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Salad Days Magazine | May 2, 2024

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Highlights

The Black Lips @ Circolo Magnolia, Milano – recap

December 17, 2021 |

E’ stato scritto e detto tutto riguardo ai Black Lips, questa volta approccio ‘sta pagina bianca un po’ meno gasato del solito. Una mezza idea mi viene, funzionerà?

Come è stata la mia prima volta live con Cole, Jared e compagnia? Mille anni fa, grandi aspettative. Tour europeo nel periodo pre-Vice. Facciamo fatica, pur consultando il mio omonimo Barcella ed i massimi esperti di garage italiani, a ricostruire il tutto. Era il tour di ‘Let It Bloom’? O addirittura del secondo su Bomp!, quello dal titolo interminabile? E, soprattutto, dove avevano suonato? Sicuramente non nei posti “istituzionali” (cazzo, erano veramente fuori per i tempi), parlo di Bloom et similia. Mi ricordo una vasca in solitaria per vedermeli, tanto che associo quel concerto al cuneese (come direbbe Totò: “io sono andato a vedermeli a Cuneo”). I Black Lips si portavano dietro una fama di cazzari, distruttori: vomito, nudità, elicotteri (per i maschi che leggono dovrebbe essere chiaro di che tipo di elicotteri stiamo parlando). Mi ricordo che me li aveva fatti ascoltare in negozio il buon Cattaruzza, Hangover. In un periodo che a Milano era tutto “post” Sottopressione. Atmosfere pesanti, nere. Gli chiedo di questi Black Lips, e lui mi mette il primo, l’omonimo. WOW, dico, ‘sta roba è allegra, ma anche molto potente! Comunque. Grandi aspettative! Tanto grandi, che alla fine il concerto era filato via “liscio”, quasi normale, comunque senza troppi sussulti. E’ vero, eravamo abituati bene: scene come i pieni dei Good Riddance al Tunnel penso siano state il nostro benchmark milanese per ogni live da lì in poi, in quanto ad “aspettative”. Detto ciò. Mai come in quel caso Chuck D ci aveva visto giusto: ‘Don’t Believe the Hype’.

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Fast forward, ed arriviamo a dicembre 2021. Da buon punkettone non seguo i Black Lips dall’esplosione Vice. Ma in questi turbolent times sono come ‘L’Attimo Fuggente’: carpe diem, ci devo andare! Aspettative meno di zero. L’aggiunta al lotto di Zumi Rosow, musa di Gucci, certo non mi aiuta in quanto a “punti scena”. Anche perché non credo che Alessandro Michele passi le sue serate ad ascoltarsi i dischi dei Black Lips. Sapete bene cosa penso di certe operazioni “moda meets underground”, in generale “mainstream meets underground”. Penso che l’effetto “scimmietta allo zoo” sia dietro all’angolo. Conclusione? Concerto dell’anno (e quest’anno ho visto i Kobra, i Golpe… ma anche i Sons Of Kemet o Fatboy Slim). Cazzo se ci siamo divertiti. Cazzo se si divertono. Ultima data del tour europeo: ci siamo pure beccati il finale/bonus con ‘Hippie Hippie Hooray’, LA cover per eccellenza. Per dirla come i Napalm Death: questi sono “Leaders, not Followers”.

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P.S.
Thanks to Paolo Proserpio, possiamo anticiparvi che i Black Lips sono ora a Parigi, per registrazione nuovo album. YES.

P.P.S.
A parte Gucci, tanta Italia nei Black Lips. E’ gente che ne sa, poche palle. Guardatevi il loro Instagram. E sentitevi i loro pezzi: qualcuno ha detto Pooh?

(Txt fmazza1972 & Pics Paolo Proserpio)

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Hot Mulligan ‘I Won’t Reach Out To You’ 2021- Wax Bodega

November 26, 2021 |

Non è stato facile scegliere la release vinilica novembrina. Tra le tante (prime stampe o ristampe) uscite che ci sono passate tra le mani, alla fine l’hanno spuntata gli Hot Mulligan, quelli che a quanto pare sono la #1 hot new band (cit.)

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Hot Mulligan sono un quartetto (erano un quintetto fino a qualche mese fa) del Michigan di recente formazione (2014) ma che nel corso di questi anni si è guadagnato fin da subito la stima del pubblico, e l’apprezzamento della critica, a suon di ottime release. L’ultima di queste, ‘I Won’t Reach Out To You’, è un ep di cinque pezzi uscito a maggio per l’etichetta Wax Bodega, nuova label di Philadelphia nata nella primavera di quest’anno da un’idea di Zack Zarrillo (già co-fondatore di Bad Timing Records) e che ha già avuto modo di farsi apprezzare per le splendide release di artisti come Mat Kerekes (Citizen), Gates (nuovo ep uscito a fine ottobre e vinile in uscita a dicembre) e Super American (fuori con uno dei dischi più interessanti del 2021). La prima stampa di ‘I Won’t Reach To You’, distribuita da Many Hats Endeavors (altra creatura di Zarrillo), è uscita lo scorso maggio in cinque varianti colore (per un totale di 1850 copie) andate esaurite praticamente subito. Wax Bodega ha ascoltato le numerose richieste e a inizio novembre ha rilasciato la seconda stampa, questa volta in sole due varianti colore, la prima Half Pink/Half Clear with White Splatter (tiratura 500 copie e disponibile solo sul sito di Wax Bodega) e la seconda Pink (tiratura 750 copie e disponibile solo durante le date del tour e da selezionati retailers US – per il momento), entrambe con etched b-side.

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Come per tutte le altre release di Wax Bodega, anche questa esce con il consueto obi-stripe realizzato da Matt Delisle di Eat Cold Pizza che rende riconoscibili tutte le uscite dell’etichetta e che riporta sullo stesso tutte le info di ogni release.

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Artwork affidato alle cure di Andrew Zell, digital artist del Wisconsin (e grande fan di Hot Mulligan) che in passato ha curato i lavori di band come Carousel Kings, August Burns Red e Texas In July e che ha realizzato l’artwork per ‘I Won’t Reach Out To You’ a stretto contatto con la band, utilizzando alcune sue foto scattate durante un viaggio presso il Canyonlands National Park in Utah e mashuppando il tutto con alcuni suoi lavori che i membri della band hanno personalmente scelto. E il risultato è quello che potete vedere nella gif e nelle immagini qui sotto.

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Altra release di qualità quindi per la label di Philly che vi suggeriamo di tenere d’occhio in quanto avrà in serbo parecchie bombette in uscita da qui in avanti.

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Stone Island presents Milano @ Fabrique, Milano – recap

November 12, 2021 |

Evento “as part of the Stone Island Sound” e “curated by C2C”: quindi “bomba”.
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Kilauea, lo skateshop/edicola di Sassari

November 9, 2021 |

“La dose quotidiana di notizie fresche, cruciverba, tavole da skateboard, penne, matite, quaderni, vecchi vinili, ritrovo degli skateboarders per una birra fresca insieme”

Nel tempo si evolve sempre, questo è il dna naturale dello skateboarding. Lo skateboarding è una spugna, è capace di prendere ispirazione da tutto ciò che lo circonda, una prospettiva che riesce a catturare anche le sfumature più nascoste.

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La globalizzazione ha fatto sì che il mercato cambiasse in modo permanente e velocissimo negli ultimi 15-20 anni. Nuove tecnologie da sfruttare, da spremere e la sfrenata corsa all’acquisto, tutti possono avere tutto e in tempi brevissimi, a volte a scapito della qualità dei prodotti e non ultima delle Esperienze.

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Ora è diventato molto raro trovare qualcosa di veramente speciale e che sia pienamente supportato da una particolare nicchia interessata e che questo sia sostenibile anche per chi ha l’iniziativa. Lo skateboarding ha sicuramente un legame di sangue con l’arte, la creatività e le sottoculture in generale, lo skateboarding è sinonimo di comunità.

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In tempi normali, amo molto scoprire nuovi luoghi interessanti durante un viaggio, un po’ nascosti, frequentati da nicchie particolari nelle quali stare e con le quali scambiare esperienze. Gli skateshops nascono per questo: creare aggregazione, senza differenze di culture, sesso, orientamento sessuale o “classe sociale”. Sicuramente gli skateshops sono fatti per gli skateboarder ma aprono le braccia a qualsiasi persona su questo pianeta terra e anche proveniente dal mondo extraterrestre, questo è lo skateboarding.

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Negli ultimi anni si è perso il senso di comunità, e i negozi locali sono stati visti, dalle nuove generazioni, come superati, sfigati. Tutto gira come una ruota, molte cose tornano alle loro origini ed è giusto che sia così. Se, da un lato, lo skateboarding è diventato una disciplina olimpica, uno “sport riconosciuto” grazie ai Giochi Olimpici di Tokyo 2020 e mentre i “big players” sono interessati a spremerlo per sfruttarlo al meglio; dall’altro lato, ci sono piccole realtà che tornano e piccole masse che tornano ad avere un “senso di appartenenza a una certa comunità di simili”.

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Negli ultimi anni, abbandonati dagli stessi skaters (non è bella la cosa che ho appena detto ma rappresenta la realtà) i veri core skateshops si sono evoluti offrendo anche altri prodotti e servizi, altri invece si sono “tuffati” nella più estrema dipendenza dal fashion. Personalmente è da molto tempo che non sentivo il “senso di comunità” e l’ho appena vissuto. Non capita tutti i giorni di entrare in una classica edicola che, allo stesso tempo, è anche un classico core skateshop al servizio degli skaters. Questo skateshop non si trova ad Amsterdam, Berlino, New York o Los Angeles, si trova a Sassari, Sardegna – Italia e si chiama Kilauea skate & surf shop.

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Ci sono diversi esempi di skateshop che offrono anche altri prodotti e servizi ai loro clienti, solo per citarne alcuni: l’amatissimo Benny Gold Shop che offriva skateboard, abbigliamento, caffè e chai tea (ora definitivamente chiuso) attivo nell’area di S.Francisco, Stitch a Grafenwohr – Germania, che offre skateboard e vaporizzatori, Quonset Hut in Ohio che vende vinili, golf disc, freccette, regali e vaporizzatori, Sanantonio 42 a Pisa – Italia, che offre libri, accessori per dj, graffiti lattine, vinili e ancora Folks a Verona – Italia che vende skateboards e vinili. Non ultimo nomino South Central, un negozio che possedevo che ho gestito per circa dieci anni, offrendo, skateboards, marchi streetwear di nicchia come Reeson, Lobster, marchi come Stussy, A Quiet Life, Undefeated, Brixton e molti altri ancora. South Central era un luogo per incontrare persone che la pensavano allo stesso modo. Il negozio offriva anche eventi, libri, prodotti artigianali e un angolo caffè molto “fresh” semrpe all’interno del negozio e un noleggio gratuito di biciclette.

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Quindi, può essere reale che nel 2021 ci sia un’edicola di 60 mq che è anche un core skateshop? Sì, esiste dagli anni 70 come classica edicola e azienda familiare di Vito Porcu (il proprietario) e si chiama Kilauea. Sabato scorso sono rimasto davvero sorpreso dall’aria che respiravo all’interno dello spazio, punto d’incontro per gli skateboarders. Giusto per essere sincero direi “più luoghi di aggregazione e meno social network”.

Luca Rizzotto

Element x Hotel Radio Paris launch @ Polartec Showroom, Milano – photorecap

October 30, 2021 |

Element x Hotel Radio Paris launch @ Polartec Showroom, Milano – photorecap

Pictures by Salad Days Mag – All Rights Reserved.

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Thrice ‘Horizons/East’ 2021- Epitaph Records

October 29, 2021 |

Primo appuntamento con la nuova rubrica Vinyl Of The Month e non potevamo partire che con uno dei dischi più attesi dell’anno.

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Non ci soffermeremo qui a parlare del contenuto musicale del disco (la recensione la potete trovare qui) ma andremo ad analizzare più nello specifico il prodotto fisico. ‘Horizons/East’, il nuovo lavoro dei californiani Thrice, è uscito lo scorso 17 settembre su tutte le piattaforme digitali e l’8 ottobre in versione cd e vinile per Epitaph Records. Per il vinile previste diverse varianti, alcune esclusive per il territorio americano (e che verranno rilasciate a novembre), altre esclusive per l’Europa e altre ancora sia per i retailers a stelle e strisce che per quelli europei, più l’esclusivissima variante per i membri della Thrice Alliance, per un totale di dieci varianti colore. Qui sotto potete vedere le prime quattro varianti che mi sono passate tra le mani: Cloudy Purple (Kings Road Merch Europe exclusive), Purple & Mustard Galaxy (Kings Road Merch exclusive), Orange & Mustard Galaxy (German retail exclusive) e Purple in Neon Yellow (european indie retail). Ve lo diciamo già, il prodotto è, ovviamente, curatissimo. Direzione artistica e design affidate alle sapienti mani di Jordan Butcher e della sua nuova creatura Strange Practice (ex Studio Workhorse – quello che ci ha regalato gli artwork di Underoath, Anberlin, mewithoutYou, Haste The Day, The Devil Wears Prada e molti altri ancora). La cover è presentata in Chromadepth, sistema brevettato dall’azienda Chromatek che funziona sfalsando i colori nell’ordine dell’arcobaleno e che vi potrete godere appieno utilizzando gli occhialini 3D inclusi nella confezione (occhialini che potrete usare anche per gustarvi tutti i lyric video presenti su youtube).

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Il titolo dell’album e il nome della band sono embossed in carettere Sväng dai regaz di Letters From Sweden; retro copertina con ritaglio quadrato nella parte centrale e logo band embossed nella parte inferiore e inner sleeve a doppia facciata con la track list e i credits da una parte e tutti i testi dall’altra. Niente da dire nemmeno sul fronte audio, il disco sul piatto suona bene tanto che vi farà apprezzare tutte le sfumature e i bellissimi arrangiamenti presenti nelle dieci canzoni che compongono il disco. Uno dei platter più attesi (e più belli) dell’anno non poteva non essere supportato da un prodotto fisico di qualità. Compratelo online, richiedetelo al vostro negoziante di fiducia, ma non lasciatevelo assolutamente scappare.

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DR. MARTENS x “TOUGH AS YOU” FEST DAY 1 @MI AMI x CIRCOLO MAGNOLIA, MILANO – PHOTORECAP

October 22, 2021 |

DR. MARTENS x “TOUGH AS YOU” FEST DAY 1 @MI AMI x CIRCOLO MAGNOLIA, MILANO – PHOTORECAP

Pictures by Emanuela Giurano x Salad Days Mag – All Rights Reserved.

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COMUNQUEMARTINA

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Full Of Hell – interview

October 5, 2021 |

I Full Of Hell hanno rilasciato un nuovissimo album, intitolato ‘Garden Of Burden Apparitions’.

Il quartetto statunitense nel corso degli anni ha saputo mutare pelle, incorporando elementi anche molto distanti dal loro primigenio grindcore. Ho rivolto qualche domanda a Dylan Walker, voce e campionamenti della band divisa tra Ocean City nel Maryland e la Pennsylvania.

SD: Il vostro nuovo album, ‘Garden Of Burning Apparitions’, esce ancora una volta sotto l’egida di Relapse Records. Credo proprio siate molto soddisfatti di loro…
FOH: Sì, Relapse e’ un’ottima etichetta mandata avanti da gente che ama davvero la musica. Puoi dire, lavorando con ognuno di loro, che amano veramente quello che fanno e vogliono solo costruire qualcosa di speciale tramite la label.

SD: Possiamo considerare il nuovo album come un concept sulla religione? Dico questo perche’ mi pare abbiate spinto molto su questo argomento…
FOH: Non credo che abbiamo spinto il tema religioso in maniera così forte rispetto ai precedenti lavori. Il focus questa volta e’ stato maggiormente orientato sul concetto di spiritualita’ ad un livello individuale e sulle tormentose domande che riguardano l’impermanenza e la mortalita’. Abbiamo sempre scritto di questi argomenti in una forma o nell’altra, ma questa volta il rasoio e’ un po’ piu’ affilato.

SD: Avete registrato durante lo scoppio della pandemia nel vostro paese. Che tipo di sensazioni avete avuto? Questa tragedia in che modo ha influenzato la vostra vita privata e quella dei Full Of Hell?
FOH: E’ stata un’esperienza strana per tutti. E’ stato tutto estremamente stridente per cio’ che riguarda il gruppo. Da un lato abbiamo visto il nostro mondo cambiare dall’oggi al domani. Dall’altro pero’, e’ stato positiva per due ragioni. Ci ha permesso di prenderci una pausa dall’essere costantemente in tour, il che e’ stato molto importante a livello personale per valutare che cosa stavamo facendo. La seconda ragione e’ che ci ha forzati a fare perno e a essere creativi con cio’ che avremmo potuto ancora fare. Per cio’ che mi riguarda, questo periodo ha rinvigorito il mio amore nel creare arte e mi ha fatto concentrare in una maniera che non sarebbe stata possibile se non ci fosse stata la paura per la fine del mio mondo. E’ stato un periodo duro, abbiamo perso persone amate come e’ successo a molti. Non c’è altro modo in cui guardare cio’ che e’ successo, davvero. Sfortuna e tragedia, ma l’unica opzione che abbiamo e’ tirare avanti.

SD: Joe Biden e’ il nuovo presidente degli Stati Uniti d’America. Felici di cio’? L’eredita’ di Trump e’ ancora viva?
FOH: Joe Biden fa schifo. Non e’ un terrificante autocrate come Trump, ma e’ un lupo travestito da agnello come tutti gli altri. Nessuno di loro ha a cuore il miglior interesse per l’umanita’.

SD: Qualcuno descrive i Full Of Hell come grindcore per hipster. Non mi trovano minimamente d’accordo, anche perche’ non suonate solo grindcore. Cosa ne pensate?
FOH: Non ci importa, anche se ad essere onesti e’ una bella descrizione. Se fossi un purista del genere, probabilmente la penserei allo stesso modo, ma non lo sono. Mi piacciono un sacco di tipi di musica differente e non voglio sentirmi limitato nel nostro approccio. Credo sia molto importante che vi siano band che mantengano sempre lo stesso focus in un unico genere. Noi non siamo minimante interessati, questo e’ quanto.

SD: Puoi parlarci della cover? E’ davvero intrigante… puoi spiegarci il significato del libro? Di chi e’ la faccia del ragazzo?
FOH: E’ una interpretazione di Mark McCoy di un sogno che ho fatto, in cui un serafino discende in un giardino in rovina.

SD: Fin dall’inizio, i Full Of Hell hanno sperimentato con differenti suoni. Questo sara’ l’approccio che userete anche per i futuri album, o tornerete ad una forma piu’ semplice?
FOH: Spero diverremo sempre piu’ strani.

SD: Progetti per una nuova venuta in Europa? Mi ricordo una gran concerto a Bologna con i Disciples Of Christ…
FOH: Quel tour con i DOC e’ stato decisamente malato. Torneremo al 100% quando sara’ sicuro e facile farlo. Sono ottimista per il 2022…

SD: Grazie mille per il tuo tempo. Se vuoi aggiungere qualcosa…
FOH: Grazie mille per l’intervista! Stay safe…

(Txt by Marco Pasini x Salad Days Mag – All Rights Reserved)

Artist photo (above) by: Jess Dankmeyer

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Photo by: Kevin Spaghetti

FULL OF HELL, ON TOUR WITH WOLVES IN THE THRONE ROOM & UADA:

1.11 • Seattle, WA • Crocodile

1.12 • Vancouver, BC • Rickshaw

1.14 • Edmonton, AB • Starlite Room

1.15 • Calgary, AB • Dickens

1.17 • Salt Lake City, UT • Metro Music Hall

1.18 • Denver, CO • The Oriental Theater

1.19 • Lawrence, KS • Granada Theater

1.20 • Minneapolis, MN • Fine Line Music Café

1.21 • Chicago, IL • The Metro

1.22 • Detroit, MI • El Club

1.23 • Toronto, ON • Danforth

1.25 • Montreal, QC • Fairmount

1.26 • Boston, MA • Sinclair

1.27 • Brooklyn, NY • Warsaw

1.28 • Pittsburgh, PA • Mr. Smalls

1.29 • Washington, DC • The Black Cat

1.31 • Charlotte, NC • Amos’ Southend

2.01 • Atlanta, GA • The Masquerade

2.02 • Tampa, FL • The Orpheum

2.04 • Dallas, TX • Amplified Live

2.05 • San Antonio, TX • The Rock Box

2.07 • Phoenix, AZ • Nile Theater

2.08 • Los Angeles, CA • The Regent

2.09 • Berkeley, CA • UC Theater

2.11 • Portland, OR • Hawthorne Theater

Rixe + Sempre Peggio + Negative Path – 18/9/2021 Catania – recap

September 27, 2021 |

Nudi e crudi – Si può riassumere così nell’essenzialità del titolo, la serata organizzata da Catania Hardcore e Nafout’ Crew, che ha visto esibirsi a Catania…

…i parigini Rixe, i milanesi Sempre Peggio e i “locals” palermitani Negative Path. Il cambio di location all’ultimo minuto non ha scoraggiato ne fatto cambiare idea al popolo che fluttua attorno alla scena hardcore/metal e altre contaminazioni catanese, accorsa infatti in un nutrito e folto gruppo. Aprono i Negative Path che fa sempre piacere incontrare e vedere dal vivo; uno spiccio, grezzo e sudicio thrashcore invasato e casinista con palesi influenze anni 80 ci accompagna per buona mezz’ora.

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Attesi subito dopo i Sempre Peggio, band Oi! punk che sin da subito hanno messo le cose in chiaro con brani tosti e diretti tratti dai loro ultimi lavori creando un feeling epico con i presenti, supportata da una grande presenza scenica per un live che sarà difficile da dimenticare.

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Infine i parigini Rixe (fra l’altro unica data in terra italica!) che malgrado le temperature proibitive della serata sciorinano un set pieno di sudore/cori e fratellanza! Incredibile il senso d’apparenza che per tutta la durata del live si è creato, punk Oi! suonato come un hardcore band senza risparmiarsi di una virgola. Impatto Totale.

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(Txt & Pics Giuseppe Picciotto x Salad Days Mag – All Rights Reserved)

Lorenzo Senni – full interview

August 28, 2021 |

È poco più di un anno che Warp ha fatto uscire ‘Scacco Matto’, del nostro Lorenzo Senni.

Nell’ambito delle celebrazioni (e delle riaperture) del caso, avremo modo di vederli suonare (Senni e ‘Scacco Matto’) live! Per partecipare, a mio modo, alla partita, mi è sembrato carino imbarcarmi in questa strana impresa di proporre a Lorenzo una track by track: da una parte i miei deliri e le mie suggestioni, dall’altra le sue risposte, le sue contromosse. In realtà c’è anche la bonus track, o la traccia nascosta: ho voluto chiedergli anche del titolo. Il risultato è una super chiacchierata, piena di riferimenti e idee, alla faccia di chi pensa che l’elettronica sia cosa per gente gelida, e che la Warp sia un covo di snob o di nerd.

SD: ‘Scacco Matto’ – Partirei dal celeberrimo campione: ‘The Game Of Chess Is Like A Sword Fight’. Wu Tang Clan: ‘Da Mystery of Chessboxin’. Il Wu Tang per gente della vecchia come me aveva il rispetto totale, no matter che musica si ascoltava/si faceva. Loro erano un collettivo, con delle regole, una bella dose di mistero, il kung fu, roba se vuoi non lontana da certe cose che avevamo noi in ambito hardcore. Stesse suggestioni? Stessi ascolti? BTW, giochi a scacchi?
LS: Prima di tutto ciao, e grazie mille per la pazienza e per l’interesse incondizionato (n.d.r.: è da un po’ che sto “seguendo” Lorenzo, diventato oramai la mia ossessione giornalistica), anche ora che siamo a un anno dall’uscita di ‘Scacco Matto’! Ma questo compleanno mi/ci permette di tornare a parlarne, quindi timing perfetto! Prima domanda, prima suggestione. A dire la verità il titolo, anche se mi è piaciuto molto il riferimento al Wu Tang Clan, non viene da lì. Ho un profondo rispetto per il Clan, ma ci sono arrivato “tardi”. Da giovane mi ero rifiutato di dedicarmi a certe cose, per un discorso di appartenenza. Ero meno maturo (negli ascolti) di te (n.d.r.: WOW, e con questa mi ritiro). Era bello riconoscersi in un gruppo (n.d.r. inteso come sottocultura, tribù), poteva risultare limitante, ma era così. Quindi tenevo lontano da me certe cose (tipo il Wu Tang). Il titolo viene fuori “un po’ così”, durante il processo di composizione e creazione del disco. Stavo facendo fatica, in studio, a metterlo assieme, a realizzarlo come volevo. Era una lotta con me stesso. Da una parte avevo delle idee, volevo provare delle cose nuove: dall’altra volevo confermare in maniera molto precisa tutto il percorso che avevo fatto nei dischi passati. Insomma, cambiare visione, restando fedele, sia a livello musicale che a livello concettuale, a quello che avevo sempre fatto. Questo contrasto mi stava dando grossi problemi. In quel periodo ho incominciato a riscoprire il gioco degli scacchi. Non ero un appassionato, ma mi piaceva. E’ stato un bellissimo spunto per capire cosa mi stava succedendo. Ho letto tanti libri, tante interviste a riguardo. Tantissimi si riferiscono agli scacchi come ad un gioco con se stessi prima che con l’avversario. Ho iniziato a capire che quello che stavo facendo era un sfida con me stesso: gli scacchi mi hanno aiutato a costruire una narrativa, mi hanno dato molti spunti per mettere un po’ di ordine. Sono poi andato a incontrare Kasparov a Monaco, e ho avuto modo di scambiarci qualche parola. Tutto stava prendendo forma. Mi piaceva il discorso introspettivo, e mi piaceva anche utilizzare un’espressione in italiano. Anche in questo caso, era per dare continuità ad un’idea che avevo realizzato in precedenza, con ‘Persona’ (n.d.r. primo disco per la Warp).

SD: ‘Discipline Of Enthusiasm’ – In generale disciplina ed entusiasmo vanno insieme nella musica elettronica, non mi viene in mente il caos quando penso a te, o ai tuoi colleghi. Qui l’accostamento, per uscire un po’ dal seminato, lo potrei fare con Romare, visto in concerto a Miami (non vanno a Miami solo i musicisti, ci vanno anche gli ingegneri) prima che vedessi te (a Parma). Lui (almeno in quel set) molto più organico che “glaciale” (ma forse anche tu non sei sempre “glaciale”?). Comunque mi chiedevo cosa pensi/ascolti dei tuoi “diretti” concorrenti, vedi Ninja Tune (Romare’s). Mi aspetto che essendo un voyeur ascolti molta roba: ma con che spirito? Parentesi, hai i famosi scheletri nell’armadio? Io, per esempio, godo quando passa ‘Levels’ di Avicii.
LS: Per quanto riguarda ‘Discipline Of Enthusiasm’, ti posso dire che è il titolo che ha dato ad una mia intervista un bravissimo giornalista che si chiama Philip Sherburne. Scrive per tante testate, tra cui Pitchfork (tanto per cambiare/NDR). Mi piacque subito, penso che mi descriva molto bene. La parola disciplina mi riporta alle mie origini hardcore, in particolare alle dinamiche straight edge. Ho vissuto quel periodo, senza “sconfinare” nell’hardline. Ma non voglio entrare in troppi dettagli, visto che l’idea originale è stata poi “interpretata” in maniera controversa (n.d.r.: cose di cui stiamo discutendo e ri-discutendo dall’uscita di ‘Disconnection’ e di ‘Schegge Di Rumore’). Disciplina, dicevo. Mi è sempre piaciuto saper essere in grado di fare quello che si vuole fare, e di non fare quello che non si vuole fare. Entusiasmo, qui si entra nella sfera personale. Sherburne ha colto il fatto che sono una persona molto entusiasta, nei confronti di quello che faccio e di quello in cui credo. Non mi tengo mai quando c’è la possibilità di esprimermi, nel mio lavoro, piuttosto che rispetto alle cose che mi piacciono, o che reputo di un qualche valore. ‘Discipline Of Enthusiasm’ è un ossimoro, e secondo me rappresenta bene anche nella musica che faccio: elettronica, clubbing, ma non esattamente ballabile. Ci sono dinamiche contrastanti che condividono lo stesso spazio nella mia musica. Per tornare alla tua domanda, sono un tipo abbastanza disciplinato anche negli ascolti. Penso di essere informato riguardo a quello che mi succede attorno, per quanto sia difficile, vista la quantità di cose che esce. Sono sicuramente attento a quello che fanno i miei colleghi. Chiaro: potrebbero essere tantissimi da seguire! Quindi prediligo quelli che sento più vicini, quelli che conosco. Sono curioso di vedere cosa fanno, e se li conosco sono ancora più curioso! Mi interessa vedere qual’è il loro percorso artistico, di analizzare in che modo, attraverso quali mezzi si produce e si realizza la loro personalità. Devo ammettere che ascolto tanto rock, in generale tanta musica suonata da “vere” band, e con strumenti diciamo più classici. A partire da semplici power trio, piuttosto che i nuovi gruppi hardcore che vengono dagli Stati Uniti, ma anche tante cose vecchie. Sto riscoprendo tante cose italiane che non conoscevo, cose che risalgono a 10-15 anni fa, periodo in cui seguivo meno ciò che succedeva in Italia. Penso di esser molto attento a quello che succede nell’ambito musicale, fino ad arrivare alle cose più pop. Detto questo, sono molto critico. Penso che pochi progetti esprimano delle idee interessanti. Usando un termine molto brutto, Simon Reynolds parlò di me in un articolo in cui mi metteva assieme ad Arca e Sophie, definendo la nostra proposta come “Conceptronica”. Giustamente, perché in effetti siamo cresciuti tutti nello stesso periodo, condividendo tante cose, più o meno esplicite. Reynolds faceva riferimento a musica elettronica con una forte componente concettuale. Non so se vale anche per gli altri nomi dell’articolo. A me interessa molto questo lato: cerco sempre di sposare le mie sonorità con delle idee, e cerco sempre di fare in modo che i riferimenti possano essere tangibili, possano essere riconoscibili abbastanza facilmente. Spesso (n.d.r.: il riferimento è alla scena di sui sopra) non è così. Spesso ci sono dei progetti in cui si parla di idee filosofiche più o meno musicali, ma è davvero difficile coglierne il senso, piuttosto che “toccare” il legame. Preferisco fare cose semplici, fare in modo che ci sia una precisa connessione, come tirare una linea. Riguardo agli scheletri nell’armadio… eccome se ne ho! Quelli musicali direi di averli resi abbastanza espliciti, pensa a ciò che ho fatto su Justin Bieber, o cose del genere. Non ho paura di lasciarmi andare e di essere giudicato: questo non è mai stato un mio problema.

SD: ‘XBreakingEgeX’ – Qui il rimando allo straight edge e all’hardcore è direi ovvio. Mi chiedo cosa ti è rimasto di quell’esperienza. E mi chiedo anche se ti capita, andando in giro per le “gallerie d’arte”, che ti venga mai l’idea che ti stiano guardando un po’ tipo “zoo”, proprio per questi trascorsi underground. Una volta a Camden Town, ad un banchetto di mixtape ragga, delle tipe fotografavano il rasta dietro al banco. Il tipo ovviamente si è incazzato: “ma mica sono la vostra scimmietta da fotografare!”. Mi interessa questo rapporto tra alto e basso, e sapere cosa succede quando si rompe quel confine.
LS: ‘XBreakingEgeX’ è ovviamente un rimando a quel passato, che mi fa sempre piacere ricordare. Fortunatamente, avendo amici più legati all’universo gabber e hardcore (inteso come elettronica), ho imparato a vivere il mio essere straight edge in maniera molto tranquilla e assolutamente non estrema. Per intenderci, non come gli una volta hardline, ora amanti della cotoletta e del vino. Non essendo così estremo mi sono trovato a continuare: penso di avere trovato un certo equilibrio. Mi è piaciuto anche cercare di unire quest’idea, in maniera più concettuale, alla mia musica. Parlo di “sober dance music”. Non c’è la cassa, quindi non è ballabile, quindi è “sobria”. Ovviamente nel mio ambiente sono visto come una mosca bianca. Sono una mosca bianca a livello di backstage, non bevendo, non facendo uso di sostanze. Ma anche musicalmente sono considerato una mosca bianca: la musica che faccio non è una cosa facile da categorizzare, o da avvicinare ad un genere preciso. C’è sempre, comunque, un certo rispetto. Si sa benissimo cosa significhi al mondo d’oggi essere “sobri”, specialmente nel mondo della musica elettronica. Si sa benissimo quali e quanti siano i problemi che certe sostanze, ma anche solo l’alcol, creano. Parlo con colleghi un po’ più vicino a me, che sono purtroppo abituati ad un certo stile di vita che comprende anche queste cose. Finisce che non riesci a salire sul palco se non hai bevuto tre gin tonic e se non hai pippato. Diventa difficile liberarsi di questo tipo di abitudini. Insomma, penso che mi vedano come una mosca bianca, sì… ma anche con un po’ di invidia. Si rendono conto che il mio risveglio la mattina è decisamente migliore del loro! Riguardo all’hardcore, ed a quel particolare periodo. Penso che mi abbia insegnato questo discorso del “non mollare”. Fare le cose da te. Fare le cose come le vuoi fare, contando sull’aiuto di chi ti è vicino. Chi ti può appunto aiutare senza chiedere tanto. Tutto ciò che sta sotto all’ombrello del D.I.Y.: credo che questo faccia la differenza in ambito artistico, piuttosto che in ambito “gestione di una carriera”. Sei abituato fin da giovane a stampare il tuo vinile, piuttosto che a disegnare le tue magliette, o a preparare il tuo flyer e a mettere tutto sul tavolo del merch. Alla fine ritrovi il tutto, solo un po’ più in grande, man mano che il progetto cresce. Le dinamiche, i meccanismi e l’entusiasmo sono gli stessi. Devi fare in modo che tutto funzioni, e che tu riesca ad andare avanti contento di quello che fai. Sicuramente chi ha vissuto ed è cresciuto in questi contesti ha già un certo tipo di attitudine. Devo ammettere che anche a me capita di venire a sapere che quando qualcuno sta riuscendo bene in un qualcosa spesso è venuto su da un contesto punk hardcore, o comunque da un ambiente DIY.

SD: ‘Move In Silence (Only Speak When It’s Time To Say Checkmate)’ – Documentario su ‘Tavola Rasa Elettrificata’. CSI. Mongolia. Zamboni e Ferretti dalla parte del silenzio, della quiete. Canali dalla parte del rumore. Il gruppo, poi, si scioglie. Mi ritrovo molto con Canali che dice: “io comporrei sempre e solo dietro alla stazione, con i treni che passano”. Qual è il tuo rapporto con il rumore? E con il silenzio? ‘Move In Silence’ è la condizione perfetta per i “guardoni”, o no?
LS: Yes, ci hai preso. Volevo descrivere un’attitudine, la mia attitudine. Non sono uno che si perde in troppe chiacchiere: sono uno che va abbastanza diretto. Cerco di sviluppare quello che voglio fare nel miglior modo possibile. Cerco di comunicarlo nel modo più efficace e diretto ma anche coerente con quello che sono e con quello che voglio dire. Per esempio, spesso uso dei degli slogan, o dei motti che poi adatto al concetto. Mi piacciono molto, per esempio, i discorsi che vengono dal mondo del fitness o della palestra, sai quelle cose un po’ motivazionali? Sento che potrei essere anche un buon coach. Mi immedesimo abbastanza in quel ruolo. Quindi non tanto dire alle persone cosa dovrebbero fare, quanto dare dei consigli che mi sembrano corretti. ‘Move In Silence (Only Speak When It’s Time To Say Checkmate)’ è una frase che racchiude un approccio generale alla musica e alla vita. Mi piace molto perché io ci metto tanto impegno in quello che faccio, ed alla fine quello che si vede è solo la classica punta dell’iceberg. Tutto questo lavoro, tutta questa dedizione è un po’ quello che mi fa andare avanti, più del successo o meno del disco, più del suonare o meno ad Sonar…

SD: ‘Canone Infinito’ – Qui, avendo visto l’opera in terapia intensiva a Bergamo, il riferimento è obbligato a quel ‘Canone Infinito’. Mi chiedo come mai metterla nell’album portandola fuori dall’ospedale. Mi chiedo come mai non differenziarla (parlo del titolo). Con tutto quello che è successo dopo, col Covid, mi chiedevo se ci avessi pensato, se in qualche maniera il progetto ti avesse scosso, ancora di più.
LS: ‘Canone Infinito’ è semplicemente il titolo di un libro di teoria musicale che ho studiato all’Università. Si tratta di un libro di Loris Azzaroni, sottotitolato ‘Lineamenti Di Teoria Della Musica’. Un titolo che mi piacque da subito, e quindi l’ho voluto riutilizzare. Ho pensato che le due cose non sarebbero andate ad interferire più di tanto. Poi, quando si è parlato molto di terapie intensive (n.d.r. ci riferiamo a Bergamo e al ‘Canone Infinito’ composto da Senni per “alleggerire” l’attesa in quella terapia intensiva, ricordiamolo una volta in più), ovviamente il discorso è tornato un pochino più attuale, soprattutto quando stava uscendo il disco. Ma non è stato un grosso problema: solitamente sono più bravo a tenere divise le cose e ad essere preciso. In questo caso, come dicevo, era un titolo che mi piaceva molto; quando è venuto fuori questo pezzo in studio ho pensato di inserirlo nel disco e gli ho voluto dare quel nome. Il pezzo rispecchiava questa sorta di spirale, il canone come è descritto nel libro: queste strutture e formule musicali che si ripetono in un modo specifico. Insomma è un titolo che mi suonava bene. A differenza di molti altri titoli che ho usato, che sono più diretti, questo è un pochino più astratto e riguarda più la sensazione del pezzo, che qualcosa di specifico o tecnico. Mi sto perdendo: le due tracce non hanno niente in comune, se non il titolo!

SD: ‘Dance Tonight, Revolution Tomorrow’ – Qui viene facile pensare alla rave generation, alla summer of love, all’acid house etc. Quando sei entrato in contatto con quel mondo? Assumo che il fatto di essere “romagnolo” sia stato determinante, visto che qui a Milano (a mio modo di vedere) la separazione era molto più marcata, e la situazione era molto “settoriale”. Quindi BEATO TE!
LS: ‘Dance Tonight, Revolution Tomorrow’ viene dagli Orchid (n.d.r. wow!). A me serviva per spiegare il mio background. Come hai un po’ accennato tu, vivendo a Cesena ed essendo così vicino alla riviera sono cresciuto in un background molto eterogeneo, e soprattutto legato a due fazioni. Io ero un fan di ragazzi un po’ più grandi di me che suonavano in gruppi hardcore straight edge come Sentence o Reprisal. I Sentence sono di Cesena quindi li andavo a vedere in sala prove. Era quello che mi appassionava, quello che seguivo durante la settimana, durante la mia la mia vita da studente delle scuole superiori a Cesena. Nel weekend, quando passavo più tempo nel mio paesino, ero più soggetto all’influenza degli amici del bar. Parliamo di provincia. Gli amici del bar che erano dei frequentatori del Cocoricò, del Gheodrome, si andava qualche volta al Number One… erano degli hardcore warriors piuttosto che dei gabber. Quindi io sono cresciuto in questo limbo dove mi dividevo puntualmente tra questi due gruppi di amicizie. Per come sono io caratterialmente, penso che entrambe mi accettavano in maniera molto molto tranquilla. Potevo appunto andare ad ascoltare i Sentence in sala prove, per poi ritrovarmi in giro con questi ragazzi che andavano al Gheodrome! Diciamo che l’anello di congiunzione era un caro amico, mio compagno di classe, che era un hardcore warrior, spacciatore, che mi ha introdotto in questo suo gruppo e poi ha spiegato ai suoi amici più stretti che anche se io non facevo uso di sostanze come tutti loro, potevo essere ben accetto e molto carico per uscire! Da una parte l’hardcore straight edge, dall’altra l’elettronica/gabber: da molto giovane sono venuto a contatto con due realtà molto diverse che però, col senno di poi, mi hanno entrambe influenzato molto. Proprio qui direi nasca l’idea del “Rave Voyeurism”: tutta quell’esperienza personale di avere vissuto certe cose in un modo un pochino diverso, inusuale, magari come un voyeur, appunto.

SD: ‘The Power Of Failing’ – Titolo molto forte. Sottopressione: ‘Distruggersi Per Poi Risorgere’. Ma pure tutto il discorso fede/religione/spiritualità, che in un certo periodo era rilevante dalle nostre parti (Krishna-Core et similia). Sto volando troppo in alto? Ti riferivi “semplicemente” al saper perdere?
LS: ‘The Power Of Failing’? Disco dei Mineral, ma anche tanto altro. Diciamo che era un momento in cui non mi stavano tanto simpatici i social. Mi spiego. Facendo un disco ti chiedi se piacerà, se ci farò qualche concerto dopo, se la Warp ne venderà qualche copia. Poi, conoscendo la “music industry” da un pochino più dentro, capisci che queste cose non sono così importanti, fortunatamente, per il contesto in cui mi muovo. Comunque ci sono dei soldi che vengono investiti e dei soldi che eventualmente devono tornare. Questa la preoccupazione che mi viene per le persone che mi hanno dato fiducia. La preoccupazione mia, più personale, riguarda invece la domanda “questo disco piacerà o non piacerà a chi mi segue? ‘Scacco Matto’ era una specie di reazione a tutto questo. Non piace? Sarei contento lo stesso, e quindi va bene fallire. In senso ampio fallire non significa non essere felici: anzi, fallire ti mette davanti a certe dinamiche che è bene incontrare. Non sono andato troppo fondo nell’argomento però mi piaceva molto pensare a questo: mi è capitato in passato di cercare di fare una cosa al meglio, di cui potevo essere felice del risultato, ma senza raggiungere certi standard richiesti. Magari per qualche motivo non sono riuscito in una determinata cosa? Anche questo “fallimento” ha avuto sempre e comunque dei risvolti (buoni) nella mia esperienza successiva. Forse perché ho un’attitudine abbastanza positiva. Era un semplice riferimento all’idea di non dover sempre e per forza fare tutto bene, come oggi siamo portati a pensare. In generale mi sono sempre stati simpatici i loser, gli outsider. Questa cosa va un po’ a pari passo col non riuscire a incontrare degli standard richiesti. Comunque, anche qui mi sto perdendo, il titolo viene da un disco dei Mineral, quello in cui c’è anche ‘Gloria’, uno dei loro pezzi famosi.

SD: ‘Wasting Time Writing Lorenzo Senni Songs’ – Gli Anal Cunt mi danno un paio di spunti. UNO. Collegato a prima. Il tuo essere guardone dove ti porta/dove ti ha portato a livello di ascolti. Il Grind è la cosa più LONTANA da quello che fai! DUE. Seth era uno dei personaggi più “stronzi” della scena. Torniamo a prima: essere “guardoni” è una cosa “sana”?? Essere “guardoni” non è qualcosa cosa che porta inevitabilmente alla solitudine, ed alla “paranoia” di dover vedere/fare tutto?
LS: Gli Anal Cunt li ho conosciuti grazie ad un mio capo, parlo di un lavoro estivo. Per undici stagioni consecutive ho lavorato in un magazzino di sementi. Il mio compito era “impedanare”, praticamente fare dei piani di sacchi da 25 kg sopra un pallet che poi veniva spedito. Era un lavoro pesante, per quello era pagato bene. Il mio capo era un personaggio molto particolare, che però mi aveva preso in simpatia. Ero l’unico a cui era permesso ascoltare la musica mentre si lavora. Ero anche uno dei pochi italiani in tutto il magazzino. Però dopo i primi giorni ci siamo scoperti avere tante passioni in comune, tra cui la musica. Lui ha “imparato” a ordinare dischi e merch on-line, cose che io facevo già per me ed i miei amici. Io ho scoperto tante cose più legate al grind ed al metal, visto che lui era un appassionato di quei generi, ma anche tanto rock in generale! Gli Anal Cunt me li ha fatti scoprire lui. Dal punto di vista musicale devo dire che non mi hanno mai entusiasmato, faccio fatica ad ascoltarli. Però sicuramente mi ha colpito l’attitudine, tutto il livello grafico, e soprattutto i titoli dei brani. Mi sono andato a leggere la storia di Seth, ed anche quella mi ha colpito. Se ci pensi: forse adesso non si può neanche dire che ascolti gli Anal Cunt, siamo talmente politically correct☹. Però appunto mi hanno colpito subito, tanto che poi nel disco ‘Scacco Matto’, nello sticker in alto a sinistra, le “x” di L(orenzo) S(enni) sono proprio le “x” degli Anal Cunt, le abbiamo prese “paro paro”! Riguardo al suo essere “stronzo”, e ad eventuali punti in comune con me. Se viene fuori questo accostamento, è forse perché io sono molto specifico nel modo in cui comunico le mie cose; non mi perdo troppo in altro, mi interessa la musica e mi interessa pensare a quello che faccio. Non sono uno che si siede e fa dei suoni senza chiedersi cosa sta facendo. Quindi, se mi è stato fatto presente che sono uno “stronzo”, penso ci si riferisca a questo mio modo di essere molto dentro al mio trip, senza lasciare spazio ad altro. Sembra che me la tiri, sembro un po’ snob, ma è solamente il fatto che non mi interessa molto altro. E ancora di più non mi interessa condividere molto della mia vita personale. Detto ciò, non so se questa cosa si sposi con la questione di essere dei voyeur in senso musicale, perché in quel mondo penso di essermi sempre comportato in modo molto cristallino, con tutti.

SD: ‘Think BIG’ – Gran finale. Che forse risponde un po’ ai dubbi del punto precedente. Pensare in grande. Alzare la barra. Arrivare a Warp. Bilancio? Curiosità: a livello “monetario” ne è valsa la pena?
LS: ‘Think Big’ è quell’attitudine positiva che mi porto dietro in tutto quello che faccio. Credere a quello che si fa e pensare possa essere rilevante. Alla fine il titolo è proprio un link diretto a tutto quel mondo di cui abbiamo detto prima: lo straight edge hardcore. Penso che una riga di testo di tante band che mi piacciono o mi sono piaciute potrebbe tranquillamente finire in un mio titolo. Comunque è un titolo che racchiude bene l’idea di averci creduto e di essere finito su una delle etichette più importanti per quanto riguarda la musica elettronica. Intendiamoci, questo vuol dire tutto e niente, ma sicuramente è una bella soddisfazione personale. Mi chiedi anche se dal punto di vista economico questo abbia fatto la differenza. La risposta è sì, ma non tanto in termini di contratti firmati, non tanto in termini “formali”. Parlo del fatto che posso continuare a fare il mio lavoro, che è quello di fare musica e di suonarla in giro, anche per gli altri. Ora sto lavorando su roba nuova, e sto pensando un pochino a dove questa “roba nuova” potrebbe portare. Sicuramente mi interessa fare ancora qualcosa con Warp. Però bisogna vedere dove vado a finire: tutto è ancora da decifrare. In studio ho provato tante cose nuove, ma ancora nessuna mi ha soddisfatto. I tempi del mondo musicale non sono esattamente quelli per cui ci si può prendere troppo spazio. Ma io fortunatamente ho i miei tempi: quando sarò contento di qualcosa, qualcosa eventualmente uscirà. Sto provando a fare delle cose in direzioni abbastanza disparate, ma tutte ancora giustificate da un’idea, quell’idea di ‘Scacco Matto’, l’evoluzione di quello che ho fatto in precedenza. Quindi non so cosa finirò per fare, ma sono sicuro che dal punto di vista del progetto in generale sarà un disco nel quale chi mi ha seguito può trovare dei punti in comune con quello che ho gia’ fatto in precedenza, oltre che delle altre cose che stanno guardando ad una direzione nuova.

(Txt by fmazza1972 x Salad Days Mag – All Rights Reserved)

Bull Brigade live @ CS Bocciodromo, Vicenza – photorecap

August 2, 2021 |

Bull Brigade live @ CS Bocciodromo, Vicenza – photorecap

Pictures by Rigablood x Salad Days Mag – All Rights Reserved.

LEGGI LA RECENSIONE DI ‘IL FUOCO NON SI E’ SPENTO’ IL NUOVISSIMO DISCO DEI BULL BRIGADE!

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Marthe – interview

June 1, 2021 |

Tutto parte (per me) dalla famosa recensione su Decibel, pezzo super voluto dal mega direttore in persona (leggete tutto, qui sotto, e capirete).

Tutto passa dall’ennesima ristampa (quella in vinile è su Agipunk) di ‘Sisters Of Darkness’. Il risultato? Questa intervista su Salad Days, super voluta dal sottoscritto (ok, non sono il mega direttore, ma penso di essere il secondo più “experienced” della crew, per non dire vecchio). Per i più attenti, per gli amanti del gossip, Marthe appare anche in ‘Disconnection’, nel (secondo me) molto interessante capitolo sulle donne. Insomma, super contento!

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SD: Fare doom, e fare doom a Bologna: quali sono le tue origini?
M: Per chi vorrà leggere, il mio percorso musicale inizia in un piccolo paese ligure a un uno sputo dalla Toscana, un luogo stupendo ma sterile in termini di esperienze e situazioni (salvo la mitologica Skaletta, Bad Trip, i Fall Out, Manges, Peawees, il Civico anni’90 e poco altro), che quindi mi ha spinto a esplorare e guardarmi attorno, da Genova a Londra a Bologna dove mi sono stabilita. Appena ho un attimo torno dai miei, una famiglia super, per godere dei boschi, delle spiagge, delle coste inospitali e delle montagne isolate che sono riemerse in me sotto forma di questo progetto solista dal nome Marthe, la proiezione di me stessa più speculare ad oggi. Tra pochi mesi compio 40 anni. Nella Spezia anni’90 ho scoperto il metal, le riot grrrl e l’anarcopunk suonando in vari gruppi. Poi a inizio 2000 ho incontrato la balotta novarese/varesotta impiantata a Carrara che ha portato alla formazione dei Campus Sterminii assieme a Koppa (Horror Vacui / Agipunk), Gra (Motron) e Je (Saturnine) e all’apertura della breccia nello stench/crust di cui i Campus sono stati uno dei primissimi gruppi italiani. Nel 2004 sono entrata nei Kontatto con i miei fratelli Marione, Febo e Ago (Motron e Pioggia Nera), passaggio che mi ha marchiato con la fiamma del Dbeat, secondo vero amore (il primo è il metal, ma non sono pro: ascolto sempre la stessa roba da quando ho 13 anni). Con i Campus e i Kontatto sono partiti i primi veri tour nazionali ed esteri, un’infinità di concerti ed esperienze di squat e occupazioni (compresa la parentesi londinese nel 2005 con i Death From Above). La quantità di gente conosciuta in questi 25 anni è direttamente proporzionale all’essere una completa “rimastona” che non riconosce le facce e spesso per questo motivo (oltre a vederci malissimo) non saluta. Sigh. Nel 2010 nascono gli Horror Vacui con base a Bologna, molto legati alla realtà di Atlantide e XM24 dove abbiamo registrato la prima demo e fatto le prime prove. Ho preso parte al progetto perché volevo provare a suonare un altro strumento oltre alla batteria e divertirmi con un genere meno estremo (un investimento per la vecchiaia). Mi è sempre piaciuto il post punk, abitare a Londra ha amplificato questa passione (serate epiche in club allucinanti) quindi formare un gruppo death rock è venuto da sé in quanto se amo molto un genere mi viene spontaneo suonarlo attivamente. Non sono però una che cavalca l’onda e scende, generalmente mi tiro dietro nel tempo tutti i gruppi in cui suono ma ovviamente alcuni si sono persi per strada per motivi vari e sempre molto concreti/inevitabili. Avvicinandomi al motivo di questa intervista, l’unica cosa che non sono mai riuscita ad avere è un gruppo metal, nonostante sia da sempre un mio desiderio. C’è stata la parentesi Ancient Cult (con tra gli altri gente dei Tenebra e il mitico Francesco Faniello, uno dei chitarristi più clamorosi mai visti nonché enciclopedia musicale vivente, un maestro in tutti i sensi) ma si trattava più di rock’70, mentre io desideravo da sempre doppie spedalate e odore di balsamo da condividere assieme ad altri coltivatori di capelli come me. Nel 2016 ho iniziato a sperimentare atmosfere pesanti e plumbee con i Mountain Moon, gruppo strumentale chiamato scherzosamente “musica da camera ardente” assieme a Gabri (Dolpo), Gianluca (Brutal Birthday/Freakout) e Lucio (Messnr). Questa esperienza mi ha aperto nuove porte in termini di sonorità, sull’onda di quello che stavano già contribuendo a fare gli Horror Vacui con chorus e riverberi a mina (cose che però avevano anche i Wretched ahhh!) e mi ha aiutato a distaccarmi dalle convenzioni musicali che ho sempre più o meno inconsapevolmente seguito, retaggio dell’immediatezza del punk: pezzi brevi, strutture classiche strofa ritornello bridge, testi politicizzati. Quando ho preso in mano i riff che avevo cantato nelle varie note vocali dei vari cellulari e che sarebbero diventate le canzoni di Marthe, ho voluto per la prima volta lasciarmi andare e mettere in pratica tutti gli insegnamenti e input ricevuti negli anni: la sporcizia del crust, la genuinità del punk, l’epicità di certo metal, l’atmosfera del synth, il cantato da coro delle streghe donaneghe. Il risultato, ‘Sisters Of Darkness’, lo giudico come un bilancio dei miei (primi) 40 anni di vita, e credo sia un bilancio positivo vista la quantità di feedback positivi ricevuti e dalle continue richieste di ristampe per questa demo di quattro pezzi, che mi ha reso molto felice, gratificata, ma anche creato una certa strizza poiché adesso c’è dell’aspettativa. Per tornare alla tua domanda le mie origini e il mio percorso mi impongono certi paletti: sono cresciuta in contesti punk, diy ed estremamente politicizzati quindi non riesco a far svettare la sola componente musicale su quella antifascista e politica. Questo, specialmente in ambito metal dove spesso spuntano i coglionazzi che credono che la musica annulli i divari etici, mi impone di fare le pulci a ogni persona, richiesta, proposta, collaborazione, e questo mi penalizzerà come sempre poiché mi precluderà di esplorare strade nuove ma ignote. Sticazzi, tanto ormai dove devo andare? Ovviamente questo non accade con i gruppi punk perché la selezione vien da sé, ma nel metal c’è ogni tanto il rischio di pestare una merda. Anche per questo motivo sono stata molto contenta quando Agipunk mi ha inaspettatamente proposto di stampare il disco, dico inaspettatamente perché è un’etichetta principalmente incentrata sul punk e l’hc, meno sul metal. Ho ricevuto altre proposte anche interessanti ma non ne conoscevo molto quindi ero un po’ indecisa. Agipunk è una label integerrima da più di due decadi di cui io ero mega fan da sempre, e sapere che è un’etichetta solida, senza ambiguità di sorta ma anzi, schierata e politicizzata mi ha fatto sentire a casa. Ad oggi, questa “selezione” mi ha preservata nella mia adorabile comfort zone dove non sono un cazzo di nessuno ma sto una favola.

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SD: Fare doom essendo una donna. Qui devo dire che viaggi molto meglio che nell’hardcore. Penso a Kylesa, penso ad Acid King (non doom, ma da paura). Ma anche nei vari Mono, Boris etc c’è sempre una donna… e che donne!
M: Nonostante la mia adolescenza in un gruppo riot non mi sono mai percepita in termini sessuali, ho sempre suonato e basta, generalmente in gruppi misti (tranne le Pussy Face e le Doxie). Riguardo alle “quote rosa” nella musica estrema ho sempre in mente un dato: alla scuola di musica dove ho iniziato a suonare il pianoforte dalle elementari fino alle medie eravamo maschi e femmine insieme, studiavamo insieme e facevamo i saggi di musica insieme ma nessuno ha mai messo in evidenza il fatto che le bambine suonassero uno strumento, o se lo suonassero bene o male, meglio dei maschi o se ci fossero meno femmine che maschi al saggio finale. Solo quando ho preso in mano le bacchette in un gruppo punk mi è stato fatto notare che rappresentavo una “minoranza” allo strumento, ma per me era uno strumento come un altro, che ho iniziato a suonare a caso un giorno che la batterista del mio primo gruppetto ha paccato le prove. Ho imparato la sessualizzazione della musica, che però credo sia legata a generi pesanti, estremi o a strumenti specifici, ma eccezione fatta per alcune realtà super provinciali di fine anni’90 non ho mai ricevuto nessuna discriminazione, battutina o ironia in ambito hc/punk. Magari l’hanno pensato senza dirlo, e hanno fatto bene. Potrei inoltrarmi in questo discorso ma rischierei di andare fuori tema. Il succo è che se ad esempio sei una ragazza e dipingi o fai danza per nessuno fai la differenza, mentre se vai in skateboard, in moto o suoni la batteria forse stimoli maggiormente curiosità e attenzione per una questione puramente di associazione ad un immaginario prettamente maschile (nelle sue manifestazioni mainstream originarie per lo meno). Ci ho sempre scherzato molto su, quando mi vengono fatti i complimenti dopo un set intanto li accetto senza falsa modestia perché sono una persona educata che fa complimenti a sua volta e poi, se sono in vena, a volte mi scappa un ironico “ma sì dai, non male per essere una donna”, ovviamente provocatorio e che ricalca il luogo comune più becero. Nel doom ci sono donne cardine, ma non è una scena che seguo molto in realtà né ci sono donne che mi abbiano particolarmente colpito o ispirato. A me hanno ispirato solo le L7 e ad oggi, nessuno le ha mai eguagliate: ai miei occhi erano un gruppo, non un gruppo di donne. Con la loro attitudine, energia e capacità hanno azzerato la dimensione sessuale, vittoria totale. Spesso viene fatto notare come, rispetto ai decenni precedenti, ci siano molte più donne in musica, ma per me questo è forse indice di una più semplice dinamica di avvicinamento alle risorse necessarie: studio, sale prova, strumenti, home recording, devices elettronici, auto promozione sui canali social. Una volta era forse un po’ più ardua, generalmente era “il tuo amico” che ti conduceva alla sala prove dove suonava con i suoi amici, così potevi vedere come si faceva e farlo a tua volta. Come è successo a me, grazie al mio amico Andrea (degli Oreyon, grazie al quale ho imparato a mettere la tracolla del basso dietro e non a mo’ di cravatta sciolta) e dove in questo non c’era né mansplaining né prevaricazione, solo amicizia e condivisione della comune e neonata passione per la musica. Spesso viene altresì fatta notare una cosa per me invece mega deprimente: ho letto articoli in cui si snocciolava una triste conta delle donne sul palco di un tal festival da parte di una musicista che era presente con il suo gruppo, e questa cosa mi ha lasciato un po’ perplessa perché l’ho interpretata come un’altezzosa e anche infantile insinuazione di superiorità rispetto ad altre donne che non suonano perché magari, semplicemente, non gli piace, come se poi suonare ti desse magicamente uno status di figa. Spesso c’è questa illazione di fondo, ovvero che si suoni per mettersi in mostra. Come se poi fosse una cosa facile raccogliere il coraggio e salire su un palco. Tra le donne c’è chi suona, c’è chi magari scrive di musica, supporta, va a concerti, fa arte o semplicemente si fa i cazzi suoi senza dover fare nulla in particolare per farsi annoverare nel gruppo delle persone cool. Ognuno fa quello che sente, senza dover render conto a nessuna lista delle appartenenti alla riserva indiana. Un’altra cosa di cui un po’ dispiaccio è che una donna debba per forza dar prova del suo valore o dimostrare qualcosa: ci sono un sacco di maschi che suonano di merda ma nessuno dice che suonano solo per farsi vedere o mettersi in mostra o darsi un tono, la gente dice solo che suonano di merda senza denigrarne le buone intenzioni, mentre spesso sulle donne ho sentito giudizi e critiche massacranti anche di tipo morale.

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SD: Fare una one man band, essendo donna: qui la vedo più difficile: mi viene in mente solo Stefania degli Ovo. E comunque si dice one man band, mica one woman band.
M: Haha! Il senso lo abbiamo capito, l’importante è quello. Questa del gruppo “personal” è stata una scoperta anche per me, ma non ci avevo mai pensato, semplicemente nessuno mi cagava quando la buttavo lì per un gruppo metal ma in realtà non avevo una gran voglia di impegnarmi con le prove etc. Stefania è stata la prima che ho visto, a un 8 marzo preistorico alla Sede di Vigevano. Tagliava le verdure microfonandole, suonando cose e facendo una performance per me innovativa. Mi ha colpito soprattutto quanto ci credesse in quello che faceva (tornando alla prima risposta, sono talmente obsoleta sonoramente che ho iniziato a concepire queste sperimentazioni nel 2016, ahah), ci credeva talmente tanto che quella che all’inizio mi sembrava una cosa non per me già dopo pochi minuti mi ha rapito. Dopo di lei Miss Violetta, che non mi colpì per niente, invece. Ho molta stima per Stefania soprattutto per la sua dedizione alla concezione di performance, io non riuscirei mai a prendermi sul serio in qualcosa che non prevede l’organizzazione standard della band tradizionale, mentre lei performa usando il suo corpo come tramite e mezzo in una molteplicità di forme. In Marthe ho suonato qualche pendaglio, strumento del tuono e un tamburello, mi sono divertita a fare quello che per me è “fare l’artista”, ovviamente chiusa in camera da sola al riparo da occhi indiscreti. Nel 2006 ho conosciuto una tipa canadese quando da Londra sono andata alla reunion dei Mob47 a Stoccolma, e lei mi raccontava che aveva un gruppo blackmetal da sola, Dodsangel mi pare si chiamasse. Cioè, aveva intanto un pc, sapeva collegarsi dei microfoni e dei jack. Io a parte che il primo pc l’ho avuto nel 2010, ma non sapevo nemmeno cosa fosse una scheda audio. Per me era eroica e mi sarebbe troppo piaciuto farlo, mi dava proprio l’idea che potevi buttarci dentro il cazzo che ti pareva. Ci ho messo 12 anni a concretizzare questo desiderio, a cui poi non è che pensavo così tanto, però è indice anche del fatto che al Nord Europa erano/sono avanti anni luce rispetto al mondo musicale che conoscevo io. Al di là delle competenze tecniche penso a un semplice fatto (passatemi la banalizzazione del concetto, lo so che anche da noi accade anche se in misura minore): in America o appunto in Scandinavia hanno quasi sempre un basement in cui piazzano la loro roba e possono jammare e fare prove quanto gli pare, senza il limite delle due ore in saletta oppure dell’impossibilità di suonare nella tua cantina perché abiti a un metro dalla famiglia accanto con sette figli che dormono o il tipo che fa la notte e ti ammazza se suoni qualcosa di elettrico. Perché il mio vicino che suonava quattro ore il sax andava bene, ma se avessi messo una batteria in casa sarebbe arrivato il fronte armato per l’ora del silenzio perpetua! Avessi avuto uno spazio adeguato o isolato mi sarei portata giù un ampli e un microfono, ma invece non potevo imparare a urlare da sola, dovevo per forza andare in sala prove facendo un’ora di autobus e mi vergognavo ad andarci da sola che da fuori mi avrebbero sentita tutti che non sapevo fare un cazzo. Sono tutte cose che mi hanno inibito e rallentato, da sola e anche a livello di band, per il discorso di due ore settimanali e via. Ora, a 40 anni quasi suonati, mi sto costruendo lo “studio” sotto casa così non dovrò far ridere il palazzo come per la registrazione delle voci di Marthe, che sono avvenute dentro la confezione di cartone di un frigo con appesi i cuscini del letto. Avere uno studio personale in casa aiuterà anche le mie altre band nella fase compositiva. Fare questa cosa da sola mi ha permesso di confrontarmi con alcuni miei limiti tipo il fatidico palm mute (venuto fuori bene non si sa come) ma anche solo la scelta dei pedali e dei suoni. Io odio quello che non è analogico, non capisco le robe elettroniche dopo un trauma con un beat shift alla pianola nel 1989 davanti a 100 spettatori estasiati dalla mia esecuzione (‘Il Bel Danubio Blu’), ma il synth in qualche modo l’ho fatto suonare, la registrazione l’ho fatta andare, insomma, mi sono messa un po’ in gioco e mi sono divertita. Ora dovrei migliorare ma qui subentra un lato micidiale del mio carattere: la dozzinalità, so fare tante cose ma tutte male quindi non credo mi cimenterò in nuovi programmi di registrazione etc, con buona pace di Andrea Masbucci (Horror Vacui/Nuovo Testamento), il mio motivatore personale. Non conosco molte altre band complete formate da una sola donna, eccezione fatta per le mie due cantautrici solitarie preferite: Dorthia Cottrell dei Windhand versione solista e Kariti, nuova scoperta per me, semplicemente favolosa e dalla voce ipnotica (scoperta grazie a Stefania).

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SD: Last, but not least, mi interessa molto questo discorso del fare musica a prescindere dal concerto, vedi anche i Darkthrone. Che programmi hai a riguardo? E mi piace molto che dalla tua camera/studio la tua musica sia arrivata a Decibel (ti ho scoperto lì).
M: La recensione di Decibel mi ha lasciato a bocca aperta, soprattutto perché è stata fortemente voluta dal mega direttore galattico in persona (o almeno, così mi è stato riportato dal “mio uomo” di oltreoceano). Non sono una grande lettrice di Decibel né di giornali musicali in generale ma sono davvero stata contenta perché ha definito Marthe come una delle cose più uniche e fresche degli ultimi tempi, e ringrazio. Il concerto vero e proprio sarebbe cosa buona e gusta ma c’è un dilemma interno: io non posso cantare, mi vergogno, non è il mio e l’ho fatto solo perché ero nascosta. Potrei cantare del pop paradossalmente, ma non una cosa che mi mette così a nudo in termini di rilascio energetico. Cantare è una pratica molto intima e solitaria per me. Poi proprio perché non mi sentivo sicura di me ho fatto letteralmente 9 take diverse di voce, tutte sovrapposte, così che il risultato finale fosse quasi un coro malefico e non solo una voce, dato che si sentiva molto che ero io alle mie orecchie. Quindi dal vivo avrei bisogno delle coriste, nel vero senso, dato che ho sovrainciso varie tonalità di voce. Per ora mi interessa fare un nuovo disco full, ho molte idee e una gran strizza di non saper replicare il buon risultato ottenuto ad oggi. Però anche chissene, non faccio i pezzi pensando a che ritorno avranno, non sono calcolatrice né brava a imitare nonostante le varie influenze presenti in Marthe. Ho sempre sognato un lungo periodo off per dedicarmi alla scrittura del nuovo disco ma nonostante più di un lockdown la mia ispirazione era a zero. Spero che potendo nuovamente uscire di casa ora riuscirò a mettermi lì e unire i vari riff che ho ad oggi canticchiati sul cellulare. Se dovesse esserci una mega richiesta potrei pensare a suonare live ma sinceramente preferisco comporre per regalare a chi mette su un disco un momento di ascolto intimo e solitario, è una sorta di dedica in cui il mio profondo essere viene percepito da un altro essere: fondamentalmente questo progetto vive di questo.

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(Intervista di Francesco Mazza x Salad Days Mag, fotografie di Silvia Polmonari e Blue Lighthouse Media)

Bee Bee Sea vs Freez – double interview

May 7, 2021 |

Per la serie “new garage italiano”, e grazie al mio omonimo Barcella, i.e. Wild Honey Records, ecco un’intervista parallela a Bee Bee Sea e Freez.
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Luca Indrio / Necrot – interview

March 22, 2021 |

I Necrot, con ‘Mortal’, sono presenti in più o meno tutte le top delle riviste che contano. Non ci lasciamo sfuggire Luca Indrio, bassista e cantante, che in periodo vacanziero si deve sorbire i miei “deliri” a tema “meglio gli US o meglio l’Italia”.

D’altra parte l’ennesimo pezzo sulle loro influenze crust piuttosto che Incantation sarebbe decisamente fuori tempo! Se ci fossero dei credits per le interviste, un super grazie andrebbe a Koppa, senza la sua intercessione la mia richiesta sarebbe forse finita dietro a quella di Cerati…

SD: Il tema di cui mi piacerebbe parlare con te è abbastanza ovvio: le differenze tra US e Italia. Prima differenza. Come si sta a Oakland? Ci mandi una foto di dove vivi? Perché sei partito? Come è stato l’inizio? Leggo di San Francisco e di zone vicine diventate insostenibili causa vicinanza Silicon Valley… vero?
Luca Necrot: Ciao. Io sto a Oakland da 12 anni… “come si sta a Oakland”? Abbastanza bene, poi dipende da cosa vuoi fare, da quanti anni hai etc. In America le città cambiano molto nel giro di 10 anni: la gente si sposta molto, quindi diciamo che ci sono stati periodi diversi della mia vita, lì a Oakland. A 21 anni nel 2008 ci stavo molto bene: era un posto super marcione e mega economico, la vita non costava un cazzo e c’era un monte di posti dove facevano concerti. Concerti sia a casa di persone, che posti comparabili ai posti occupati anarchici italiani, che piccoli bar e club più grandi. Diciamo che c’era un po’ per tutti i livelli. Purtroppo qualche anno fa ci fu un incidente: in uno di questi posti underground scoppiò un incendio e tanta gente perse la vita intrappolata dentro a uno dei tanti posti “illegali” che facevano serate. Da lì la città ha dovuto stringere la cinghia su queste realtà e tanta gente ha dovuto smettere di fare eventi in luoghi non autorizzati perché rischiavano di perdere il posto dove non solo facevano serate, ma dove anche vivevano. Da lì i concerti sono passati principalmente in bar e veri e propri locali. San Francisco nel 2008 già stava diventando abbastanza cara ma non comparabile ai prezzi di ora. San Francisco e Oakland sono collegate, così come Berkeley e Richmond, dallo stesso sistema di metropolitana e da vari ponti sulla baia. San Francisco, essendo circondata dall’oceano, non può espandersi e per questo anche i prezzi degli affitti sono andati alle stelle essendo una città che offre tantissimo lavoro e che attrae tantissima gente da fuori. Era inevitabile che con il tempo anche i prezzi ad Oakland sarebbero saliti. Oakland era riuscita a mantenersi con prezzi abbordabili (cosa che è essenziale perché possa esserci una scena artistica) principalmente per il tasso di criminalità elevatissimo e il fatto che molti quartieri della città siano mal tenuti e cadenti. La vita a Oakland era una figata, c’erano tantissime band, l’erba più buona di tutta l’America e tanti posti dove potevi fare che cazzo ti pare. Le cose adesso sono cambiate ovviamente per colpa specialmente dell’industria del tech che ha portato troppi soldi e troppa gente nella Bay Area distruggendo la realtà locale.

SD: Seconda differenza. L’ambiente musicale. Ho visto tanti concerti negli States (mi è capitato di passarci delle settimane per lavoro). Ho sempre avuto l’impressione che anche i discorsi più “underground” lì da voi siano comunque molto più “regolari” e “regolamentati” che da noi (in Europa). No stage diving. No fumo. No alcol. Regole. Polizia. Etc. A fronte del “successo” (ci arriviamo dopo), ti manca un po’ la “sporcizia” di cui sopra? Ti manca un po’ di libertà? O il death è una nicchia “felice” in questo senso?
LN: Parlare degli USA in senso lato è come parlare dell’Europa in generale, è come andare a un concerto in Svizzera e dire che in Europa ci sono tante regole senza considerare tante altre città e realtà europee. In USA ci sono differenze enormi fra stato e stato, città e città. A me dell’Italia sinceramente non manca quasi niente a livello di concerti e in quanto a “sporcizia” e situazioni molto anarchiche penso che sono molto facili da trovare anche in USA. Io in USA mi sono sempre sentito molto libero, molto più che in Italia. Potevo avere affitti bassi, lavorare poco e guadagnare bene, flessibilità sul lavoro quando volevo andare in tour, posti economici dove puoi affittare al mese un posto dove fare le prove, furgoni a prezzi bassi, assicurazione del furgone economica, lo spazio dove parcheggiare il furgone anche per la strada, strumenti e amplificatori spettacolari a prezzi abbordabili, tanto tempo libero per poterti davvero dedicare alla musica, una scena con tantissima gente appassionata di musica che si supporta e si esalta a vicenda per i tuoi progetti. Mi manca l’Italia? Sinceramente no.

SD: Riguardo a sopra, penso anche al video su Revolver, quello dove parlavi della maglietta che ti aveva dato quel tipo, che poi era morto. Avevi molto “insistito” sull’aspetto underground della cosa… il fatto di essere una “famiglia”/una tribù. Ecco… negli States questa roba non è po’ “sparita” a scapito dei numeri? A scapito della troppa professionalità?
LN: In USA anche nei concerti più piccoli a casa di qualcuno ognuno si porta la sua back line perché ognuno ha il suo suono che è dato molto anche dagli amplificatori che usi non solo da come suoni. In USA la “professionalità” è più estesa ad ogni livello, la musica viene presa estremamente sul serio. Io sinceramente non ho mai vissuto una competizione nel mondo della musica anche perché in un paese come gli Stati Uniti anche se la tua band va bene e ci guadagni faresti sempre comunque molti più soldi mollando tutto e andando a fare un lavoro “normale” dove puoi guadagnare molto di più. Alla fine le persone che scelgono di fare della band la loro strada, costi quel che costi, sono viste con ammirazione non necessariamente con invidia. Comunque io ti capisco: è difficile comprendere come funzionano le cose in USA senza averci davvero vissuto. Ti confesso che i primi 2 o 3 anni che ho passato lì non ci avevo capito un cazzo nemmeno io! Non è facile: venendo dall’Italia cresciamo con la convinzione che come vanno le cose in Italia sia più bello o più brutto o più giusto o come dovrebbero essere le cose o semplicemente la normalità, ma in realtà sono convinzioni che chiunque nel mondo ha del suo paese. È necessario perdere tutto questo per riuscire a capire altre realtà senza fare sempre il paragone con ciò che a noi è familiare o pensando in termini di meglio o peggio.

SD: Terza. La professionalità. È indubbio che da voi ci sia più professionalità che da noi. Riesci a vivere coi Necrot? ‘Mortal’ vi ha fatto fare il “salto”? Oppure non è automatico? E’ indubbio che da voi ci sia più meritocrazia. Vero? Oppure solo un’impressione da fuori. Ma a fronte di tutto questo c’è anche molta più concorrenza. Ci sono mille gruppi che fanno death. La cosa immagino sia un’arma a doppio taglio… i.e. bisogna
sbattersi di brutto per emergere. Vero? Falso?

LN: Allora, sì riusciamo a vivere con la band ma solo se andiamo in tour almeno 100-150 giorni l’anno. Sì bisogna sbattersi per anni prima che le cose comincino a girare (e non è mai detto)… e fare 100-150 giorni di tour all’anno è molto sbatti. Dai dischi guadagni molto poco quindi i live sono essenziali per una band death metal, visto che ovviamente nessuna band death metal vive di royalties, degli streaming su Spotify, né di vendite di copie del disco. Nessuno fa un disco di metal estremo e diventa magicamente famoso e cominciano ad arrivargli soldi dal cielo; forse negli anni 80/90 succedeva non so, ma ora no di certo. Il famoso “salto” non esiste, perché ci sono tantissime band che fanno dei bei dischi ed alla fine quelle che ce la fanno a trasformarlo in un lavoro vero e proprio sono quelle che vanno in tour di continuo e quindi mantengono l’attenzione generale sulla loro band a livello mondiale, e costantemente… più che un “salto” è un progresso lento dove dopo ogni tour, ogni nuovo disco diventi un pochino più conosciuto. Senza contare che se smettessimo di andare in tour in pochi anni saremo nel dimenticatoio e qualche altra band che ha voglia di sbattersi farebbe quello che stiamo facendo noi adesso.

SD: Quarto. Il mercato. C’è più mercato. Ci sono più etichette. Ci sono più posti dove suonare… etc. Vero? Legato a questo. Da noi l’underground è molto “sul territorio”. Quindi un gruppo significativo per me, milanese, come i Sottopressione… per qualcuno che sta a Bologna potrebbe essere sconosciuto. Lì da voi ci sono pure le distanze geografiche da superare. Mi piacerebbe sapere se funziona così anche da voi… o se le interazioni con gli altri stati sono comunque più facili che quelle tra un gruppo italiano che vuole andare in Francia.
LN: In USA è più facile perché parlano tutti la stessa lingua, stesso sistema postale vero: ci sono le distanze geografiche, ma anche autostrade gratis e benzina economica. In Europa molti paesi, specialmente Italia, Francia e Spagna, hanno i loro “eroi” locali – vedi di fatto i Sottopressione – sono paesi molto legati alla loro realtà del territorio: magari viene la band dal continente americano o dall’Europa, ma la stessa sera suona la band che è “storica” per quella regione? Vanno tutti a rivedersi la stessa band locale per la quattrocentesima volta. In USA è più semplice far le cose, è più semplice viaggiare, è più semplice che una band che diventa conosciuta in una città diventi conosciuta in tutta America. In Europa per esempio una band che diventa conosciuta in una città della Francia fa più fatica a diventare conosciuta in tutta Europa. In parte questo è semplicemente legato alla lingua… magari si scriveranno recensioni o articoli o interviste in francese o magari finiranno anche sulla copertina di una rivista di musica estrema/alternativa in Francia, ma fuori di lì nessuno nemmeno saprà che esisti. È un esempio un po’ esagerato però penso sia parte del perché in USA sia più facile far sì che qualcosa di ganzo che succede in California prima o poi arrivi anche fino all’altra costa.

SD: Quinto. I mezzi. Da noi ci sono studi/fonici che se sentono una chitarra distorta non sanno cosa fare. Da voi certi suoni sono stati inventati. Quindi non penso sia difficile trovare uno studio specializzato in death a pochi km da casa vostra. Gran figata… ma magari questo toglie un po’ di quell’originalità che veniva da situazioni “outsider”… in altre parole… la grossa disponibilità di mezzi/etichette etc etc… potrebbe anche creare un certo appiattimento. Come la vedi. Magari qui la tua “diversity” (essere italiano) ti è servita?
LN: Io penso che anche in Italia ci sono persone che sanno registrare musica estrema. In USA magari ci sono più opzioni e più gente che si dedica a questo. Diciamo in Italia c è più gente che magari per mancanza di opzioni va a registrare dove può, magari con qualcuno che del genere non capisce nulla e viene fuori una cosa più particolare dovuta dalla non conoscenza e il caso. Questa non mi sembra una cosa positiva. Positivo sarebbe registrare con qualcuno che ci capisce avendo idee chiare di qual è il tuo suono tu come band e usufruire di una persona che ha le capacità di riuscire a captare il tuo suono.

SD: Sono curioso anche di questo… lì negli States quanto vale essere italiano? Quanto ti serve? Quanto non ti interessa? BTW… tu hai passaporto Italiano…o US?
LN: Io sono andato via dall’Italia a 18 anni, ora ho entrambi i passaporti italiano e USA ma non dalla nascita. Vivo in California da 12 anni e passo gran parte dell’anno viaggiando con la band. L’essere italiano è parte di me, ma non mi sento di appartenere a nessun luogo in particolare. In realtà quando sono in USA so di essere straniero e quando sono in Italia mi sento ugualmente straniero dopo tanti anni fuori quindi boh? Sinceramente mi sento a mio agio ovunque senza sentirmi legato a nessuna bandiera in particolare.

SD: Sesto. La stampa. Voi siete un nome che è ultra presente su Decibel o Revolver. Riviste che spostano dei numeri (almeno, secondo me). Roba che quando leggo dico: WOW! Su Decibel hanno parlato di New Trolls, per esempio. Qui da noi ci si barcamena tra Rumore (che non leggo da anni… BTW, vi hanno intervistato?) le riviste di metal (che però sono illeggibili rispetto ai nomi di cui sopra)… insomma… l’impressione è che un po’ tutto il livello sia più alto. Vero? Falso?
LN: Chiaramente il livello negli Stati Uniti è più alto: guarda la storia della musica là rispetto a quella italiana… non c’è paragone. Poi in USA la gente in generale è molto appassionata di musica e non dimentichiamo che c’è molta più popolazione a cui vendere una rivista musicale rispetto all’Italia.

SD: Un po’ di trivial/curiosità. Pensando a voi, mi vengono in mente i Darkest Hour. Suonavano death… ma venivano dall’hardcore. Dal vivo spaccavano e spaccano. Ai tempi non li cagava nessuno… proprio perché i riferimenti erano “strani” per quel periodo. Ti piacciono?
LN: Non sono il mio genere preferito, ho conosciuto il batterista una volta che si è suonato con una band di cui era il batterista al tempo, comunque in USA erano una band gigante ai tempi quando il metal-core stava nascendo e band come loro o Black Dahlia Murder erano super popolari.

SD: Un’altra cosa, collegata. Leggendo le recensioni dei vostri primi demo si parlava sempre di influenze crust, che onestamente io non vedo così “forti”: immagino sia principalmente un discorso di “ascolti” o “sette”. Chi ascolta metal ci trova influenze crust, forse per la produzione sporca, o per i suoni un po’ più caotici… chi ascolta punk (il sottoscritto) non ce le trova (per intenderci: gli Anti Cimex sono un’altra cosa). Insomma: un’ennesima prova che magari è meglio non “catalogare”… o no?
LN: Per me la gente che parla della tua band online scrive quello che ci sente, ciò che viene dalle esperienze personali. Se ci paragoni a band super tecniche death metal uno può sentirci dei suoni più crust, più grezzi/semplici, se chi scrive viene da una scena puramente punk o crust siamo un gruppo totalmente metal. Dipende dal punto di vista e dal metro di giudizio di chi scrive. A me personalmente non importa molto, chi scrive reviews ha il difficile compito di descrivere una musica a parole, ma in realtà basta andare ad ascoltarla per farti la propria idea!

SD: BTW… cosa gira nel tuo stereo in questo periodo?
LN: Roba strana, musica rock in spagnolo tipo Caifanes, una specie di primi Litfiba messicani. La mia band italiana preferita di sempre, che sicuramente conosci, sono gli Skruigners.

SD: Mi ha colpito molto un’altra cosa. Ho letto molti vostri colleghi elogiare ‘Mortal’. E la cosa (almeno qui in Italia) non è così scontata. Grade lavoro, punto. Per dire: l’ultimo che ho visto parlarne bene è Bruno Dorella degli Ovo… che non pensavo ascoltasse più death! Segui qualcuno o qualcosa di noialtri?
LN: È difficile perché sono 12 anni che non vivo in Italia quindi tanti gruppi non esistono più o si sono formati quando io già non c’ero. Alcuni gruppi di amici tipo Noia di Firenze o gli Horror Vacui di Bologna mi fa piacere menzionarli.

SD: Ovvia domanda sul dopo Trump/Biden. Ma era tesa veramente, così come ci è stata descritta? Almost una guerra civile? O tutto questo è la narrativa europea? Cioè, che Trump fosse Trump non è mica ‘sta grande scoperta… o no? Un’altra cosa che mi incuriosisce, è il discorso voto. Ho sempre guardato con una certa “ammirazione” il rapporto molto “pragmatico” con la politica degli statunitensi. Fai qualcosa per me? Allora ti voto. Non fai qualcosa per me? Allora non ti voto. Discorso lontano mille miglia dalla nostra politica, che con la storia che “bisogna” andare a votare… si è un po’ impoverita. Ora però vedo un grosso attivismo dalle vostre parte di ambienti ultra punk che all’improvviso invitano al voto… bah?
LN: Trump è stato l’estremo del personaggio populista intollerante e razzista come se ne vedono tanti in Europa. L’invito a votare era perché tanta gente di solito non vota, riconoscendo che entrambi i partiti sono terrificanti. Ma questa volta c’era bisogno che tutti votassero perché con Trump si era toccato un punto talmente basso che era necessario in un modo o nell’altro saltarne fuori. Secondo me c’era e c’è tensione in USA anche perché la pandemia ha creato problemi enormi in una paese dove tutto è privatizzato, ma non penso ci sia mai stato un rischio reale di guerra civile, i giornali ingigantiscono tutto per vendere copie e creare più panico.

SD: Siamo riusciti a non parlar di Covid: come butta? Cosa state facendo non potendo suonare assieme? Hopefully vi vedremo in Europa nel 2021… SAREBBE BELLISSIMO! A questo punto ti senti più “americano”? Torneresti? Dove ti vedi tra 10 anni? US, Italia… o?
LN: Il Covid ha sconvolto i piani di tutti, io da 6 mesi vivo in Messico con la mia ragazza che è di qui. In 10 anni mi vedo cmq fra USA e Messico, sicuramente non in Europa. Speriamo nel 2021 di poter tornare a suonare dal vivo.

(franz1972 per Salad Days Mag)

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