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Salad Days Magazine | April 28, 2024

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Papa Roach ‘Who Do You Trust’

Papa Roach ‘Who Do You Trust’
Salad Days

Review Overview

7
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Rating

PAPA ROACH
‘Who Do You Trust’– LP
(Eleven Seven Music)
7/10


Non è facile parlare di queste cose se non hai vissuto almeno in parte l’ascesa ed il declino di MTV, e per chi non ha almeno trent’anni sarà complicato immergersi in un tema delicato come questo. I primi anni duemila sono stati un passaggio fondamentale per il nu-metal e l’alternative rock, con tutte le declinazioni ed i mischioni che si sono creati, nel bene e nel male. In mancanza di un fratello maggiore dal quale si sono ereditati qualche disco o qualche ascolto, o della comparsa nei video suggeriti di YouTube probabilmente il nome Papa Roach non vi dirà nulla. Se ‘Last Resort’, ‘Blood Brothers’, o ‘Infest’ (più copertina iconica con un primissimo piano di uno scarafaggio) non vi suonano familiari, chiaro che non vi ricorderete del video del singolo più conosciuto della band, replicato poi l’anno dopo dagli Alien Ant Farm (plot uguale e solo forma diversa), a tema suicidio. Ma erano altri anni. Su loro canale YT ne trovate una versione che, tra parentesi, specifica che è una “squeaky-clean version”, ovvero “pulitissima” e censuratissima, senza parolacce. In ogni caso, fuori dai miei radar per almeno quindici anni in cui sono stati pubblicati 5/6 album, il ritorno dei Papa Roach nelle mie orecchie è proprio col terzo singolo estratto da ‘Crooked Teeth’, ‘Born For Greatness’, gigantesco anthem utilizzato come sottofondo in alcune delle diatribe via etere di Cruciani e Parenzo (La Zanzara, ndr). Per il 2019, è in programma ‘Who Do You Trust?’, sottoscritto dalla Eleven Seven Music, dove Jacoby Shaddix e soci tornano a dare in pasto all’ascoltatore che cosa!? La risposta arriva dal bassista Tobin Esperance che, in un’intervista, afferma che la band ha voluto sperimentare, mischiando genere nei propri pezzi, creando «new and exciting music». Analizzando le tracce ed iniziando l’ascolto, WDYT viene aperto da ‘The Ending’, dove troviamo uno Shaddix a metà, semplicemente calmo e misurato, a cantare del momento in cui si realizza la fine di una relazione: esempio vividissimo dell’innegabile capacità sua e della band di creare pezzi che filano lisci come l’olio dall’inizio alla fine, esempio che si troverà anche più avanti. Stesso discorso per ‘Renegade Music’, con un livello di tensione superiore e un simil spoken word, per poi liberare tutta la rabbia nel ritornello: questa sarebbe l’inno di ciò che la loro musica vorrebbe essere. ‘Not The Only One’ è effettivamente un cambio di suono per i PR: chitarra sola in apertura, strofa, pre-ritornello, simil-breakdown e ritornello; funziona tutto, perché l’esperienza conta, ed anche se non sono più quelli di ‘Infest’ suonano più come degli Stone Sour o degli Slipknot nella parte finale. Stesso discorso anche per ‘Who Do You Trust?’, title track, solo che qua i Papa Roach giocano a fare i Limp Bizkit, per ‘Elevate’, dove si richiamano i Falling In Reverse, e ‘Come Around’, dove beviamo la centrifuga Puddle Of Mudd e Owl City. Non fraintendetemi: i pezzi funzionano tutti e potenzialmente sarebbero anche tutti singoli perfetti per la radio, solo il richiamo agli anni duemila e ad altri successoni che si sono susseguiti negli anni si nota tutto. Ad esempio, ‘Feel Like Home’ sarebbe stato uno dei tormentoni radio nel tra il 2000 e il 2004 (parallelismo Crazy Town con ‘Butterfly’ e Shifty con ‘Slide Along Side’), come forse la seguente ‘Problems’, più riflessiva, ma che non nasconde certo l’intento di Shaddix: avere più visibilità e passaggi in radio possibile. Come dargli torto!? Effettivamente tutto si capisce con ‘Top Of The World’, una ballatona semi-rap che potrebbe essere il manifesto dell’imaginedragonscore, di cui i Papa Roach sono i paladini, a questo punto. Discorso a parte per ‘I Suffer Well’, la traccia più hardcore e corta dell’album, ma forse la più apprezzabile, in quanto riesce ad evocare una rabbia ed un disagio finalmente sincero. Non è difficile arrivare alla fine del disco, e’ incontestabile la capacità di creazione di banger catchy, ma tutto sembra fluttuare in una gigantesca operazione nostalgia, che chi ha almeno trent’anni potrà capire e potrà rivivere, tornando ai primi anni duemila, svecchiati e ripuliti.
(Fabrizio De Guidi)

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La cover story di Salad Days Mag #38 – The Winter Issue – è dedicata alla band californiana: leggi l’intervista completa a Jacoby Shaddix e cerca ora la tua copia!

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