande, del non accettare a scatola chiusa quello che ci viene proposto. Un po’ quello che fanno i punk rifiutando il modello di società che ci viene imposto e cercando di vivere in maniere indipendente da quelle logiche. Per quello io credo fermamente che ci sia attinenza, almeno nell’attitudine, tra le due cose. Io vorrei creare un ponte tra i due mondi, almeno qui da noi. In generale vedo che siamo seguiti ed apprezzati più da un pubblico adulto, piuttosto che dai ragazzi più giovani. Per quello che riguarda i numeri io personalmente credo che ogni singolo ascolto sia una vittoria e le cose sono obiettivamente in crescita. Vediamo che impatto avrà il disco ma sono fiducioso. Se avessimo voluto seguito ed apprezzamenti maggiori avremmo potuto trattare le tematiche della maggioranza delle band hc attuali o uniformarci un po’ allo stile musicale attualmente in voga. Ma non mi interessava fare niente di tutto questo. Trovo più intelligente cantare di una possibile soluzione (concreta!) anziché del problema o fare come fan tanti, cioè fingere che il problema non ci sia e usare la band come mezzo per vendere sé stessi o fare baldoria.

SD: Sempre ‘Kurukshetra’. È un INTRO. ed io sono un grande fan degli intro. Sono i pezzi dove ci si prepara… ci si “presenta”… si fanno i “convenevoli” e in qualche maniera ci si dà il benvenuto. Quindi innanzitutto BRAVI, amo gli intro! In secondo luogo a chi e perché è venuto in mente l’intro. Collegato all’intro, strumento tipicamente metal, ovvia domanda sul vostro rapporto con il metal, estremo e non… anche perché spicca una certa bravura nel suonare… che mi fa pensare appunto a certi ascolti.
CD/CE: Condivido la tua analisi sull’intro dei dischi! Anche io apprezzo molto! Mi sanno di benvenuto, di accoglienza! L’inizio di ‘Kuruksetra’ si prefigge di portare l’ascoltatore su di un campo di battaglia, popolato da migliaia di guerrieri in assetto da guerra sui loro carri che soffiano in conchiglie che annunciano l’imminente inizio della battaglia. Battaglia che comincia simbolicamente quando attacchiamo a suonare. È uno strumentale decisamente metal perché noi siamo fan di quelle sonorità. Ogni tanto spunta la vena metal e salta fuori qualcosa di spiccatamente thrash che nei pezzi hardcore forse stonerebbe, come è successo con ‘Kuruksetra’, appunto. Quindi nel nostro caso l’intro è un pezzo mancato! Abbiamo più o meno tutti nel background quel tipo di sound. Siamo (quasi) tutti fan del thrash metal, della velocità, della pulizia ma soprattutto dei riff granitici. I riff sono fondamentali nei pezzi e questo è uno dei miei capisaldi quando compongo qualcosa. Se un riff non funziona va cambiato, non lo si tiene se non è completamente soddisfacente. Il thrash penso sia la massima espressione del riffing selvaggio, sia veloce che pesante. Mi piace aggiungere qualche elemento un po’ più tecnico qua e là, soprattutto nei breakdown, per rendere il tutto ancora più aggressivo. Non mi ispiro a nulla in particolare quando compongo, cerco di mescolare gli elementi che preferisco dal background che ho costruito attraverso i miei ascolti. C’è tanto hardcore old e new school, hardcore melodico e thrash.

SD: L’altro brano? La title track. ‘Il Tempo E’ Adesso’. Anche qui… per uno di Milano nato con il 7 davanti il richiamo è SUPER… ‘È il Momento’. Sottopressione. Immagino che il motivo del richiamo non sia tanto (o non sia solo) un omaggio ai Sottopressione quanto sia approfondire i temi “tipici” dei vs. universi di riferimento… parlo di meditazione, consapevolezza… etc etc. Dico bene?? Quali sono i temi che avete a cuore?
CD/CE: Siamo stati spesso accostati ai Sottopressione e questo non può che farci piacere. Ho grande rispetto per chi è venuto prima di noi. Anche noi, come i Sottopressione, vogliamo che la “gabbia di vetro” (per omaggiare la tua citazione) al quale siamo dentro si rompa. Dal mio punto di vista questo può accadere solamente se ci poniamo le giuste domande con la giusta attitudine, altrimenti aperta quella rimarremo imprigionati in qualche altra gabbia invisibile. Ed il mondo ne è pieno, attualmente. Il tema principale del disco – che è anche il filo conduttore dei nostri testi – è la ricerca, la realizzazione del sé. Diciamo che è un po’ l’iter da seguire quando si vuole intraprendere un percorso di introspezione. Tutto comincia col porsi domande su sé stessi, sulla propria natura, sullo scopo e sul fine ultimo della vita umana. Il pezzo ‘Il Tempo E’ Adesso’ è un invito a cominciare subito questa ricerca, perché il tempo a disposizione di ognuno di noi non si sa quanto ancora può essere. In occidente c’è un po’ questa illusione di essere infiniti, immortali. E quindi si vive la vita buttando un sacco di tempo importante, senza poi realizzare nulla di concreto. I Veda ci insegnano che la forma umana è molto rara da raggiungere e quindi andrebbe sfruttata appunto per compiere questa ricerca, questa evoluzione. Senza di essa la vita è solamente un intricato ricircolo di piacere e sofferenza senza fine che ci incatenano e accecano sempre di più.

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SD: Una riflessione (prendetela come un gioco, ok?) che faccio spesso (e che finalmente vedo fare anche da altri) con persone che bazzicano l’underground come il sottoscritto. Il fatto che molte delle battaglie o delle dinamiche tipiche del “nostro” mondo (animalismo / vegan / un certo tipo di salutismo legato al non consumo di cose che fanno male /… ma possiamo anche parlare dei semplici tatuaggi)… ce le hanno “rubate” (scusate la grezzezza… so che un argomento del genere avrebbe bisogno di qualche parola in più, ma penso sia chiaro). Questa cosa della meditazione… è un bel esempio. Fior fior di gente insegna ai manager di turno “la meditazione”… “la consapevolezza”… MINDFULNESS! Sono riflessioni di un vecchio? Cioè… se io sono uguale alla Pascale (per dirne una), io sono preoccupato!
CD/CE: Per sapere chi/cosa fosse la Pascale ho dovuto usare Google, perdonami! La tua analisi comunque è corretta. Tante cose tipiche della scena punk hanno travalicato i confini di quel mondo, arrivando nelle vite di tante persone anche lontane da quel contesto. Non penso sia una cosa negativa però, soprattutto per quello che riguarda il veganismo. Un tempo ero anche io più duro e puro sulla questione etica/consumi ma ho realizzato che in realtà è un bene che più persone si interessino all’argomento dei diritti degli animali. Io sono vegano da 14 anni e le cose son cambiate parecchio da allora, almeno sul piano dell’informazione. E anche sulla reperibilità dei prodotti, che aiutano molto chi si avvicina ad un certo tipo di scelta/alimentazione e ne agevola una eventuale scelta vegetale duratura. Come per le cose che hai citato tu anche la meditazione è stata sdoganata, hai ragione. Qualche occidentale ci ha visto lungo e ha deciso di portare – a suon di soldoni – delle tecniche che in Oriente sono in uso da centinaia di anni a persone totalmente ignare della loro esistenza. Siamo tutti troppo distratti da quello che ci circonda e riprendere in mano la nostra attenzione e la nostra consapevolezza credo possa aiutare tutti a stare meglio. Il punto è che non basta meditare o respirare, la meditazione deve avere un fine. E il fine non è solamente la pace dei sensi, perché questo può avere un beneficio sul momento presente, ma è pur sempre una cosa temporanea. Quello che viene insegnato il più delle volte è di concentrarsi sul respiro, sul lasciare andare i pensieri e via dicendo. Va bene farlo anche per questo, per carità, ma penso sia un po’ limitante. La meditazione dovrebbe essere un veicolo di realizzazioni su livelli più profondi della nostra semplice esistenza materiale e dovrebbe condurci ad una vita perennemente serena ed essere alla base di tutte le nostre attività. Nella tradizione che seguo si medita giornalmente sul Maha-mantra, il grande Mantra della liberazione, che secondo le scritture vediche è il solo metodo per liberarci dalle influenze dell’epoca malsana in cui stiamo vivendo. Non mi voglio dilungare troppo sull’argomento, se qualcuno è curioso può scriverci sui social e sarò felice di dare spiegazioni.

SD: Una domanda che sostituisce quella di cui sopra… così la facciamo finita? Cosa vi/ci rende un “corpo estraneo”?
CD/CE: La consapevolezza. Troppe persone vivono nel sistema inconsce di quello che gli capita attorno. Il sistema ha trovato il modo di entrare nella testa di tutti quanti e – come ha dimostrato la situazione pandemica di qualche anno fa – basta un niente per fare crollare miti e certezze di chiunque. Io voglio raggiungere la consapevolezza di quello che sono, di quello che devo fare e del fine ultimo di questa esistenza. Chi è consapevole, chi si fa domande, chi è alla ricerca dello scopo della vita è un corpo estraneo!

SD: Mi è venuta una bonus domanda… perché la cover di ‘Destinazione Paradiso’? A parte la scelta (il “povero” Grignani ha questa cosa del perdente che alla fine quasi “tengo per lui”), mi chiedevo come mai l’avete fatta così “melodic hard core”… un po’ lontani da come vi conosco!!
CD/CE: E’ nato tutto per gioco. Si parlava dell’infelice partecipazione di Gianluca Grignani a Sanremo di qualche anno fa e si rimembrava di come un tempo, quando eravamo piccoli, avesse scritto delle hit che sono entrate nel cuore di tutte le persone, ‘Destinazione Paradiso’ su tutte. Sempre per gioco prendo la chitarra acustica, abbozzo gli accordi, le ritmiche e porto tutto in saletta. Ci è voluta una prova per completare il tutto e da subito ci è sembrata vincente. Gli arrangiamenti sono di stampo “hardcore melodico” perché quel mondo ha sempre offerto le cover migliori e perché io e Cicco abbiamo un solido background di quello stampo, avendo suonato quel genere per un sacco di tempo. Penso che quell’influenza si possa sentire anche in altri nostri pezzi. Io poi sono un grande fan di queste rivisitazioni, quindi aspettatevene delle altre! Hare Krishna!

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(Intervista di Francesco Mazza x Salad Days Mag – All Rights Reserved)

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NO MORE LIES INTERVIEW

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I No More Lies sono sicuramente uno dei pilastri dell’hardcore/Oi made in Roma.

Forti di ideali e liberi da ogni censura, la loro musica e i loro testi esprimono il male di vivere della società contemporanea ma anche la speranza di vedere la luce in fondo al tunnel, lottando! ‘Il Cuore Della Bestia’ è il loro terzo album (ricordiamo volentieri anche il gioiellino di qualche anno fa, sotto forma di 7” split con i Nabat, ‘Resta Ribelle’) e di questo e di altro abbiamo discusso con Fabrizio “il marinaio”, voce dei No More Lies (ma anche dei Payback).

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SD: Innanzitutto grazie per la tua disponibilità Fabrizio! Parlaci subito de ‘Il Cuore Della Bestia’ nuovo lavoro (uscito da pochi mesi) della tua band No More Lies. A noi di Salad Days Magazine è piaciuto molto (trovate la recensione sul nostro sito) e, soprattutto, abbiamo notato un piacevole bilanciamento tra i testi e la musica.
NML: Ciao e grazie a voi. Sì beh, ad oggi dovrebbe essere il nostro lavoro più completo in quanto abbiamo messo a fuoco quello che abbiamo imparato negli anni: cosa ci piace e come trasmetterlo. Nella parte musicale abbiamo coinvolto Fabio Banfio (Rake-Off, Taste The Floor) che ci ha seguito con tanta, ma tanta pazienza (sì, siamo disordinati) per la produzione; in più, testi e musica sono andati di pari passo, questa volta, molto più delle precedenti e abbiamo lavorato sui cori per noi fondamentali per avere un impatto live coinvolgente. Ne siamo soddisfatti, ci abbiamo messo dentro tutto, per ora…..

SD: ‘Nemo Profeta In Patria’, ma non nel vostro caso! Ho avuto occasione di potervi vedere in azione dal vivo al Questa E’ Roma Fest 2023 (la prossima edizione è ormai imminente, gennaio 2024) ed è stato molto elettrizzante, si notava un forte senso di appartenenza, di rispetto con i presenti, una situazione coinvolgente, tutti sempre pronti a pogare e a fare stage diving.
NML: Certamente, siamo molto “romani” nell’approccio a queste situazioni e la gente ce lo riconosce. Nei nostri testi ed atteggiamenti sul palco trovi tanta, tanta romanità, si ride si scherza, si parla di problemi quotidiani con l’ironia e l’amarezza di chi sa che ha perso, ma in fondo sapeva in partenza che non avrebbe vinto. Un atteggiamento borderline alla vita, insomma. Per il resto siamo in giro da otto anni, oramai, e abbiamo un bel rapporto con chi ci segue, compresi tanti ragazzi giovani, cosa non usuale per questo genere. Nel raccordo anulare andiamo forte… ahahahah

SD: Cosa si prova, invece, quando si suona fuori dalle proprie quattro mura? La gente cosa vi trasmette, cosa cercate di mettere in primo piano oltre alla musica?
NML: Quando suoniamo fuori siamo particolarmente curiosi di vedere l’effetto che facciamo, non abbiamo aspettative particolari di solito, pertanto una specie di derby del cuore con qualsiasi band, inteso come “dai andiamo e facciamo in modo che suonare dopo di noi sia un problema”, perché cerchiamo di impressionare tutti i presenti. Comunque, di solito, dopo i primi due-tre pezzi si crea una bella atmosfera. Cosa vogliamo comunicare? Rafforzare la convinzione, in chi ti guarda, di non essere il solo a pensare che la società in cui viviamo non va ed è piena di ingiustizie. La lotta di classe non è morta, ecco, ci piacerebbe che andando a casa qualcuno si sentisse meno solo.

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SD: Siete una band con un chiaro indirizzo politico, questa scelta si riflette sicuramente anche nello stile di vita quotidiana. Come si riesce a fare i conti con una società ipocrita che non lascia scampo né a destra né a sinistra?
NML: Non si riesce no, purtroppo, non se hai una sensibilità sviluppata e ti lasci coinvolgere nel gregge, è difficile orientarsi. Abbiamo una connotazione politica precisa perché questo siamo, non sopportiamo abusi e prevaricazione, siamo sempre dalla parte dei più deboli, perché lavoriamo tutti e ci rendiamo conto di quanto la società sia piena di contrasti, anche stridenti, con cui dover fare i conti giornalmente. Nel nostro privato cerchiamo di essere sempre e comunque lineari ma, come dicevo prima, è molto difficile.

SD: Domanda personale. Parlaci di come gestisci l’organizzazione di concerti, eventi e quant’altro che impegnano tempo e persone. Che effetto fa superare le mode, i periodi bui, oltre che, oggettivamente, il momento in corso? Insomma, “spalare merda”. I cambiamenti generazionali, le persone, i giovani non sempre sono quelli che uno si aspetta, continua a valerne la pena?
NML: Ecco, questa è una domanda difficile perché onestamente ogni tanto me lo chiedo anche io… guarda, non è semplicissimo! Non ti dirò che la passione aiuta sempre e comunque, che è tutto rose e fiori, no, dietro c’è tanto lavoro spesso non ricambiato dai risultati; le persone certe volte non sanno dei sacrifici dietro le quinte, anche a livello personale, sia economici che di tempo speso. La gente è cambiata, sono cambiate le aspettative, sono cambiate le motivazioni, sono passati molti anni e questo è diventato più un genere musicale che altro, quindi risponde sempre più alle logiche di mercato e quindi si entra in competizione con situazioni anche troppo distanti da te e, spesso, comporta una dispersione di energie e pubblico che non ti permette sempre di rientrare a livello economico. Tenere la barra dritta credo oggi sia molto difficile, noi poi cerchiamo di fare tutto da soli “diy”, si dice, e questo sicuramente non aiuta. Ma la soddisfazione di aver tirato su un evento come Questa E’ Roma Fest capace di aggregare così tanta gente rende il tutto più dolce, eheheh…

SD: A questo punto ci fa piacere sapere qualcosa in più del prossimo imminente appuntamento, l’evento Questa E’ Roma Fest 2024.
NML: 12/13 gennaio, questa volta proviamo a farlo in due giornate. Abbiamo coinvolto tutti quelli che potevamo a partire dai Derozer, sicuramente i più mainstream (e non è un insulto) del lotto, passando per la reunion dei Face Your Enemy, una vera chicca, i veterani Tear Me Down, Klasse Kriminale, dall’Inghilterra gli Antisect per arrivare poi a realtà consolidate come Dalton, Doomraiser, The 80′s, Raw (al loro addio alle scene), fino a giovani come gli Ostile. Insomma, abbiamo mischiato le carte in tavola e come sempre speriamo che tutto abbia avuto un senso… ci vediamo sotto al palco.

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SD: La musica o le band che hanno influenzato i No More Lies nel comporre ‘Il Cuore Della Bestia’.
NML: Eeeh, il solito guazzabuglio di influenze: si va dai Nabat, ai Nerorgasmo, ai Wisdom In Chains, Agnostic Front, Bloody Riot, Payback, Woptime. Melodia, cattiveria, cori e simpatia…

SD: I tuoi tre dischi e due libri che continui ad ascoltare/leggere (o trarne ancora spunto) dall’adolescenza…
NML: L’adolescenza è lontanissima però:
Musica: Agnostic Front, ovviamente i primi. Ramones tutto, è la band che ho visto di più live, ben 7 volte… la dice lunga, veh? Minor Threat, Misfits, Nabat, Bloody Riot, sì, lo so, nessuna sorpresa, mi rendo conto…
Libri: ‘Storie Di Ordinaria Follia’ lo adoro, ho tutto di Bukowski, adoro il suo modo di essere cinico. Poi leggo anche Welsh, King, Lansdale, Winslow. Lo so, non sono adolescenziali, ma per una volta che mi hanno chiesto di libri mi sono esaltato! Scusa se sono andato fuori tema.

SD: Intervistare una band significa mettere in chiaro molte cose che la riguardano e come la pensano, ma talvolta le domande sembrano essere sempre le stesse. Fare quello che stiamo facendo è inutile, è anche questo superato? Come ti rapporti invece con i social media.
NML: Credo che le interviste diano modo di conoscere il mondo che gravita dietro le quinte di una band e sono utilissime, ovvio, dipende dalle domande, come per tutte le situazioni. I social mettono ansia, onestamente, perché hanno le loro regole ed in più, spesso, rappresentano una realtà patinata, quindi artefatta ed è sinceramente pesante stare dietro a tutto che tra l’altro scorre via veloce, troppo veloce. Se una critica si può fare al mondo dei social è quella di fagocitare tutto alla velocità della luce, farsi spazio è veramente difficile. E poi spesso rende tutto troppo facile, cosa che in realtà non è, tende a evidenziare chi ce la fa senza sottolineare che non è semplicissimo, anzi, richiede uno sforzo importante. Ma questi sono i tempi e va bene così…

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SD: Intervista finita. Se vuoi, spazio per messaggi e ringraziamenti o anticipazioni sui No More Lies.
NML: Ma grazie a te per averci dedicato del tempo e a chi avrà la pazienza di leggere, ma soprattutto continuate così, c’è bisogno di lasciare tracce ognuno a suo modo. Per il resto ci trovate in giro, sopra o sotto i palchi sempre disponibili per quattro chiacchiere e una birra. Ciao a tutti!

(Txt & Pics Giuseppe Picciotto x Salad Days Mag – All Rights Reserved)

Francesco Goats interview

December 23, 2023 |

Esce grazie a Spectrum ‘Punxerox’ di Francesco Goats, se fossi Blow Up dovrei dire qualcosa tipo: “agitatore culturale” del nuovo millennio milanese.

Io, che sono un ingegnere, mi limito a riportare alcuni fatti, alcuni nomi: Sentiero Futuro Autoproduzioni / Kobra (non quelli degli anni ‘80) / Zona Luce / Spirito Di Lupo… ottima occasione per scambiare due parole sul libro… e non solo.

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SD: quando nasce il progetto… e quanto dura?
FG: Il progetto nasce nel 2022 quando Edoardo di Spectrum mi contatta inizialmente per una collaborazione per il loro sito, poi conoscendoci la cosa si è evoluta e mi è stato proposto di fare un libro. Io sono pieno di file di testo sul computer con liste varie, ad esempio “libri che voglio leggere”, “nomi per band”,  “nomi per gatti”, “trame per film” ecc. Così ho aperto il file con “idee per libro” e ‘Punxerox’ mi è sembrata la migliore per questa occasione.

SD: avevi le idee chiare da subito? O è stato un processo… che mano a mano si è arricchito?
FG: Fin da subito volevo molto limitare il campo, non volevo un libro con un’idea che avrebbe necessitato 20 volumi per essere esaustiva. Quindi l’idea era precisa fin dall’inizio: artisti della scena punk attuale che fanno grafiche utilizzando le fotocopie, che è quello che faccio anche io. Durante il processo ho scoperto un po’ di artisti che non conoscevo che si sono aggiunti alla line up iniziale.

SD: Trovo SUPER importanti le premesse di Spazio e di Vallicelli. Tua idea? O sono saliti loro “sul carro”?
FG: E’ stata una mia idea. Conoscevo Giulia perché ho collaborato con lei soprattutto nella fase iniziale del suo archivio Compulsive (ho anche passato una summer in solitary archive, di cui parla nel suo testo, a scannerizzare fanzine) e ho pensato che un suo intervento potesse essere perfetto. Non conoscevo personalmente Giacomo ma avevo il suo libro ‘Virus’ (una raccolta di tutti i materiali grafici, volantini, flyer ecc. del centro sociale punk di Milano Virus) e ho pensato di provare a coinvolgerlo. Entrambi si sono presi bene e i loro interventi sono bellissimi.

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SD: Invece, a proposito di “colore” (nel senso di diversità), mi piace molto il fatto che escano dalle pagine del libro ispirazioni “freak” (tu sei un maestro in questo) piuttosto che super metal (molti, penso a Cuero per esempio)… cose che per quelli della mia erano abbastanza tabù. Anche qui… commenti?
FG: Ho sempre trovato un po’ limitante un certo manierismo nella musica punk. Nel senso, va bene che ti piace un certo tipo di punk però se fai un disco dove i suoni, i testi, la copertina sono uguali a un disco degli anni ‘80 forse faccio prima ad ascoltarmi un disco degli anni ‘80. Ho sempre trovato più interessanti quei gruppi che pur magari muovendosi all’interno di riferimenti musicali/estetici circoscritti poi ci mettevano dentro qualcosa di personale. Io credo di vivere la creatività in maniera molto individualista, faccio quello che faccio perché mi piace farlo e ci metto dentro quello che mi interessa. Non sto troppo a pensare a cosa è punk o cose del genere. Se adesso sono in fissa con certo tipo di freakkettonate il disco parlerà di questo e non riesco a immaginare perché dovrebbe interessarmi se a qualcuno (chi poi?) questa cosa possa non piacere. È come quando fai un lavoro su commissione per qualcuno, devi fare qualcosa che piaccia a chi ti sta pagando, quando invece fai qualcosa per te è come se tu fossi il committente quindi sei tu che devi essere contento. Parlando di freakkettonate mi vengono in mente gli shivaiti che dicono una cosa simile: per diventare shivaiti ci sono due modi… il primo, facile, che comporta seguire tutti i lunghi rituali, le meditazioni, le pratiche spirituali ecc… e poi quello difficile ma veloce che richiede la distruzione dell’orgoglio, ovvero devi riuscire a fregartene di quello che gli altri pensano di te. Penso che entrare in contatto con la parte profonda di te (“sii te stesso fino in fondo” dicevano i Wretched, no?) e dare ascolto solo a quella, invece che seguire dogmi e tabù di un gruppo di riferimento come stati, religioni, gruppi politici, scene ecc. mi sembra una cosa molto più punk. Che poi è la cosa bella di quando il processo creativo è slegato dal lavoro. Non devo creare un prodotto vendibile per dare da mangiare a mio figlio ma posso fare quello che voglio. In generale invece credo che i confini che delimitavano le sottoculture col tempo si siano sempre più assottigliati, è molto più normale ad esempio ora ascoltare musica estrema e allo stesso tempo cose più commerciali e pop. Mentre quando ero ragazzino era quasi impensabile. Le controculture ti davano un’identità e ti permettevano di scoprire mondi incredibili però a volte finivano per diventare delle gabbie, appunto come dici tu si creavano dei tabù invalicabili. Io penso che le sottoculture e quel modo di crearsi un’identità (io sono un punk, io sono un bboy, io sono un metallaro ecc.) stiano per morire definitivamente perché il mondo con internet è cambiato radicalmente e le identità sono più fluide.

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SD: La Xerox (nonostante il costo, ma è anche vero che io fotocopiavo clandestinamente in facoltà prima… al lavoro dopo), è molto “hardcore”. Molto DRI. Uno pensa che con canzoni di 30 secondi non ci possa essere varietà. Uno pensa che una fotocopia sia una fotocopia… ed invece qui escono tutte le sfumature/le idee etc etc… volevo sapere se hai fatto una selezione: ci sono degli “scarti”? Oppure ci sarà un volume 2?
FG: Non ci sono scarti, ci sono artisti che per un motivo o per l’altro non hanno potuto partecipato e artisti che ho scoperto troppo tardi. Usiamo la fotocopia perché siamo cresciuti in fissa con un certo tipo di punk dove l’estetica era fatta di immagini fotocopiate e sgranate. Mentre prima dell’arrivo del digitale la fotocopia era una necessità, ora è una precisa scelta stilistica e come dici tu è interessante vedere come ognuno la utilizza a suo modo. Nel libro la varietà di stili e di sperimentazioni è molto ampia. Realizzando il libro mi sono innamorato del formato libro e mi sono venute parecchie idee che non ho potuto concretizzare quindi spero in un volume 2, 3, 4… mi piacerebbe anche realizzare monografie su singoli artisti o su scene locali, insomma le idee non mancano.

SD: A qualcuno NON piace il discorso “lo fi” del tutto… (pensa anche alla musica). Che dici?? Io penso che sia “bello” lasciare spazio all’ascoltatore o al lettore… in altre parole dargli una cosa perfetta lascia poco spazio al “dialogo” che secondo me dovrebbe esserci tra artista e fruitore…
FG: Nella fotocopia, come in certi suoni lofi o nell’estetica vhs c’è una sorta di atmosfera “tragica” che il digitale, per ora, non è ancora riuscito a replicare. Molti dischi hardcore degli anni ‘80 erano registrati a caso ed erano super lofi e questo li rende magici. Tra i mille esempi penso ai Blue Vomit, un gruppo che ha scritte alcune delle mie canzoni preferite di sempre. Avevano delle registrazioni sgangheratissime ma che davano un’atmosfera perfetta. Quelle stesse canzoni riregistrate “bene” negli anni ‘00 sono terribili. In alcuni casi il lofi è proprio un elemento fondamentale di un’espressione artistica, sarebbe come togliere la chitarra elettrica a un gruppo rock e sostituirla con una acustica, la canzone rimane la stessa però cambia tutto. Io non so bene perché ma sono sempre stato un grande fan del lofi, vorrei che tutta la musica suonasse come un demo black metal, soprattutto quella pop.

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SD: A qualcuno non piace il discorso logo (Vans in questo caso)… e quel qualcuno ci ha scritto pure un libro, che per molti della mia generazione è stato IL VANGELO… sono cambiati i tempi? È la società che è cambiata? Che dici?
FG: ‘No Logo’ dici? Lo dovrei rileggere. Vans nello specifico ci ha solo dato le maglie che poi sono state serigrafate da Serimal. Comunque da questo punto di vista già far uscire un libro del genere per Spectrum, che è un negozio che fondamentalmente vende le Nike, direi che è problematico. Non ho la risposta, a me si è palesata questa possibilità e l’ho colta senza pensarci troppo. Io poi non ho un vero lavoro e sfortunatamente non sono (ancora) ricco quindi tutto fa brodo. Sicuramente c’è un interesse da parte della “moda” per le sottoculture, che a volte tende a trasformare una realtà underground in un prodotto da vendere o nell’ennesimo contenuto usa e getta. D’altra parte chi va ai concerti punk non va nei posti della moda e viceversa. Forse l’incursione nella moda può essere vista come un modo per monetizzare e poi ritorni nella comfort zone con gente che capisce quello che fai, tanto i due mondi non si guardano proprio. O meglio, la moda guarda le sottoculture come qualcosa di cui appropriarsi e la gente alla moda va al concerto punk quando è nel contesto moda ma la cosa finisce lì, nessuna persona moda va al concerto punk nel posto punk e i punk non vanno al concerto punk nel posto moda. Io ho comunque l’impressione che stiamo parlando di fenomeni, le sottoculture,  che sono un po’ degli zombie, e che questo interesse sia per colmare il vuoto del presente ma sento anche che sta per arrivare qualcosa di totalmente nuovo e sono più propenso a guardare in quella direzione piuttosto che nel passato.

SD: FANTASTICO!

Txt by Francesco Mazza x Salad Days Mag – All Rights Reserved

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THE BRONX – INTERVIEW

July 22, 2023 |

Il live dei The Bronx nel pomeriggio della seconda giornata di Slam Dunk Italy ha infuocato il pubblico più del caldo sole romagnolo di inizio giugno…

…siamo riusciti a scambiare due parole con Matt Caughthran sul passato, presente e futuro della band.

SD: Parlando della scena hardcore punk hai visto un’evoluzione da quando avete iniziato la band?
B: Penso che ovviamente ci sia una costante, ma ora son più vecchio e stan venendo fuori un sacco di nuove band con un’energia, penso che come si faccia musica e tutte quelle cose li sian cambiate ma fondamentalmente quando una band fa la cosa giusta l’energia e le idee son le stesse di sempre. Crea per te stesso ma sii anche parte di una community, di una scena, aiutare le persone, è tutto sull’energia del live e della musica e fare le cose “raw and real”.

SD: E voi che siete appunto in giro da ormai 20 anni, che evoluzione c’è stata nella band, e che momenti alti avete avuto?
B: Ce ne son stati tanti, la cosa bella di questa band è che i dischi son dei punti fermi nel tempo no? Il primo disco era bene o male le nostre vite fino a quel punto, e poi col secondo abbiamo avuto una etichetta major ed una produzione grossa, con ovviamente più ansia ma anche energia. Era un tempo interessante anche perchè credo ci fosse un picco per la band. Il terzo disco è stato registrato nel nostro studio, facendo la nostra cosa, quello che volevamo… ci son cosi tanti momenti nella carriera di una band e se devo essere sincero son fortunato che non ne abbiamo avuti molti di bassi. Capisci che intendo, abbiamo avuto per lo più momenti alti, o comunque siamo riusciti ad essere consistenti, perche ci facciamo il culo!

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SD: Ora in che punto siete, alto o basso?
B: Alto! Perchè è il nostro ventesimo anno! Un grosso risultato!

SD: Farete qualcosa di importante per celebrarlo?
B: Si un po’ di roba negli States e subito dopo anche qui, non siamo riusciti a girare in Europa sin da quando? Prima della pandemia? Si, son almeno tre anni e quindi è bello essere tornati, bello essere tornati in Italia sicuramente. Quando sei una band come i The Bronx e stai celebrando i tuoi 20 anni di attività di concerti, dischi, hai amici che ti spingono a creare assieme, è un legame per la vita che non tutte le persone comprendono.

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SD: Hai parlato di pandemia, avete avuto problemi con ‘VI’? È stato più difficile promuoverlo?
B: Ecco cos’è successo con ‘VI’: abbiamo registrato il disco prima della pandemia, nel 2019, e prevedevamo di farlo uscire ad Aprile o Maggio dell’anno dopo ma poi è successo il tutto e abbiamo deciso di tenerlo lì, mi sentivo da schifo perchè c’erano cosi tante bands che facevano uscire dischi, la pandemia è stata pazza per tutti vero? Nel frattempo arriviamo nel 2021 e decidiamo di farlo uscire, in un modo che era basato sulla release di una canzone per volta, mese dopo mese, per mantenere l’attenzione per tutto l’anno. È stato un gran lavoro, estenuante, ma è stato figo, abbiamo collaborato con un mucchio di persone diverse, idee diverse, canzoni diverse, ed è risultato essere un progetto molto bello ma ecco, è stato… tanto. Amo la band, il punk, l’hardcore, ci siam detti “dobbiamo trovare una soluzione creativa“ e l’abbiamo fatto succedere. Non ci lasciamo andare giù, nonostante la situazione specifica non era a nostro favore, ci rimettiamo in strada e continuiamo ad andare.

SD: E siam contenti anche che siete tornati qui in Italia, com’era il pubblico dello Slam Dunk prima?
B: Era fantastico! Abbiamo fatto probabilmente solo una manciata di show italiani finora, tipo siamo venuti coi Rise Against, coi Gogol Bordello, e non ricordo… (The Hives/ndr) non suoniamo abbastanza in Italia!

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SD: Son d’accordo! Considerate di passare più spesso!
B: Sai, i tour europei per le band americane stan tornando ora ed è tutto cosi costoso adesso! Ma ovviamente devi suonare la tua musica, siam contentissimi di essere qui adesso e speriamo di tornare di più.

SD: Secondo te perchè The Bronx e Monster Energy fanno un ottimo match?
B: I ragazzi di Monster Energy tentano sempre di essere parte della community. Arte, musica, action sports, qualsiasi cosa sia. E per noi, una company grossa come Monster che guarda una band come i The Bronx e dice “hey vogliamo che voi facciate parte di questo, vogliamo aiutarvi, sponsorizzarvi, permettervi di crescere di più” questo è molto figo perchè non ci son molte company laffuori che fanno lo stesso. Non ci son veramente. Quindi apprezziamo veramente questo interesse su un livello tangibile, ci aiutano veramente a poter andare in tour, suonare degli shows. È una relazione fantastica!

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SD: Hai anche un gusto preferito?
B: Si, quella bianca, la Ultra! Quella che bevo regolarmente, la migliore.

SD: Grazie per la chiacchierata, vuoi fare un saluto ai fans italiani?
B: Ciao Italia, è un onore essere qui, I The Bronx vi vogliono bene! È stato bellissimo essere al festival oggi e speriamo di rivederci in più occasioni nel prossimo futuro.

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(Txt Marco Mantegazza; Pics Rigablood x Salad Days Mag; video courtesy of Monster Energy Italy)

BRYAN KIENLEN (THE BOUNCING SOULS/BEACH RATS) – INTERVIEW

July 12, 2023 |

Abbiamo parlato un po’ di The Bouncing Souls, del progetto Beach Rats, dell’andare in tour in età adulta con famiglia a casa e di tanta bella musica con Bryan Kienlen in occasione dello scorso Punk Rock Holiday.
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ULTRANOIA – INTERVIEW

April 19, 2023 |

Hanno appena pubblicato un nuovo album ‘Nudi+Crudi’, un disco che combina l’intensità dell’emo punk con le melodie del punk rock…

…il tutto condito con sonorità e piglio tipico del rock che ti fa venire voglia di cantare ritornelli a squarciagola. Signore e signori, vi presentiamo gli Ultranoia da Caserta, in esclusiva per Salad Days Magazine.

SD: Come è stato il processo creativo dietro il vostro album di debutto ‘Nudi+Crudi’? Quali sono state le vostre fonti di ispirazione principali?
U: Il disco è stato concepito e sviluppato nell’arco di un anno, ogni pezzo è stato realizzato in maniera differente tra loro, qualche volta partendo da una bozza di riff di chitarra e sviluppato successivamente o altre volte partendo dal testo. Il brano ‘Nudi+Crudi’ ad esempio, ha preso vita dopo un sogno ben definito e immediatamente è stato musicato nell’arco di una giornata. Le nostre fonti di ispirazioni spaziano dall’hip hop all’hardcore passando sicuramente per il cantautorato italiano e l’emo americano, per citarne alcuni più vicini al progetto: Verme, Fine Before You Came, i primi FASK, Moose Blood, Iron Chic, Tiger Jaw etc.

SD: C’è una storia particolare dietro uno dei brani dell’album che vorreste condividere con i nostri lettori?
U: Ogni brano racconta una storia a se, ma se dovessimo sceglierne uno sarebbe sicuramente ‘Fulmini’. Questo è il brano al quale siamo più legati. Tocca le corde di un periodo non dei migliori, difficile da spiegare a parole ma che attraverso la musica ha trovato la sua dimensione. Se dovessimo trovare una parola per descriverlo sarebbe sicuramente la parola subconscio, la parte buia di ognuno di noi con la quale, col tempo, abbiamo imparato a convivere.

SD: Come descrivereste la vostra creatività come band underground? C’è un particolare approccio alla creazione della musica che preferite adottare?
U: Non abbiamo un particolare approccio creativo, ci piace lasciarci trasportare dagli eventi e dalle situazioni più disparate e disperate, tutto può nascere da una frase stupida o da una storia realmente accaduta.

SD: Quali sono le peculiarità di essere una band underground nel panorama musicale attuale? Quali sfide e opportunità vi presentate?
U: Sicuramente la peculiarità che non può mancare attualmente ad una band underground di qualsiasi genere e provenienza è l’indipendenza, quella che ti permette di realizzare un prodotto da zero, dal sound all’aspetto visivo senza limiti cercando di rispecchiare a pieno il carattere della band stessa fino ad arrivare all’organizzazione di un release party e tirarlo su tutto con le proprie forze e quelle dei pochi amici che come te supportano la scena. Quello che abbiamo voglia di fare è sicuramente macinare chilometri per suonare su più palchi possibili, conoscere nuove persone, nuove band e soprattutto condividere le nostre esperienze.

SD: Come descrivereste la scena musicale di Caserta? Ci sono altre band locali che apprezzate o con cui avete collaborato?
U: Abbiamo la fortuna di fare parte di un collettivo che da più di dieci anni organizza eventi underground con band da tutto il mondo, si chiama CBC. All’interno di questo collettivo ci sono persone che si interessano dal mondo della musica a quello del tatuaggio, foto, videomaking e tutto quello che è concerne alla nostra visione di arte. Si, abbiamo decine di band che vale la pena scoprire dal death metal allo shoegaze dal beatdown all’alternative rock: Cheap Date, RFC, Mendoza, Gomma, Fulci, DA4TH, Face Your Enemy etc. Per adesso ancora non abbiamo collaborato con nessun’altra band casertana.

SD: Il vostro album presenta evidenti influenze punk. Come vedete la scena punk italiana oggi? C’è una scena punk attiva a Caserta?
U: Non pensiamo ci sia una scena punk a Caserta, almeno non l’abbiamo vissuta in prima persona. Ci sono solo sonorità e rimandi a quello che potrebbe ricordarlo.

SD: Quali sono i vostri progetti futuri? Avete in programma di fare un tour per promuovere ‘Nudi+Crudi’? C’è già del nuovo materiale in lavorazione?
U: Siamo alla ricerca di date per portare in giro il nostro disco, per ora ne abbiamo qualcuna, speriamo di poterne aggiungere tante altre. Le idee per un nuovo lavoro sono tantissime, dobbiamo solo metterle in ordine il prima possibile. Ciao a tutti e tutte, ci vediamo sotto al palco appena abbiamo finito! (anche prima per un bicchierino).

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(Txt Gab De La Vega x Salad Days Magazine)

WINTER DUST – INTERVIEW

March 24, 2023 |

Dopo qualche anno di silenzio i padovani Winter Dust sono tornati con un album nuovo e con grandi novità: ‘Unisono’ è il loro primo album in italiano. Li abbiamo intervistati per Salad Days Magazine.
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CRISTIANO REA – REST IN PANK!

March 13, 2023 |

Questa intervista sarebbe dovuta uscire prima dello scorso 3 febbraio, data di lancio di ‘Pank!’ al Forte Prenestino. Tempi e code non ci hanno aiutato, e siamo qui. Apprendiamo della scomparsa di Cristiano Rea, oggi. Sgomenti. Senza parole.

Ci avevamo parlato un paio di mesi fa. Entusiasta. Anzi gasato (l’ho sentito, quindi insisto: “gasato”) dal lavoro con Goodfellas, con Guglielmi, e con tutti gli altri amici coinvolti nella raccolta/resoconto della sua storia. Che fare? Il modo migliore di ricordare Cristiano, per noi, è quello di “madarla” come doveva essere. Uncensored. Unchanged. Ed aggiungo un pensiero, da anti-fascista. Oggi parte la settimana del ventennale dell’uccisione di Dax. Il documento politico (e non solo) che spiega quello che è successo, e quello che succederà, è illustrato da Zerocalcare. Penso a Dax, penso a Cristiano Rea, là. Assieme.

In occasione dell’uscita di ‘Pank!’, raccolta dell’opera (non proprio, come scopriremo più avanti) omnia di Cristiano Rea, scambiamo due chiacchiere telefoniche con l’autore. Il tutto organizzato da Goodfellas, che dopo Negazione e Virus, sposta il suo mirino, giustamente, verso la capitale. Non essendo (io) un professionista, ero molto restio alla telefonata, il modo di gran lunga più “pain in the ass”, in questo mondo super social e ancora più veloce, per fare un’intervista. Ma, col senno di poi, ci sta. Perché stiamo parlando di disegni (e fino ad un certo punto della sua storia stiamo parlando di “disegni a mano”). Stiamo parlando di un mondo “analogico”: i.e. attenzione e spontaneità. Per dire che, come i suoi disegni, tutto quello che leggerete qui sotto non è stato registrato, non è stato sbobinato, non è stato RICALCATO. Tutto quello che leggerete qui sotto è la mia versione: take it or leave it.

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SD: Non parleremo della tua storia, non parleremo del tuo stile. Non parleremo dei tuoi “eroi”. Non ti chiedo il quando, il dove ed il perché… non ti tedio con “sei arrivato prima alla musica o alla grafica”. BTW, volete un motivo per comprare il libro? L’ottima e dettagliata intervista a cura di Federico Guglielmi. Quindi: chi ha avuto l’idea di ‘Pank!’?
CR: proprio Federico! Un paio di anni fa, in occasione di una ristampa “vinilica” che stava curando, mi ha chiamato proponendomi una retrospettiva sul mio lavoro. Devo dire che di primo acchito non gli ho risposto: “WOW!”. Anzi, ero molto perplesso. Vedevo un grosso problema nel progetto: non avevo nessun archivio, nessuna traccia, nessun database…

SD: Mi precedi: ti avrei infatti chiesto dell’archivio, di chi aveva le testimonianze, di dove avete cercato la (tua) storia! Come avete fatto?
CR: Per fortuna un grosso lavoro era stato fatto intorno al 2014, quando lo Spartaco (per gli extraterrestri che non sanno di cosa parliamo, facebook.com/csoa.spartaco) ha organizzato la prima mia “personale” (focalizzata sul periodo “Uonna Club”). Da lì c’è stata la più classica “chiamata alle armi”, fino ad arrivare ad amici che hanno tolto i miei flyers dalle loro cornici!

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SD: Non posso credere che tu non avessi NIENTE! Come è potuto succedere?
CR: Ricondurrei il tutto a due parole chiave: “spontaneità” e “urgenza”. Lo scopo era comunicare il messaggio senza costrizioni, senza troppi “cazzi” (questa è ovviamente mia). Faccio un esempio. Negli gli anni del Uonna Club, disegnavo i flyers il pomeriggio per la sera. Consegnavo. E finiva lì. Non c’erano copie per me. Non c’erano bozze o disegni preparatori. Quello era, e quello consegnavo.

SD: Col senno di poi, non ti rode?
CR: No. Era puro divertimento. E’ andata così. E non poteva che andare così. Quelli erano i tempi. Quelli erano le persone. Ritorno al discorso “urgenza”. Quei pomeriggi non pensavo a quei disegni… quei pomeriggi pensavo solo a quelle sere… diciamolo chiaro: alla fine volevamo ballare!

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SD: Se devo scegliere il tuo periodo migliore, per mia sensibilità personale, scelgo la fase “wave”. Cosa ne pensi?
CR: Grazie mille. Che dire? A prescindere dalla tecnica (disegno, illustrazione, grafica, impaginazione) non concepisco il mio lavoro “staccato” da un messaggio, da un’idea. Mi spiego. Non sono uno di quelli che disegna per il gusto di disegnare (anche perché sono molto autocritico). Sono inevitabilmente legato a qualcosa che per me è interessante. Era interessante il filone del punk (e ci tengo a dire… punk in italiano). E’ stato interessantissimo il filone della new wave (e ci tengo a dire… new wave in italiano). Tanto che mi sono quasi sentito in colpa nei ’90, quando ho abbandonato il disegno per “le macchine elettroniche” (cit. dalla scheda dedicata all’autore). Mi sembrava che il tempo che stavo dedicando a quei lavori fosse poco, o comunque non abbastanza.

SD: Se ti può consolare, penso che se un lavoro è fatto bene valga a prescindere dal tempo che ci si mette a farlo: certe tue copertine, per esempio, sono iconiche (penso a ‘Balla E Difendi’ o a ‘Figli Della Stessa Rabbia’). Cosa ti piace, cosa pensi della grafica oggi? Mi spiego meglio. Con qualcuno del mio giro parlavo del fatto che ultimamente, ai concerti, o meglio a certi concerti, ci sono più fotografi che pubblico, non è che anche il “tuo” mondo sta andando in quella direzione? E, se così fosse, è un bene o un male?
CR: Sicuramente penso sia un bene che la grafica (o il disegno) goda di questo buon momento. Penso sia un bene, rispetto ai “miei anni”, che questa “disciplina” sia finalmente riconosciuta come una professione. Per quel che vedo intorno a me (ci tengo a scrivere e sottolineare che qui lo dice con la massima “umiltà”, quasi non volesse… ok?), noto una certa uniformità nelle proposte. Il che forse non è un bene.

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SD: Sono previste date in giro per l’Italia?
CR: Il libro sarà presentato al Forte Prenestino. 3 febbraio. Poi ci piacerebbe portarlo in giro. Magari in situazioni più tranquille (i.e. librerie/negozi di dischi).

Nonostante la telefonata “pain in the ass”, mezz’ora volata. Ci salutiamo contenti. Lui, me lo ribadisce, contento del libro e dell’interesse. Io contento della chiacchierata, e non solo.

(Intervista di Francesco Mazza per Salad Days Mag – Illustrazioni tratte dal volume ‘PANK! 1977-2022′ (Goodfellas, 2022))

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